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Raffaele Terracciano e la sua esperienza con le lingue, prima parte

Interviste
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7

January 12, 2018

Note e risorse

Trascription

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Benvenuti su Podcast Italiano! Oggi vi presento la prima parte di una nuova intervista con Raffaele Terracciano, un poliglotta di Napoli che conosce la bellezza di (as many as) 9 lingue straniere. Di professione fa la guida turistica, il coach linguistico e collabora con il sito di lingue Italki. Per me è stato davvero un piacere conoscere Raffaele, una persona davvero simpatica, modesta e che non può che sorprendere chi lo senta parlare tutte le lingue straniere che ha appreso nel corso degli anni.
Se già non state leggendo la trascrizione questa intervista, vi ricordo che è disponibile sul sito podcastitaliano.com
Ho diviso l’intervista in due parti perché durava ben cinquanta minuti. Nella prima parte parliamo della prime 5 lingue straniere che ha imparato. Proseguiremo il percorso linguistico di Raffaele nel prossimo episodio.

D.Ciao Raffaele!

R. Ciao Davide!

D. Volevo innanzitutto ringraziarti per aver acconsentito a questa intervista. È un onore averti qua su podcast italiano: avere un esponente (member) della comunità di poliglotti e uno come te che sa 9 lingue straniere, l’italiano e il napoletano, assolutamente considerabile come lingua, poi ne parleremo.  

R. Sei troppo gentile! Assolutamente un piacere mio poter fare due chiacchiere con te.

D. Volevo iniziare da una domanda abbastanza filosofica, ovvero: “Perché impari le lingue?”

R. Oddio, cominciamo subito col botto (with a bang)!

D. Partiamo col botto.

R. Partiamo forte. Perché imparo le lingue? Imparo le lingue per curiosità. Io credo che il motore di tutto, soprattutto all’inizio, per quel che mi riguarda (as far as I’m concerned) sia stata la curiosità: sin da piccolo sono stato molto curioso sotto diversi aspetti (in many ways), ma in particolare per quanto riguarda le lingue. Quindi, quando mi veniva a trovare mia zia che abitava in Inghilterra e parlava in inglese al telefono con con le amiche o con le colleghe, ero troppo curioso di sapere cosa stessero dicendo e ti di scoprire quei suoni così diversi.  Ricordo ad esempio che trovai un vocabolario di spagnolo in una libreria di una cugina e adesso posso confessarlo: rubai quel dizionario di spagnolo, lo portai a casa.

D. È passato abbastanza tempo. Non penso ci siano rancori.

R. Adesso lo possiamo dire. Credo si sia disintegrato (fell apart) quel dizionario dal tanto tempo che è passato (after all this time). Però sì, questo a dimostrazione che (to prove that, to show that) sono sempre stato molto curioso nei confronti delle lingue e poi con i primi viaggi che ho fatto ho scoperto l’utilità pratica del parlare le lingue, quindi andare in un posto in cui non parlano un’altra lingua che (= a parte) quella locale e trovarsi una situazione in cui non si capisce assolutamente nulla di quello che dicono. Quindi ho sempre voluto colmare questa lacuna (fix this weakness) e quando poi sono rientrato (=ritornato) dai primi viaggi da adolescente ho deciso di cominciare ad imparare le lingue una alla volta.

D. Quindi c’è sia un aspetto di curiosità verso un mondo che non conoscevi e un aspetto più pratico: poter usare le lingue in paesi stranieri.

R. Sì, credo che imparare le lingue sia il connubio (marriage, combination) di questi due aspetti. Devi avere la curiosità o comunque un motore personale che ti spinga ad  imparare le lingue. Per alcuni può essere semplicemente curiosità, per alcuni può essere – non so –  la ricerca di un lavoro all’estero, per alcuni può essere il fatto che magari la tua fidanzata è inglese e poi c’è il fattore pratico, ovvero puoi anche studiare per sempre ma se non metti in pratica prima o poi quello che hai imparato rimane… rimangono nozioni teoriche.

D. Sterili (useless, unproductive – metaforico).

R. Sì  e la lingua può essere tutto, le lingue possono essere tutto, ma non possono essere qualcosa di soltanto teorico: per definizione una lingua è un qualcosa di attivo, di pratico.

D. Certo. Ti ricordi qual è stato il primo momento, il tuo primo contatto con una lingua straniera, a quale età più o meno sarà avvenuto (il tempo futuro qui significa “probabilmente”)?

R. Oddio, credo che gli episodi che ho accennato (I’ve mentioned) siano tra i primissimi.  Ricordo che da piccolo ero un grande fan di una squadra di calcio spagnola – il Real Madrid – probabilmente la squadra più famosa del mondo. Compravo i giornali sportivi, i settimanali (weekly magazines) sportivi che parlavano dei campionati esteri e sono sempre stato incuriosito da quello che succedeva fuori dall’Italia, sono sempre stato definito esterofilo (xenophile = chi ama i paesi e le culture estere) sin da piccolo e quindi poi diciamo che la prima vera esperienza con le lingue straniere è stata cercare di imparare a pronunciare i nomi dei giocatori stranieri sia del nostro campionato italiano, sia dei campionati esteri. Da piccolissimo, parliamo di non so, 8 anni d’età no-… diciamo dagli 8 ai 10 anni d’età, più o meno, è stata l’età in cui compravo costantemente questi giornaletti sportivi.

D. Vorrei tracciare un po’ il tuo percorso e ripercorrere (retrace) la tua esperienza con le 9 lingue. Tu sei italiano, sei napoletano, quindi partivi da quelle due lingue.

R. Sì, partivo da quelle due lingue, anche se non credo di aver avuto cognizione del fatto (I was aware of the fact) che il napoletano e l’italiano sono in realtà due lingue distinte e separate fino poi ad un’età matura. Questo è un discorso di cui magari parliamo più nel dettaglio più avanti.

D. Sì, parleremo nel prossimo episodio di questo, del ruolo che hanno queste due lingue.

R. Parlando di lingue straniere, chiaramente è stata l’inglese, credo come la maggior parte dei ragazzi che si avvicinano alle (are approaching = iniziano ad imparare) lingue straniere.

D. Nel mio caso è stato il francese, il mio è un caso strano, però io alle elementari ho fatto francese, nonostante io abbia 22 anni.

R. Soltanto francese?

D. Ho fatto solamente francese, l’inglese l’ho iniziato le medie. Un caso abbastanza peculiare. Però io ho avuto…

R. Probabilmente fai parte di una di una minoranza (minority), magari non strettissima, ma sicuramente una minoranza, visto il fatto che l’inglese è ovunque ed era già ovunque quando io ho cominciato ad affacciarmici (getting to know it, being exposed to it), quindi sicuramente lo abbiamo studiato a scuola, ma a partire dalle scuole medie e quindi all’età di 10 anni. E io ricordo che già all’epoca ero abbastanza bravo in inglese, perché ero il punto di riferimento (=tutti chiedevano a lui) dei miei compagni di classe quando c’erano da fare delle traduzioni o dei compiti e anzi il professore di inglese -anzi vari professori di inglese che abbiamo avuto alle medie – mi incoraggiavano a fare dei compiti extra, quindi magari a scrivere dei piccoli articoli su argomenti a piacere (at will) per motivarmi. Quindi in realtà non posso dire di avere imparato l’inglese a scuola e credo che questa è una cosa che possiamo dire in pochissimi (few of us can say), in Italia. In realtà mi ci sono avvicinato già da prima. Probabilmente il mio primo vero avvicinamento (vedi sopra, “si avvicinano alle”) alla lingua inglese come tantissimi ragazzini è stata la musica. Io ho il vantaggio di avere una sorella più grande di 6 anni e un fratello più grande di 2 anni e soprattutto mia sorella era appassionata di musica. Quindi io già da piccolino, già dall’età di 8-9 anni, prendevo in prestito i suoi cd musicali che magari avevano il libretto (booklet) all’interno con con i testi delle canzoni e quindi mi divertivo a cercare di seguire quello che veniva detto nelle canzoni e facendo questo così un po’ per gioco (for fun), poi qualcosa ti resta (something sticks in your mind) e quindi quando siamo arrivati alle scuole medie e poi al liceo, dove si studia un po’ l’inglese, sono partito con un bel po’ di vantaggio rispetto ad altri ragazzi che non avevano questa curiosità.

D. Si,  anche la mia situazione è simile. Anch’io mi sono avvicinato l’inglese con la musica perché ho un fratello più grande che ascoltava soprattutto musica inglese, anzi io volevo studiare l’inglese probabilmente – adesso non mi ricordo  – ma probabilmente già alle elementari; invece dovevo studiare il francese, che odiavo.

R. Faccio io a te una piccola domanda: ma lo odiavi perché lo studiavi o lo studiavi e quindi lo odiavi?

D. Non so, probabilmente entrambe le cose, probabilmente era un circolo vizioso (vicious cycle), non so. Non mi piaceva il suono – questo è un elemento importante – non capivo perché dovevo studiarlo.

R. Ti ho fatto questa domanda proprio perché credo che il fatto che tanti, soprattutto italiani, percepiscano l’Imparare le lingue straniere come un obbligo, perché è una delle materie che si studia a scuola (devo studiare l’inglese così come devo studiare la matematica) sia uno dei motivi per cui poi gli italiani non siano esattamente tra i migliori al mondo nel parlare l’inglese o le lingue straniere.

D. Dunque l’inglese è stata quindi la prima lingua. Volevo chiederti, a parte le carenze (=lacuna, shortcomings) del sistema italiano, comunque sei stato incoraggiato dai tuoi insegnanti?

R. Sì, devo dire la verità, ho sempre avuto buoni professori di inglese sia alle medie che poi al liceo e in un modo o nell’altro hanno sempre cercato di spronarmi (encourage, spur) a non accontentarmi di (settle for, be happy with) quello che conoscevo già, ma ad andare oltre… quindi magari, se era necessario, fare qualcosa in più rispetto a quello che facevano i miei compagni di classe per tenere alta la mia motivazione. Questo devo riconoscerlo.

D. Sì, questo penso sia importante e penso che non tutti abbiano questa fortuna, perché ci sono insegnanti decisamente disinteressati che non sono capaci a motivare i propri allievi. Forse in questo caso ti è andata meglio di molti.

R. Sì sì, devo dire la verità, mi ritengo fortunato (I consider myself lucky) sotto questo punto di vista. Chiaramente non tutti i professori, ne ho avuti diversi tra le medie e il liceo. Purtroppo ne cambiavamo spesso e non tutti sono stati così comprensivi (meglio: disponibili) o così lungimiranti (forward-looking), ma io ho cercato sempre di non perdere quello che era il mio interesse per la lingua, indipendentemente da come andasse a scuola.

D. Dopo l’inglese cosa c’è stato?

R. Dopo l’inglese ci sono stati piccoli flirt con tantissime lingue, per un motivo o per l’altro. Sempre in base agli interessi della mia vita personale, degli hobby e quant’altro. Quindi mi sono avvicinato un poco al giapponese, mi sono avvicinato allo spagnolo, al portoghese, però una vera e propria decisione l’ho presa dopo il liceo, quando mi sono iscritto all’università. Volevo studiare lingue straniere all’università e poi ho desistito (I gave up [on that idea] – Non l’ho fatto) perché i corsi previsti qui all’università delle lingue di Napoli (che è l’Orientale) prevedevano lo studio di due lingue, di cui una l’inglese, per i primi 3 anni e poi l’aggiunta di una terza lingua per il biennio successivo. E quindi io dopo 5 anni sarei uscito laureato dall’università parlando l’inglese, che già parlavo, e altre due lingue straniere. Siccome questo non mi sembrava un obiettivo interessante, ho deciso di iscrivermi a un’università totalmente diversa (mi sono iscritto a quella che prima si chiamava “beni culturali”) e ho deciso di – contestualmente – imparare le lingue da solo al ritmo di una all’anno. Questo è stato il vero e proprio punto di svolta (turning point) della mia carriera linguistica, se vogliamo dire così. Quindi ho cominciato con quella che reputavo essere (I considered to be) la più semplice all’epoca, ho cominciato con lo spagnolo, e devo dire che mettendo insieme la semplicità della lingua per un italiano e il fatto che lo utilizzavo fondamentalmente per leggere notizie sportive e quindi abbinandola ai (combining it with) miei hobby, ai miei interessi, mi è riuscito abbastanza semplice come compito. Al punto che l’anno successivo ho deciso di raddoppiare e fare un altro  salto un po’ più in là e di imparare il portoghese. Ho iniziato con il portoghese “puro”, quello del Portogallo, però poi ho scoperto che mi affascinava di più la pronuncia del portoghese del Brasile e quindi ho fatto il salto “oltre oceano”. Anche qui venendo già dall’ italiano e dallo spagnolo il portoghese si è rivelato un compito affascinante ma non proibitivo (impossible).

D. Non così probante (meglio: impegnativo), anche.

R. Esatto. E questo, devo essere onesto, probabilmente ha accresciuto (increased) anche la fiducia nei miei mezzi nell’apprendere le lingue straniere.

D. Tra l’altro è una cosa interessante che ho notato, apro questa parentesi, il fatto che tu parli lo spagnolo della Spagna ma il portoghese brasiliano. Perché mi sembra che molte persone facciano così, non so se è solo la mia impressione. Mi sembra che si preferisca generalmente l’accento e, diciamo, il tipo di spagnolo che si parla in Spagna, ma per il portoghese sì preferisca quello brasiliano – o almeno molti poliglotti mi sembra facciano così.

R. Allora, probabilmente per lo spagnolo sì. Lo spagnolo, diciamo il Castigliano, è probabilmente più..  come dire, si legifera di più sullo spagnolo della Spagna quindi è più.. la parola che cercavo è “istituzionalizzato”. È lo spagnolo standard fondamentalmente. Mentre per l’inglese c’è l’inglese americano e l’inglese britannico (anche se poi ci sarebbero altre versioni), per lo spagnolo – generalmente se studi spagnolo in una scuola di lingua ti insegneranno lo spagnolo di Cervantes, no? Per il portoghese invece credo sia semplicemente una questione di numeri. Il Portogallo, anche come numero di parlanti, rispetto al Brasile è una minoranza e questo dà adito (gives rise to) poi a delle piccole controversie. Spesso ci sono dei siti che per il Portoghese, invece di utilizzare la bandiera del Portogallo, utilizzano la bandiera del Brasile, che è qualcosa che per molti può sembrare assurdo, che però si spiega semplicemente con il numero di utenti. Se un sito ha 10 a 1 come rapporto (di) utenti brasiliani rispetto a quelli Portoghesi, può avere senso che si interfaccino con loro (interface/interact with them) ,mostrando la bandiera del Brasile, piuttosto che quella del Portogallo. La mia scelta è stata più che altro di musicalità, quindi semplicemente una preferenza basata sul gusto personale. Credo che la variante brasiliana del portoghese sia probabilmente la lingua più affascinante o comunque, come musicalità sia quella che più mi ha attirato (drew me) rispetto a tutte le altre che ho imparato. In tanti dicono che il francese è la lingua più romantica del mondo.

D. O anche l’italiano.

R. O anche l’italiano. Io dissento (disagree) e dico che il portoghese brasiliano forse non ha rivali in quanto a (is unrivaled in terms of) musicalità.

D. Sì, poi quelle sono questioni soggettive. A una persona può non piacere come suona una lingua. Non sa dire perché è così, però sono gusti come mi può piacere il cioccolato…

R. … fondente piuttosto che al latte. È proprio così, è una questione di attitudini personali (nel senso di “gusti/preferenze personali).

D. Dopo spagnolo e portoghese…

R. Dopo spagnolo e portoghese la tabella di marcia prevedeva che dovessi imparare le altre lingue europee che vanno per la maggiore. Quelle che mi mancavano erano il francese ed il tedesco. Quindi il francese al terzo anno di università ho cominciato a studiarlo e credo che abbia riscontrato (found, encountered, experience) delle difficoltà leggermente superiori rispetto allo spagnolo e al portoghese, ma anche in questo caso con la passione e con il giusto metodo non si è rivelato un compito troppo arduo (difficult, hard). Sicuramente più arduo rispetto alle lingue precedenti, ma nulla di proibitivo. Invece i problemi sono cominciati a nascere con il tedesco, che è stata la mia quinta lingua straniera. Non so se è correlato al fatto che il quarto anno di università è stato l’anno in cui mi sono laureato quindi ero già molto impegnato di mio. Credo piuttosto che il tedesco… ho commesso l’errore di affrontarlo (tackle it) nello stesso identico modo in cui ho affrontato le altre lingue, no? Che erano tutte lingue romanze, neolatine, e questo è stato un errore abbastanza grave di cui mi sono reso conto poi più avanti e di cui mi sono pentito, perché credo di aver dato via un sacco di tempo inutilmente cercando l’approccio sbagliato con una lingua che invece doveva essere -come dire – decodificata in una forma differente.

D. Per il semplice fatto di avere così tante parole in comune – dico la nostra lingua con tutte queste altre lingue romanze – c’è già… abbiamo una quantità di parole che riceviamo quasi gratuitamente.

R. Esatto. Il punto di partenza (the starting point) per le lingue neolatine è sicuramente molto più avanti rispetto allo stesso passaggio con una lingua germanica. E al di là del semplice vocabolario, i problemi credo siano stati due fondamentalmente: il primo è quello della costruzione della frase. In spagnolo o in italiano puoi sostituire, puoi tradurre parola per parola e nella stragrande maggioranza (in the vast majority) dei casi quello che dici ha perfettamente senso. (Tra) italiano e tedesco – o inglese e tedesco, perché ho cominciato poi ad utilizzare l’inglese come passaggio per imparare il tedesco (perché è più simile al tedesco) – nonostante tutto la struttura della frase tedesca è abbastanza diversa quindi non non è sufficiente tradurre parola per parola, ma bisogna pensare prima esattamente a cosa vuoi dire nell’intera frase e poi metterla nell’ordine corretto. Questo è stato un impatto (impact, confrontation) abbastanza duro, soprattutto se non si è preparati, se si approccia la lingua nello stesso modo in cui ho approcciato ad esempio lo spagnolo. L’altro problema è stato che per un italiano i generi delle delle parole tedesche sono totalmente “random” e quindi ho commesso l’errore di imparare le parole tedesche senza associare il genere, necessariamente, mentre invece ad oggi consiglierei di fare qualcosa di totalmente diverso, ovvero imparare la parola tedesca con l’articolo, perché l’articolo ti dice se è maschile, femminile o neutro. Di lì in poi sarà più facile per te capire poi quando vai a declinare nei vari casi quale articolo dovrai utilizzare. Non avendo fatto questo, il mio tedesco da subito è stato piuttosto lacunoso (deficient, faulty). E nulla, il tedesco in realtà poi si è rivelato la lingua su cui ho commesso la maggior parte dei miei errori come come poliglotta, perché poi dopo la laurea ho fatto un’esperienza all’estero, sono andato a lavorare in Inghilterra per qualche mese, e fondamentalmente non avevo più il tempo che avevo prima per praticare le mie lingue. Il mio tedesco non era un granché e l’ho lasciato un attimo lì in un angolino (=l’ho messo da parte, in secondo piano sth like “I’ve put it on the backburner for a while”). Quando lo sono andato a rinfrescare, a riprendere, in realtà ne avevo perso quasi la totalità e avevo soprattutto perso anche l’entusiasmo nell’ imparare il tedesco. Quindi l’ho lasciato un attimo lì e sono riuscito a riprenderlo soltanto molti anni dopo.

D. Sei arrivato a diciamo 5 lingue, quattro più una che hai abbandonato, di fatto. Però immagino che tu già ricevessi (e sicuramente la ricevi molto di più adesso) la classica domanda: “ma perché fai tutto questo, perché non ti accontenti dell’inglese, perché vai oltre?”. In parte abbiamo risposto (alla domanda) “perché impari le lingue?”. Per curiosità, ma anche per motivazioni pratiche. Però perché c’è questa voglia, che molte persone che imparano tante lingue hanno, di continuare a “collezionare” altre lingue.

R. Sì, come dicevi tu nasce tutto dalla curiosità. Io dico sempre che la mia passione per le lingue è nata come passione, ma poi in realtà si è trasformata in ossessione. La realtà è che.. sì, hai usato il termine esatto, “collezionare” le lingue. È esattamente lo spirito che io, e credo anche altri ragazzi che parlano diverse lingue, hanno nei confronti delle lingue. Io personalmente non riesco a capacitarmi del fatto che (get over the fact, accept the fact, wrap my head around the fact), ad esempio, non parlo ancora cinese. Quando sento qualcuno parlare cinese o quando magari i miei colleghi parlano cinese tra di loro c’è dentro di me una voce che dice “prima o poi dovrai imparare anche tu il cinese”. Non è possibile che non puoi avere (meglio: che tu non possa sostenere) una conversazione con loro. Infatti ho deciso di aggiungere il cinese proprio nel 2018 come “New Year’s resolution”, come proposito dell’anno nuovo. Le prime lingue che impari tendono ad essere le più difficili perché non sai assolutamente come approcciarti all’apprendimento di una lingua straniera. Quando invece sei già passato per quel processo una, due, tre, quattro volte, sai già più o meno cosa fare per raggiungere quel risultato. Quindi questo, insieme al fatto che fondamentalmente il vocabolario o le regole grammaticali che hai imparato nelle altre lingue possono aiutarti nell’apprendimento di una nuova lingua straniera – io parlo sempre delle lingue, soprattutto se sono correlate tra loro, come dei salti dall’una all’altra: un salto tra lo spagnolo e portoghese è un salto breve, un salto magari, non so, dall’italiano al rumeno è un po’ più lungo (nonostante facciano parte della stessa famiglia) e ci sono poi lingue che sono totalmente non correlate tra di loro perché fanno parte di famiglie differenti. Questa mia curiosità e questa mia voglia di aggiungere altre lingue e la mia passione per l’Oriente che ho sviluppato in età adolescenziale, poi in realtà mi ha portato dopo il tedesco, piuttosto che a riprendere il tedesco che zoppicava (literally “that was limping” = che aveva problemi), mi ha portato al mio rientro in Italia a cercare una nuova strada e quindi ho cominciato ad imparare il giapponese.

Ci fermiamo qua per oggi. Nel prossimo episodio riprenderemo a parlare delle avventure linguistiche di Raffaele.
Grazie per aver ascoltato questo episodio e a presto.
Ciao!

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