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Luca Lampariello e i dialetti e accenti italiani, prima parte

Interviste
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5

April 26, 2017

Note e risorse

Trascription

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Benvenuti su Podcast Italiano, questa è la terza intervista o conversazione che ho fatto con Luca Lampariello, un poliglotta italiano come me, romano, straordinario. Il tema della conversazione di oggi sono i dialetti italiani. Ho deciso di dividere l’intervista in due parti perché era venuta davvero lunga, e in questa prima parte parliamo dei dialetti in generale, della differenza tra dialetto e lingua, del romanesco, che se non è un vero e proprio dialetto è comunque una parlata, un modo di parlare italiano e Luca ce ne dà qualche esempio, essendo lui di Roma. Inoltre parliamo dell’influenza dei dialetti sulla lingua italiana.

Spero possa piacervi l’episodio e vi auguro buon ascolto.

D: Ciao Luca, grazie di essere di nuovo con noi su Podcast Italiano!

L: Ciao Davide, come stai?

D: Molto bene, tu?

L: Anche io benissimo, è arrivata la primavera e sono molto contento, anche se in realtà tra poco vado a Berlino e quindi cambio aria, un po’ più fresca… proprio quando arriva un po’ d’aria calda qua, ma insomma sono contento lo stesso. Si sta “una bomba” (awesome), come si dice.

D: Una bomba, una bomba… per parlare di dialetti. Vabbè, “una bomba” è abbastanza universale in Italia.

L: Si, penso proprio di sì.

D: Sì, oggi appunto parliamo di dialetti, che si possono definire come una delle “stranezze” (peculiarities – peculiarità) della situazione linguistica italiana, qualcosa che genera anche dei problemi per gli stranieri che vengono da noi e che imparano l’italiano. Appunto, abbiamo tantissimi dialetti ed è spesso difficile spiegare a uno straniero che cosa vuol dire dialetto, perché il loro concetto è diverso dal nostro: per noi i dialetti sono lingue diverse, penso al concetto.. non so, un americano intende qualcosa di completamente diverso con “dialect”. Volevo chiederti, qual è il tuo rapporto con i dialetti e come spieghi anche agli stranieri appunto questa peculiarità nostra.

L: Allora, innanzitutto vorrei dire che il concetto di dialetto e il concetto di lingua sono inseparabili l’uno dall’altro, nel senso che un dialetto può essere anche visto come una lingua a seconda di come si vedono le cose, quindi le cose sono un po’ più complicate da definirsi. Hai detto una cosa interessante, che “dialetto” in altre lingue come l’inglese significa anche “accento”, non necessariamente “dialetto” in termini di una versione locale della lingua, no?

D: Sì.

L: E in realtà “dialetto” deriva proprio dal greco “diàlektos”, che all’inizio significava “conversazione” e poi anche “lingua di un determinato popolo”. La parola dialetto viene usata per la prima volta nel 1724 da un certo Anton Maria Salvini e ti cito, perché sto leggendo qui da questo “L’italiano: conoscere e usare una lingua formidabile” che è una serie. Scrive: “I vostri natii dialetti vi costituiscono cittadini delle vostre sole città. Il dialetto toscano appreso da voi, ricevuto, abbracciato (here meaning “embrace“, not “hug”), vi fa cittadini d’Italia”, nel senso che l’Italia per la sua storia è una serie di regni, quasi, è una serie di stati, di regni che poi sono diventati 160 e più, anni fa – nel 1861 l’Italia si è unificata e la cosa interessante è che 100 anni fa, un po’ più di 100 anni fa, la percentuale di persone che parlavano l’italiano, come lo stiamo parlando io e te, era il 2% della popolazione: tutti gli altri parlavano un dialetto, quindi una forma locale. Quindi, il motivo per cui ancora in Italia si parlano tanti dialetti è perché viene dalla nostra storia e il motivo è semplicemente che noi eravamo una serie di stati che poi si sono uniti  e ogni stato aveva… ogni stato, ogni regno, il Vaticano stesso, le entità politiche, “geopolitiche” si sono poi aggregate ed erano tutte diverse, quindi un romano parla in un modo diverso da un fiorentino che parla in un modo diverso da un torinese, eccetera eccetera. Quindi l’Italia ha una varietà dialettale enorme, anche all’interno dei dialetti locali. Per dirti, ci sono i dialetti settentrionali, quelli centrali e quelli meridionali e anche all’interno di una zona come Roma, nel Lazio, il dialetto, il modo di parlare, varia da chilometro a chilometro, addirittura. Quindi c’è una varietà linguistica eccezionale in Italia, dovuta sostanzialmente alla storia.

D: Sì, sì. Tra l’altro ho anche scritto e registrato due episodi sullo stesso tema, uno di livello intermedio e uno avanzato, per chi è interessato a questo tema che è molto interessante… come hai detto ci sono centinaia o anche migliaia, perché poi contarli è un’impresa ardua se non impossibile.

L: Poi ci sono i dialetti centro-meridionali, centro-settentrionali, centrali: per esempio, il lombardo c’è il lombardo occidentale, orientale, alpino, novarese; il veneto è lagunare, meridionale, centro-settentrionale, veronese, triestino-giuliano… quindi ci sono varie entità locali, quindi all’interno, se uno guarda la mappa d’Italia, si può distinguere all’inizio come una macro distinzione fra nord, centro e sud. All’interno, in seno al (within) nord ci sono poi varietà e in seno a queste varietà ci sono altre varietà, quindi l’intero schema, il modo di vedere, è molto elastico, non solo per i dialetti: poi c’è l’italiano standard, l’italiano dell’uso medio, l’italiano regionale delle classi istruite (educated), quello regionale delle classi popolari, il dialetto regionale, quello locale… cioè, se uno osserva il fenomeno linguistico in Italia è vastissimo e lo puoi guardare da tante angolature. quindi è linguisticamente una delle regioni del mondo più interessanti da questo punto di vista, ma anche altre lingue hanno tanti dialetti all’interno. Ti faccio notare, che è interessante: in Spagna quelli che teoricamente in Italia potrebbero essere chiamati dialetti, li chiamano lingue: il catalano è una lingua per loro, non è un dialetto, mentre in Italia magari potrebbe essere un dialetto, perché in fondo il catalano non è così diverso dallo spagnolo come il napoletano lo è con l’italiano, o il veneto.

D: Sì, da noi ci sono solo alcuni dialetti che hanno lo status di lingua come, mi sembra, il veneto, il sardo e forse qualcun’altra, però non è così ben chiarita la questione come in Spagna.

L: Esatto, perché il romano per esempio non esiste più come entità dialettale, esiste una parlata romana (way of speaking) Dici “Aò, ma che sta a ffà?” (in ITA: Oh, ma che stai facendo?). Ma quello lo capisci anche  tu, no?

D: E appunto..

L: Certo, ci sono poi delle espressioni.. [ride] dimmi, dimmi

D: Sì, volevo parlare appunto.. entrare nel merito del romanesco perché è un caso probabilmente un po’ a parte (caso a parte = special case), perché solitamente si dice appunto che il romanesco non sia un dialetto, nel senso che non è così separato dall’italiano come altri dialetti, come possono essere altre parlate (intendevo “dialetti”) anche del centro Italia, ma sia più una parlata, un modo di parlare in italiano.

L: Sì, anche perché grazie alla radio e alla televisione il romano è entrato “a far parte” dell’immaginario collettivo (=tutti sono abituati a questo modo di parlare) con i vari film in cui si parlava romano, i personaggi simpatici romani come Cristian De Sica o Verdone. Chi è che non conosce Verdone, i film di Verdone? Quindi il romano grazie a questi attori è diventato non dico di uso comune – non è che un milanese parla romanesco, ma insomma comunque capisce espressioni romane, le capisce abbastanza. Poi ovviamente non tutte, ecco, ce ne sono alcune che sono probabilmente incomprensibili. Anzi, l’altra volta eravamo con un amico milanese e io ero con i miei amici romani e ci siamo accorti di quanto lui effettivamente non capisse cose che per noi erano scontate (obvious). Cioè, io parlando con i miei amici dicevo certe cose e lui a un certo punto timidamente si intrometteva (=ci interrompeva) e diceva: “Scusate, non ho capito” [ride]. Non ce n’eravamo nemmeno accorti che lui non capisse, dando per scontato che (assuming that, thinking that) come italiano, in quanto italiano ci capisse e invece no, era perso.

D: Ecco, se ci puoi qualche esempio magari di espressioni romanesche che possono essere un po’ oscure sia per altri italiani che a maggior ragione (even more so) per stranieri.

L: Guarda, te la metto in una conversazione immaginaria, no? Tu prova a pensare. Ti faccio una conversazione possibile fra me e un mio amico. Ovviamente non è quello che dicevamo, ma giusto per farti capire in contesto come vengono usate queste espressioni. Supponiamo che incontro un mio amico e dico:

  • Oh, senti t’ho chiamato l’altra volta, ma che stavi affà? Non me rispondevi
  • E niente, stavo sotto ‘e pezze
  • Ah, ma perché?
  • Niente, c’avevo una giornataccia ieri, ho infrociato. Vabbè, comunque m’arimbalza perché tanto me ripagano la carrozzeria, l’assicurazione. Ah, e poi ho incontrato una tizia e niente, praticamente ho capito che me stava a batte i pezzi e niente, c’ho imbrodato.
  • Ma ‘nsomma, te stava a ‘mbastì?
  • E sì, e io l’ho buttata in caciara e poi è andata bene.

Ecco, così parlavamo. Non so quanto hai capito della conversazione [ride]

D: Sì, questo anche per me, che di solito capisco il romanesco senza troppi problemi – se inserisci tutte queste espressioni molto idiomatiche diventa anche per me una lingua.. diventa arabo.

L: Ma non solo le espressioni idiomatiche, ma anche le citazioni dei film romani. Lo dovresti vedere in azione proprio che succede, soprattutto con i miei amici. Però per dirti, per tradurre in italiano:

Ciao, come mai non m’hai risposto prima? “Stare sotto le pezze” significa “stare sotto le lenzuola”, quindi “dormire”. “Alle tre stava già sotto le pezze”, stava già dormendo. Infrociare vuol dire “fare l’incidente con la macchina”. Non mi chiedere che ha a che vedere con “infrociare”. “M’arimbalza” vuol dire “mi rimbalza”, cioè “non mi dà fastidio”, “qualsiasi cosa fai m’arimbalza”, “mi rimbalza”, “non mi dà fastidio”. “Me sta a batte i pezzi”, quando qualcuno batte i pezzi a qualcuno significa che ci sta provando con qualcuno. Non ho detto mi sa.. ce n’era un’altra che ti volevo dire “che gianna che tira”. “Che giannetta” vuol dire che vento che tira, la gianna di Roma.

“Je stai a imbastì”, “Je la stai a imbastì” si dice per esempio quando qualcuno ti parla, può essere sia per una ragazza, se tu cerchi di rimorchiare (hit on) una ragazza “Imbastirla a qualcuno” significa “Mettergliela in un modo da ottenere quello che vuoi”, nei risultati. Questo vale per qualsiasi cosa. Poi c’è la mitica “la stai a buttà in caciara” (confondere la situazione con le parole) che immagino la capirai anche tu, penso sia entrata anche quella nel linguaggio comune.

D: Sì, è forsa l’unica tra queste che è abbastanza chiara, penso, per qualsiasi italiano.

L:Sì, però diciamo, anche se tu non capisci le singole espressioni all’interno di una serata capirai quasi tutto. Quindi semplicemente se fai delle domande, stai a Roma per – che ne so – due mesi, rapidamente impari.. è facile da capire non è come.. a me è capitato di sentire il dialetto veneto (Veneto – regione di Venezia) e pure il napoletano stretto e.. è difficile. Mentre alcuni come il salentino (Salento – sud della Puglia)  lo capisco di più perché ho origini calabresi (Calabria – regione meridionale), il calabrese stesso.. ci sono dei dialetti in Italia che sono difficili da capire se non li pratichi, non li ascolti. Quindi la distinzione fra dialetto e lingua a sé è un po’ particolare.

Ma per quanto riguarda il romano direi che è più una parlata che un dialetto. Il vero dialetto parlato da Trilussa, per esempio, il famoso poeta romano, si è “estinto” (has died out). Quello era, diciamo, sempre simile all’italiano ma aveva più connotazioni (aspetti, caratteristiche) dialettali, aveva più un’identità propria rispetto a questo italiano (romano) che si è un po’ diluito (diluire = water down). Perché poi la parte interessante di tutto questo è che l’italiano “influenza” i dialetti e i dialetti influenzano l’italiano. Per dirti, ci sono delle parole, come – che ne so -”Iella”, oppure la stessa.. c’è un’altra parola tipo “cosca” (famiglia mafiosa siciliana). La “cosca” è un tipico termine siciliano che è entrato nell’italiano corrente. “Iella” (sfortuna, bad luck), “lo iellato” (plagued by bad luck)  è la stessa cosa, è un termine napoletano che è entrato [nell’italiano]. Per esempio adesso, per parlare di come i dialetti aggiungono o contribuiscono al vocabolario in italiano, ti faccio un esempio dal piemonte, che è la regione tua. “Cicchetto” (shot di alcol)  “la fonduta” (fondue), “il grissino” sono parole piemontesi. Oppure dalla Lombardia “barbone” (hobo, homeless), “risotto”, “panettone”, “pirla” (idiota, stupido) – il famoso “pirla” che ormai usiamo spesso, ma in realtà è dialettale. Da Roma “cocciuto” (testardo, stubborn), “burino” (similar to rube, hillbilly), “caciara” (vedi sopra) “pischello” (giovanotto, young boy). Dalla Sicilia “intrallazzo” (di solito politico, scheme, intrigue, manouvre), “cannolo”, “cosca”, “omertà”. Da Napoli la “pizza”, “jettatura” (malocchio, evil eye, causing bad luck), lo “scugnizzo” (ragazzino cattivo, monello di strada). Dall’Emilia “sballottare” (to shake, to agitate), “tortellini”. Da Venezia “giocattolo” (toy), “lido”, “gondola”.

Quindi c’è un grande contributo da parte dei dialetti nella lingua italiana, perché dal Piemonte (per esempio) entrano queste parole e si sono diffuse anche attraverso la televisione e attraverso la radio.

E poi ti volevo dire un’altra cosa, che è interessante come il dialetto ha molteplici chiavi di lettura (ways you can interpet it). Ha un criterio geografico – dove si parla il dialetto. Ha un criterio sociale – nel senso che il dialetto si usa in certi ambiti sociali e culturali più ristretti rispetto alla lingua italiana. Noterai che se un siciliano parla.. O anche in Puglia, l’ho visto io, parla solo in dialetto – io avevo un amico che parla solo ed esclusivamente in dialetto con i genitori, ma se va in banca o se ha a che vedere, non lo so, con funzionari di polizia, o con altre.. con “lo stato” si parla l’italiano, in certi contesti.
Poi ha un criterio gerarchico (hierarchical). Perché il sistema linguistico del dialetto è concepito come un sistema secondario rispetto a uno dominante.

E poi ha un criterio funzionale che è quello, diciamo, come ti dicevo.. Un sistema linguistico non utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-scientifico. Chi è che usa il dialetto per scrivere una tesi (thesis)? Nessuno. Quindi ci sono questi quattro criteri con cui si può guardare il dialetto, che, come ti dicevo prima, potrebbe sembrare “inferiore” alla lingua, perché la lingua ha anche una funzione prescrittiva e descrittiva. Nel senso che ha delle regole formali, grammaticali, mentre il dialetto non ce le ha. Ma in realtà sono due sistemi che si completano a vicenda (complement each other) e nessun sistema è superiore all’altro, sono semplicemente due sistemi linguistici che si definiscono uno rispetto all’altro (in relation to one another) ma la cui definizione è molto vaga e dipendente da vari tipi di contesto anche.

D. Sì, e poi come hai detto si influenzano a vicenda. Per esempio, io non parlo il piemontese. Però so che il piemontese parlato a Torino, come sostanzialmente, penso, in tutte le grandi città, il dialetto che si parla è molto “italianizzato”. Non è così “puro” come quello che si può parlare più fuori, e viceversa. Ci sono espressioni che persino io che non parlo il dialetto ritengo italiane e a volte mi sorprendo nello scoprire che non lo sono. Penso che l’esempio più eclatante (striking) – noi utilizziamo l’espressione “solo più”. Che però in italiano è assolutamente strana e incomprensibile, ma per me è assolutamente normale e la uso come se fosse italiano. Significa, per esempio “ci sono solo più due persone” che vuol dire praticamente “rimangono due persone”, ce n’erano di più e ne sono rimaste due. Per me è assolutamente italiana e sono stato shockato dallo scoprire che non lo era, qualche anno fa. Quindi a volte non si percepisce neanche…

L. È molto interessante come la propria identità si percepisce più facilmente quando sei a contatto con persone di altre entità, che ti fanno notare (point out to you) “ma questo non si dice”, “questo si dice così”, “questo non lo capisco, noi diciamo così”. E questo è il bello; la diversità, il confronto, lo stare a contatto con altri ci arricchisce non solo quando parliamo altre lingue ma quando parliamo delle variazioni della stessa lingua madre.

Ci fermiamo qui con l’episodio oggi, presto uscirà la seconda parte in cui Luca ci darà dimostrazione delle sue abilità di imitazione dei dialetti italiani, che è davvero molto interessante e bello da poter osservare. Inoltre parleremo di altri argomenti come il destino dei dialetti e di come sono visti i dialetti dagli stranieri che arrivano in Italia. Vi ringrazio per l’ascolto e alla prossima.

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