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Raffaele Terracciano e la lingua napoletana

Interviste
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11

March 2, 2018

Note e risorse

Trascrizione

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Ciao a tutti, bentornati su Podcast Italiano. Come promesso, ecco a voi l’ultima parte dell’intervista a Raffaele Terracciano. Per chi non avesse ascoltato (for those who haven’t listened to / may not have listened to) gli episodi con Raffaele, Raffaele è un poliglotta di Napoli, nato e cresciuto a Napoli, che vive ancora a Napoli e che oggi ci parlerà di un aspetto importante di Napoli e dell’essere napoletani – della “napoletanità”. Prima di incominciare vi voglio ricordare che Podcast Italiano è su Instagram (podcast_italiano) e su YouTube , in cui escono alcuni episodi in formato video. Vi chiederei anche di lasciare una recensione su iTunes perché questo aiuterebbe il podcast. Ho scoperto, tra l’altro, recentemente, che le recensioni di iTunes che lasciate si possono vedere solo se andate sullo store del vostro paese, quindi, non so, americano, britannico, tedesco ecc. Io questo non lo sapevo; pensavo non ci fossero recensioni perché io vedevo solo lo store italiano, ma in realtà ce ne sono. Quindi voglio ringraziare tutti voi che molto gentilmente avete scritto delle recensioni sul podcast e invito coloro che non l’avessero ancora fatto a lasciare delle recensioni, se apprezzate il mio lavoro. Ma non perdiamoci in chiacchiere (without further ado) e iniziamo la nostra intervista.

D: Passando invece alla seconda parte della nostra intervista, volevo parlare del napoletano della lingua napoletana più nello specifico. Prima di tutto volevo consigliare di vedere il video di Raffaele in napoletano sul suo canale che linkerò, perché dà alcune informazioni molto interessanti sulla lingua che io non conoscevo. Volevo innanzitutto iniziare proprio con qualche frase in napoletano, che magari ritieni possa dare un’idea delle peculiarità di questa lingua o anche del carattere del popolo, dando una traduzione in italiano per i nostri ascoltatori che non sanno il napoletano.

R:  Qui si fa davvero difficile (it’s going to be hard), perché sono talmente tante che, davvero, pescarne una (pick one – pescare letteralmente significa “to fish”) o alcune tra tante è una bella scelta. Comincio da un tema sempre che i napoletani hanno sempre a cuore (they care about, is dear to the heart), che è la fame, il cibo. Abbiamo una cultura del cibo infinita e, ad esempio, voglio fare un esempio di una costruzione di una semplice frase napoletana che è:
“ho fame”.
In napoletano è:
‘tengo famme’.

Da questa frase capiamo che, per esempio, per alcune costruzioni il napoletano non utilizza il verbo ‘avere’ come fa l’italiano, ma utilizza il verbo ‘tenere’ che è quello che fanno esattamente le lingue come lo spagnolo, il catalano e il portoghese, ad esempio. Questo è una spia (indication, clue), diciamo, che ci fa capire che il napoletano è una lingua ben distinta dall’italiano, non solo per i vocaboli o per la pronuncia delle parole, ma proprio perché ha delle forme grammaticali completamente diverse che magari sono più simili ad altre lingue. Voglio fare un altro esempio, questa volta di una parola.

“mò te dongo nu pacchero”

Che vuol dire ‘adesso ti do uno schiaffo (slap)’. Non ci piace la violenza, ma volevo parlare di questa parola’ pacchero’

D: Pacchero quindi vuol dire schiaffo?

R: Schiaffo.

D: Ok, perché qua vicino a dove abito io c’è un ristorante che si chiama “Il Pacchero”, non sapevo che cosa volesse dire. Quindi vuol dire “Lo Schiaffo”.

R: Se parli di ristorante probabilmente..- il pacchero oggi si intende anche un formato di pasta.


I paccheri

D: Sì, in realtà (si chiama così) perché c’è questa pasta, chiamata pacchero.

R: Non so se ci siano nessi (connections, links) con il vero e proprio ‘pacchero’ napoletano, che è lo schiaffo. Se sei un fan di Antonino Cannavacciuolo (cuoco italiano famoso per aver partecipato al programma MasterChef Italia), lui dà queste pacche sulle spalle a tutti: ecco quello è un gran bel pacchero.

D: Come “pacca” (pat – es. pacca sulla spalla), quindi.

R: In realtà io non conoscevo l’origine di questa parola usatissima a Napoli, l’ho scoperta quando poi ho studiato il greco. In realtà pacchero viene dal greco e vuol dire “παν χέρι”, tutta la mano. Ed è esattamente quello che è un pacchero uno schiaffo, tutta la mano. Quindi – è vero che anche l’italiano ha tante parole che derivano dal greco, soprattutto il vocabolario scientifico, ma nel napoletano ne abbiamo talmente tante che sono proprio nell’uso quotidiano (in daily usage). Un altro paio di queste particolarità che accomunano (=uniscono) il napoletano al Greco e che quindi tradiscono l’origine (betray the origins) della città è (sono) il raddoppiamento dell’aggettivo, quindi presto in napoletano si dice ambresso, che tra l’altro suona molto simile al portoghese ‘pressa’, che vuol dire ‘fretta’. Però in napoletano per dire ‘molto presto’ non diciamo ‘molto ambress’, ma diciamo ‘ambress ambresso. Ok? Quindi raddoppiamo l’aggettivo. Anche in questo caso è una cosa che fanno molto spesso.. devo dire la verità, i francesi, ma soprattutto i greci. Ad esempio i Greci ‘siga siga’ (Σιγά σιγά), ‘piano piano’ e così via. Lo utilizzano in diverse situazioni. E un’altra cosa che è molto comune, perché lo utilizziamo nel quotidiano (on a daily basis) qui a Napoli, è l’aggettivo possessivo, soprattutto per quanto riguarda i membri della famiglia, (dopo il sostantivo). In italiano è ‘mamma’ – ‘mia mamma’. In napoletano è “mammema”. Quindi aggiungiamo l’aggettivo possessivo dopo la parola, che esattamente quello che fanno i greci ancora oggi. Ad esempio ‘i mitera’ vuol dire ‘la mamma’, ‘la madre’, ‘i mitera mou’ (η μητέρα – η μητέρα μου) – quindi il ‘mou’ sarebbe ‘mia’) va alla fine, va dopo la parola, come facciamo ancora a Napoli.

D: Se non sbaglio anche il latino funzionava alla stessa maniera, cioè veniva posposto (postpone) l’aggettivo possessivo e attaccato al sostantivo.

R. Devo alzare le mani (Raffaele usa queste espressione per esprimere una sua lacuna. Attenzione però! “alzare le mani su qualcuno” significa “picchiare qualcuno”), ho questa piccola lacuna (gap [in my knowledge]). Non ricordo bene il latino come funzionava.

D: Sono quasi certo che sia così anche in latino.

R: Però in italiano non esiste praticamente più, si può invertire l’aggettivo possessivo in alcuni casi (‘la mia amica’, ‘l’amica mia’) ma in napoletano è una regola grammaticale per quanto riguarda ad esempio i membri della famiglia.

D: Certo. Però quando diciamo l’espressione ‘Mamma mia!’, secondo te può essere un calco dal napoletano? Oppure no?

R: Io credo proprio di sì e non è per presunzione, per voler dire che tutto viene da Napoli, ma perché è una è una frase tipicamente napoletana. Anche se pronunciata alla napoletana sarebbe ‘mammama’, o ancora più, forse, popolare è ‘mamma ro Carmine’. In realtà, l’errore che si commette quando si ascolta ‘mamma mia!’, soprattutto all’estero, è che si pensa alla madre. Tu stai pensando a mia mamma, quindi io faccio un’imprecazione a mia mamma. Non ha molto senso. In realtà per noi ‘mamma’ in questo caso si riferisce alla Madonna. Quindi quando un napoletano dice ‘mamma ro Carmine’ si riferisce alla ‘Madonna del Carmelo’, che è una che una statua della madonna bruna che si trova in una chiesa in piazza del Mercato, una delle piazze più importanti a livello storico della città di Napoli. Non è tanto un riferimento (reference) alla madre, ma è un riferimento alla “madre di tutte le madri”, se lo vogliamo chiamare così, quindi credo proprio di poter dire che ‘mamma mia!’ ha origini in un modo dell’altro napoletane.
Però vale anche per altre parole. In napoletano non diciamo ‘la mia macchina’. In italiano non diresti mai ‘la macchina mia’. In napoletano è obbligatorio dire “a machina mia”, non puoi mai dire napoletano “a mi machina”. In napoletano va dopo l’aggettivo possessivo.

D: Volevo chiederti, come usi tu (o come usano in generale i napoletani) il napoletano nella loro vita di tutti i giorni? E magari farei una distinzione generazionale (=distinguere tra giovani, anziani, ecc.) tra i più giovani e i meno giovani. Perché trovo sempre molto affascinante il fatto che a Napoli, per quanto posso capire io, il napoletano è ancora molto usato, anche dai giovani, mentre dove vivo io (quindi provincia di Torino, ma anche Torino) il piemontese praticamente è sparito dalla vita dei giovani, a parte qualche parola che ogni tanto può essere riportata in superficie ed essere utilizzata. Questo è molto diverso Napoli. Io per primo (I, for one) per varie ragioni non parlo il piemontese, non lo conosco. Quindi sì, come viene utilizzato praticamente. E poi, seconda parte della domanda: qual è il rapporto tra l’italiano e il napoletano? Luca Lampariello, con cui abbiamo fatto un’intervista un po’ di tempo fa, diceva che per lui il romano è la lingua delle emozioni, la lingua istintiva e se qualcuno lo urta (hits him) per esempio per strada, anche in un paese straniero, gli viene da imprecare in romano e dire “Ma che sta affà?” (“ma che stai facendo?”). Succede lo stesso con te?

R: Posso avallare la tesi (support the view) Luca che fondamentalmente i dialetti o comunque le lingue madri..- tu prima hai detto che il napoletano è stato la mia prima o seconda lingua. In realtà non ho dubbi su questo, il napoletano è la mia prima lingua. È vero..- forse non in ordine cronologico, ma sicuramente in ordine di forma mentis (in latino “forma mentale, ovvero modo di pensare”). Nel senso, il napoletano lo ascolti misto all’italiano quando sei un bambino, diciamo un neonato. Poi quando vai a scuola cominci ad ascoltare a scuola esclusivamente l’italiano. Quando sei a casa i genitori generalmente vogliono che il bambino parli esclusivamente italiano a casa. Al punto da redarguire (scold, tell off) i bambini nel momento in cui parlano napoletano a casa soprattutto in presenza di estranei. Gli viene detto ‘parla bbuono (‘parla bene’). ‘Parla bene’ in questo caso vuol dire ‘parla italiano’. C’è questa prima dicotomia che ti fa capire come c’è una forma mentale per la quale parlare italiano vuol dire parlare bene e parlare napoletano vuol dire parlare male, in un certo senso. È semplicemente perché l’italiano lo impari a casa.. scusami, il napoletano lo impari a casa, lo impari con gli amici a casa, a scuola o per strada, mentre l’italiano lo impari fondamentalmente con l’input dei genitori quando sei molto piccolo, ma soprattutto con la televisione e con la con la scuola. Però si cresce perfettamente bilingui in questo caso. Spesso c’è il problema per i bambini più piccoli (soprattutto se e parlano molto spesso napoletano a casa) di fare un po’ un mix delle due lingue, quindi parlare italiano ma utilizzare delle parole napoletane mentre si parla italiano, o fare il contrario, quindi parlare napoletano ma all’improvviso metterci una parola che in napoletano non esiste o una costruzione che in napoletano non esiste. Quindi io mi sento di dire che il napoletano è la mia lingua, è la mia prima lingua e quindi per rispondere più in concreto alla tua domanda, sì anche anche a me per strada se mi urtano con la macchina sicuramente la prima imprecazione (curse, swear) è in napoletano, proprio non ci sto nemmeno lì a pensare (I don’t even have to think about it). Ma proprio perché il napoletano, come il romano per i romani sicuramente o il siciliano per i siciliani (non sono sicuro sia lo stesso nel nord Italia) è la lingua dell’istinto, è la lingua dell’anima, mentre invece l’italiano è un po’ più la lingua della testa, la lingua con la quale ti devi un attimo mettere lì e ‘switchare’ il cervello sull’italiano perché sei in una determinata situazione. Questa determinata situazione può essere il lavoro, può essere la scuola, può essere il parlare con una persona che non è di Napoli.. diverse situazioni. Ma in tutte le altre situazioni di relax – a meno che non si voglia essere molto chiari o meno che non si voglia dimostrare una certa quantità di rispetto (show some amount of respect) – si parla napoletano.

D: Quindi con un tuo amico di Napoli tu parleresti napoletano?

R: C’è qualche caso in cui parlerei italiano, magari se non ci vediamo da molto tempo e il rapporto non è più quello che era una volta. Probabilmente cominceremmo a parlare italiano: “da quanto tempo non ti vedo”. Ma la seconda domanda sarebbe in napoletano. Ecco ti ho fatto un esempio proprio così, pensato sul momento (off the top of my head = su due piedi). La seconda domanda (sarebbe) “Che fine hê fatto”, “che fine hai fatto”. Quindi anche in questo caso il napoletano è sempre lì pronto a subentrare a seconda delle situazioni (take over, depending on the situation). Diverso è (It’s a different matter) se stai parlando in una situazione un po’ più ufficiale, in quel caso è richiesto, tra virgolette, l’italiano.

D: Questo è molto interessante perché è qualcosa che per me è estraneo (foreign, outside of my experience) , anche perché a Torino c’è stata una grande immigrazione dal sud Italia e quindi, diciamo, si sono un po’ persi tutti i dialetti, sia il torinese per chi viveva Torino sia i dialetti meridionali per chi viveva (intendevo: veniva) dal sud e si è formato una sorta di italiano misto, in cui ci sono sia parole..- la maggior parte delle parole dialettali sono ovviamente torinesi, ma ci sono anche parole più  meridionali. Ti posso fare l’esempio della parola ‘mo’ (“ora, adesso” in italiano) – che penso sia napoletana o comunque in generale meridionale – che io utilizzerei, che utilizzo senza problemi in un linguaggio più colloquiale e sicuramente non è una parola del Nord. Per dirti, come siamo arrivati a un italiano torinese molto particolare.

R: Confermo che ‘mo’ è una parola meridionale, non so se sono napoletana ma sicuramente meridionale, ed è una di quelle lì che se raddoppi gli dai un significato più immediato. Quindi ‘mo’ vuol dire adesso, ‘mo mo’ vuol dire ‘immediatamente’. Però si, è un fenomeno molto molto interessante quello che dicevi e anche da parte mia è estraneo, nel senso che per me sarebbe impensabile non parlare il napoletano. Quindi il fatto che tu mi dica che a Torino ci siano poche persone..- o che comunque il dialetto piemontese o la lingua piemontese non è così diffusa mi lascia un attimo basito (surprises me – un attimo = un po’). Innanzitutto perché ogni volta che si perde una lingua è un peccato a livello internazionale e poi perché una delle ricchezze vere e proprie dell’Italia è la sua diversità linguistica. Una ventina di regioni, ognuna con la sua lingua (anzi, forse all’interno della stessa regione ci possono essere persino più più lingue o comunque più accenti della stessa lingua o più dialetti della stessa lingua).

D: Il fatto è che a Torino c’è stato appunto un grande misto di culture, di popoli. Quindi ci sono molte persone a Torino che hanno un genitore, se non entrambi i genitori meridionali. Dunque quando un genitore è piemontese (intendevo: quando entrambi i genitori sono piemontesi), magari il figlio sa il piemontese, quando invece magari c’è anche un solo genitore meridionale allora il piemontese tende a scomparire (scomparire=sparire). Quindi si perde, il che può essere triste. Nel mio caso, io sono 100% piemontese perché i miei genitori sono entrambi piemontesi, però i loro genitori (quindi i miei nonni), come hai detto anche tu, avevano questo atteggiamento di insegnare l’italiano perché quella era “la lingua buona”. Però diciamo che sono andati forse un po’ più oltre perché i miei genitori non usano mai il piemontese con nessuno, benché lo capiscano molto bene. Io essendo un gradino più sotto (a level downgradino = step) l’ho perso ancora di più e praticamente lo capisco un pochino ma non lo parlo assolutamente. Secondo me è vero per molti, soprattutto per chi ha genitori del Sud Italia, che sono davvero moltissimi. Anzi è più probabile avere un genitore su due del sud qua dove abito io (nella provincia di Torino) che avere entrambi i genitori piemontesi.

R: Capisco. È proprio così, come ti dicevo prima è un peccato. È un meccanismo fondamentalmente comprensibile e oggi stanno nascendo tante piccole associazioni o piccoli movimenti che cercano di proteggere le lingue regionali, perché sono uno dei patrimoni del mondo in genere e del nostro paese nello specifico.

D: Quali sono le origini del napoletano e perché il napoletano è una lingua così importante? Non so, immagino che tu possa magari fare qualche esempio anche della letteratura del napoletano, della poesia..

R: Allora, il napoletano è una lingua romanza, è una lingua neolatina come ce ne sono tante. Non sono soltanto le cinque o sei che si nominano (are named) sempre, ma ci sono poi tutte le piccole lingue – piccole più o meno – lingue regionali.

D: Anche perché come hai spiegato nel tuo video ci sono dai 6 ai 12 milioni di parlanti di napoletano, che è una cifra molto molto grande.

R: Eh sì, perché a tutti gli abitanti fondamentalmente della Campania vanno aggiunti tutti i napoletani o discendenti di napoletani che si trovano in giro per il mondo che hanno lasciato..- le cui famiglie, i cui avi (=antenati, ancestors) hanno lasciato Napoli dopo l’Unità d’Italia per cercare una nuova vita nel nuovo mondo e che quando poi sono arrivati dall’altro lato dell’oceano hanno cominciato a parlare l’inglese e il napoletano, perché loro non hanno mai effettivamente imparato l’italiano. E quindi adesso in alcuni quartieri di New York c’è questo mix di lingue tra l’inglese e il napoletano, ma magari in queste famiglie non si parla italiano. È un fenomeno molto interessante. Per farti solo un esempio che è lampante (striking, glaring example) a tutti, quando vedi un film doppiato in italiano, un film americano doppiato in italiano, la parte dell’italo-americano in originale ha un accento molto forte italiano, quando poi doppiano il film in italiano, la parte di quello che ha l’accento forte italiano viene spesso fatta da uno che ha un accento forte il napoletano o un accento forte siciliano.

D. Sì sì, anche celebri Simpson il.. non mi viene in mente il nome del poliziotto.

R. Il commissario Winchester.

D.Esatto. Lui viene doppiato con un accento napoletano.


Il commissario Winchester (Wiggum in lingua originale)

Sono Davide del futuro. Parlando di Simpson (serie che da piccolo guardavo sempre) e del commissario dei Simpson, ho fatto una scoperta: nella versione originale Winchester si chiama in realtà ‘Wiggum’. Questo forse perché in italiano ‘Wiggum’ avrebbe avuto un suono troppo strano. Volevo farvi sentire l’accento napoletano dato al personaggio nella versione italiana del cartone nella scena della macchina da scrivere invisibile (invisible typewriter), in cui il commissario fa appunto finta di scrivere ciò che Homer è venuto a denunciare (report, press charges) da lui. Notate anche come il riferimento a Steve Urkel, un personaggio della serie “Family matters”, in italiano “Otto sotto un tetto” viene completamente modificato nella versione italiana, probabilmente perché non sarebbe stato colto (=capito – get the reference = cogliere il riferimento) dal nostro pubblico.

In inglese
Homer: The alien has a sweet heavenly voice. Like Urkel. And he appears every Friday night, like Urkel.
Wiggum: Wow, your story is very compelling, Mr. Jackass. I mean, Simpson. So I’ll just type it up on my invisible typewriter.
Homer: You don’t have to humiliate me.

In italiano
Homer: L’alieno ha una voce dolce, celestiale, come Louis Armstrong e arriva sempre di venerdì, come il pesce fresco. Come il pesce fresco.
Winchester: Oh, la sua storia è irresistibile, signor Babbaleo, voglio dire Simpson. Allora batterò il tutto sulla mia macchina da scrivere invisibile.  
Homer: Non occorre umiliarmi.

R: Di esempi ce ne sono (tanti), si può prendere tutto il padrino, tutta la saga, per fare degli esempi. Ma ce ne sono tanti. I Soprano, per esempio. Quelli sono tutti italo-americani e quando dici italo-americani nel 90% dei casi stai parlando di italiani meridionali-americani, ecco. Italiani del Sud americani, napoletani o siciliani o calabresi o pugliesi, nella stragrande maggioranza dei casi. E quindi c’è questa trasposizione.

D: È anche interessante secondo me che questi italoamericani, (in) queste famiglie italo-americane la parte italiana della famiglia non parlava sicuramente italiano, perché era l’inizio 900 o la seconda metà dell’800 e quindi probabilmente le parole che ancora adesso vengono percepite come italiane in realtà erano parole probabilmente dialettali.

R: Sì, è proprio così. Io faccio.. Parlando proprio di numeri si dice che 12 milioni di napoletani abbiano lasciato Napoli dopo l’Unità d’Italia nel corso di quasi un secolo per andarsi a cercare una nuova vita altrove (=da un’altra parte). Oggi a Napoli includendo l’area metropolitana siamo tre milioni, quindi ci sono più napoletani sparsi per il mondo (scattered around the world) che nella città di Napoli stessa. I napoletani all’epoca, ma anche i siciliani quando lasciavano le loro terre fondamentalmente non parlavano italiano, quindi quando sono andati nel nuovo mondo parlavano la loro lingua (quindi siciliano e il napoletano) e poi hanno dovuto imparare l’inglese. Ma l’italiano in questa equazione entrava soltanto nel momento in cui si doveva cercare di comunicare tra un siciliano e un napoletano, tra un calabrese e un pugliese si cercava come lingua comune l’italiano.

D: Nonostante i parlanti di napoletano siano nell’ordine dei milioni, l’Unesco ritiene Il napoletano una lingua a rischio di estinzione (endangered, at risk of extinction). Perché è così e che cosa si può fare secondo te? È inevitabile che prima o poi accada questa eventualità (evento possibile)?

R: È assolutamente evitabile. Il problema della lingua napoletana è che è un paradosso: è così tanto diffusa è così tanto parlata, però non è per niente codificata, nel senso che non viene utilizzata, non viene insegnata, non viene imparata, non c’è una scuola di napoletano, neanche nella scuola dell’obbligo italiana non vengono previste le ore extracurriculari per studiare la lingua, la cultura napoletana. Il napoletano è una lingua soltanto parlata, è una lingua che sopravvive nel parlato quotidiano tra i genitori e che sopravvive tra la (nella) parlata (modo di parlare) degli amici ma non esistono giornali in napoletano, non esistono trasmissioni in napoletano, reti televisive in napoletano, la radio in napoletano e così via.

D: Non esistono nemmeno podcast come questo per imparare il napoletano, qualcuno dovrebbe farlo.

R: Se mi stai chiedendo se esiste “Podcast Napoletano”, non esiste. Forse mi hai dato un’idea per il futuro. Scherzi a parte, non c’è adesso questo “mettere nero su bianco” il napoletano e far sì che i ragazzi studino e apprezzino questa loro lingua. Allo stato delle cose attualmente la lingua è l’italiano, punto. Il napoletano è una parlata – viene vista come una parlata che si tramanda di padre in figlio (is passed down from father to child), fondamentalmente, senza una codificazione vera e propria. In realtà il napoletano ha le sue regole, ha la sua grammatica, ha un suo modo di essere scritto, ha un suo essere il suo modo di essere pronunciato. È semplicemente che non viene insegnato, non viene scritto, non viene utilizzato in maniera così formale. Quando succede questo ci sono obbrobri (abominations) quali.. non so, i ragazzi di oggi – ma non solo i ragazzi, tutti i napoletani, dai 10 agli 80 anni. Se gli chiedi di scrivere in napoletano faranno più errori che lettere, perché nessuno sa esattamente..- o meglio, una piccola percentuale sa esattamente come si scrive in napoletano e come si pronuncia. Questo è un pessimo segnale per la sopravvivenza della lingua, che non è in pericolo in quanto lingua parlata, ma è in pericolo in quanto lingua non codificata, lingua non protetta.

D: Questo credo sia un problema comune a tutti i dialetti o lingue – insomma, come si vuole chiamarli – italiani, perché anche il piemontese ha lo stesso identico problema, ovvero che non è ben codificato. Forse c’è una codificazione almeno del Torinese, però ci sono tante varietà e quindi è difficile trovare un modo unico di di scrivere il piemontese, e il napoletano è lo stesso.

R: Questo è inevitabile per qualsiasi lingua. La differenza è che quando poi una lingua viene selezionata (=scelta, picked), perché le lingue..- cioè, non esiste una lingua ufficiale di un paese che non sia stata selezionata; la lingua non assurge (=non si eleva allo stato di) da sola a lingua ufficiale, c’è qualcuno che la seleziona, la modifica, perché c’è un’accademia, c’è un’istituzione che se ne prende cura. Per l’italiano è la Crusca. Decide la Crusca se una cosa può essere detta oppure no o se una parola viene inserita nel vocabolario oppure no. Una lingua ufficiale è sempre una lingua che fondamentalmente esiste ma non esiste, perché non è altro che il mettere insieme lingue che si parlano una scelta zona geografica più o meno ampia. Poi si fa del lavoro di taglio e cucito (o “taglia e cuci”, prendere un pezzo di qua e uno di là), quindi si prendono alcune cose che si dicono una regione, alcune cose che si dicono un’altra regione. Esattamente quello che ha fatto Dante nel XIII secolo, il padre della lingua italiana. La sua lingua fondamentalmente, la lingua con cui ha scritto la Divina Commedia, non esisteva. Fondamentalmente è stata una sua creazione, o quella dei poeti del tempo come lui. Si è utilizzato il fiorentino aulico dell’epoca ma con l’inserimento di alcune parole o modi di dire che venivano magari dal siciliano. Quella poi è diventata la lingua italiana. La stessa cosa succede in Spagna con il Castigliano, in Cina con il mandarino. Sono lingue che vengono codificate, vengono selezionate come lingue ufficiali – e tutte le altre che vivono e continuano a svilupparsi sul territorio, che non hanno poi questo stato ufficiale, vengono viste un po’ come lingue secondarie, lingue minoritarie, lingue regionali o persino dialetto. Spesso soprattutto in Italia si usa il termine dialetto come.. quasi a voler essere essere dispregiativo (derogatory). In realtà vuol dire semplicemente “un’altra parlata”. Però sì, fondamentalmente dietro tutto questo ragionamento si nasconde sempre o quasi sempre un ragionamento politico (political reasons), ovvero si vuole cercare di non dare troppa importanza alle lingue regionali per darla invece alla lingua unica, alla lingua unitaria. Quindi per tenere unito livello culturale il paese si difende la lingua nazionale e si bistrattano un po’ le lingue invece regionali.

D: Quindi abbiamo detto che il napoletano non è codificato e immagino che anche per questo motivo ci siano diverse varietà di napoletano. Volevo chiederti quanto è vera questa affermazione e quanto siano diverse le diverse varietà. Puoi capire un napoletano di un’altra città della Campania oppure potresti avere delle difficoltà?

R: Ci sono alcuni dialetti del napoletano, nella regione della Campania, che sono più difficili da capire rispetto ad altri. Non so, mi viene in mente il dialetto di Pozzuoli, quello di Torre del Greco o in alcuni casi anche delle zone di Avellino. Persino nel nel sud della Campania c’è.. adesso non ricordo esattamente la località, ma c’è una località del Cilento in cui si parla una versione del napoletano che è molto più vicina al siciliano, che non al napoletano. Come ti dicevo prima, le le lingue sono organismi viventi (living organisms), quindi si sviluppano in maniera simbiotica con il territorio. È impensabile pensare che senza l’intervento umano in due parti differenti del mondo si parli esattamente la stessa lingua. Quindi nel napoletano..- diciamo, quello che dà poi vita alla cultura napoletana, alla musica, alla canzone, al teatro napoletano è generalmente quello che si parla a Napoli, ma ogni singola città, ogni singola zona della regione della Campania avrà una sua versione del napoletano, con modi dire specifici, con pronunce specifiche. Addirittura alcuni vanno più in là (go beyond) e dicono che il napoletano in realtà è un insieme di lingue, ovvero tutto l’insieme delle lingue che si parlano nel sud Italia fatta esclusione per la Sicilia e il sud della Puglia e il sud della Calabria. Quindi c’è qualcuno che dice nel sud Italia si parlano due lingue: il napoletano e i suoi dialetti e il siciliano i suoi dialetti. Io adesso non sono esattamente convinto di questo perché credo che se diciamo a un pugliese che parla napoletano sono sicuro che in tanti storceranno il naso (frown, turn up their nose = non apprezzare, essere infastiditi). Però fondamentalmente c’è un fondo di verità (kernel of truth) in questo, è fondamentalmente una questione storica e geografica.


La Campania e le sue lingue

D: Se qualcuno che ci sta ascoltando volesse imparare un pochino, magari qualche base di napoletano, magari per addentrarsi (explore, study) nella cultura di Napoli, da dove può iniziare? So che hai consigliato 4 libri nel tuo video, di cui abbiamo parlato.

R: Sì, adesso non ricordo esattamente quanti e quali, ma diciamo che i miei punti di riferimento, anche da napoletano..- insomma, io sono stato il primo ad aver acquistato questi libri proprio perché non c’è un altro modo per capire come si scrive il napoletano o come funziona il napoletano. Chiaramente lo parliamo tutti a Napoli il napoletano, però possiamo dire che la (nella) stragrande maggioranza siamo analfabeti di napoletano. Ovvero lo parliamo ma non sappiamo né scriverlo, né leggerlo. Quindi io non ho resistito e sono andato ad informarmi sulla materia per uscire da questo “analfabetismo regionale”. I libri che sono stati più d’aiuto sono stati fondamentalmente due, uno proprio per le spiegazioni grammaticali, e questo libro si chiama “Vall’a capì: storia e grammatica della lingua napoletana”, “Vallo a capire” – che è un modo di dire qui a Napoli molto comune per dire “come fai a capire quello che vuole dire questa persona?” – di Maria d’acunto. E un altro libro,  invece, uno dei miei preferiti – spesso lo do il regalo ad amici non napoletani appassionati di Lingue – ed è la traduzione in napoletano del Piccolo Principe. Quindi in napoletano “O princepe Piccerillo” e il traduttore è Roberto D’Ajello, che ha tradotto anche altre opere, quindi per chi poi trova interessante questa lettura D’Ajello ha fatto altre traduzioni di opere famose a livello internazionale, sempre tradotte in napoletano.

D. Va bene, ci hai dato molte informazioni, tutte interessanti, a me in primis perché ho scoperto molte cose che non sapevo, dunque ti ringrazio di cuore.

R. Ringrazio te per avermi ospitato e per me è sempre un piacere parlare di lingue. Quando parliamo di lingue, di napoletano e di Napoli il piacere è moltiplicato all’ennesima potenza  (to the nth power).

D.Se dovessimo salutare i nostri ascoltatori in napoletano che cosa potremmo dire?

R: Senza dubbio “Stateve buono” (“statevi bene”) che è un po’ il nostro arrivederci. A Napoli usiamo molto spesso arrivederci, ma arrivederci non è una parola napoletana, è un italianismo. Ma è molto più comune sentire dire “Statte buono” o “Stateve buono”.

D. E ti chiedo ancora di tradurre in napoletano la frase che dico sempre alla fine dei miei episodi, ovvero che si può ascoltare (intendevo: leggere) la trascrizione di questo episodio sul sito podcastitaliano.com se non l’avete già fatto.

R: “Putite sentì (leggere) ‘a trascrizione ‘e chistu episodio ncoppa a podcastitaliano.com se nun l’avite fatto già.

D. Grazie mille, grazie ancora e magari ci rivedremo in altri episodi.

R. Grazie Davide, grazie a te per avermi ospitato. Sicuramente hai la mia disponibilità per futuri episodi.

D. Alla prossima, ciao!

R. Ciao, un abbraccio!

Se siete arrivati fin qua innanzitutto vi faccio i complimenti perché era un’intervista decisamente lunga, la più lunga che sia uscita finora sul podcast. Dunque complimenti. Grazie ancora per l’ascolto e ci rivedremo nei prossimi episodi.
Alla prossima!

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