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I cinque errori più gravi nella lingua italiana

Intermedio
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15

February 10, 2019

Note e risorse

Trascription

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Ciao a tutti e benvenuti su Podcast Italiano, oggi voglio parlarvi di cinque errori che in italiano sono considerati gravi, ovvero errori che a noi italiani fin dalla scuola ([ever] since primary school) elementare dicono che assolutamente non bisogna fare (meglio: “errori che a noi italiani dicono di non fare), che sono gravi e quindi sono molto stigmatizzati (stigmatized, condemned). Quegli errori che se sento io, oppure sente un altro italiano istintivamente penserà: “No, qualcosa non va bene, questo è un errore grave che non devi fare”. Quindi errori per cui c’è uno stigma molto forte.

1) A me mi

Il primo è “a me mi”.
Questa è una cosa che ci insegnano fino dalle elementari. “A me mi” in italiano non si dovrebbe dire. Perché non si deve dire? Perché” a me” e “mi” in teoria sono una ripetizione. Cioè, sono lo stesso pronome, uno in versione tonica e l’altro in versione atona, diciamo così. E quindi “a me mi” è un po’ come dire la stessa cosa due volte. In realtà questa è una cosa che molte persone fanno, ci sono esempi anche nella letteratura, ne “I promessi sposi” di Manzoni, uno dei libri più famosi della letteratura italiana. Inoltre vorrei anche dire che secondo me è soprattutto la prima persona che viene considerata sbagliata (which is considered to be wrong), perché per esempio “a lui gli” oppure “a noi ci”, “a voi vi” non sono così male.
È proprio “a me mi” e forse “a te ti” che vengono considerati errati e secondo me perché fin da piccoli ci dicono “a me mi” = (uguale) il male, non fate questo errore assolutamente.
Quindi… la cosa divertente è che in spagnolo “a mi me” è assolutamente corretto, quindi questa è l’arbitrarietà degli errori grammaticali.

2) Ma però

Il secondo errore sarebbe “ma però”, ovvero utilizzare sia “ma” sia “però” insieme, “ma però”. E la motivazione sostanzialmente è la medesima, la stessa, cioè “ma” e “però”
vogliono dire sostanzialmente la stessa cosa e quindi non si dovrebbero usare insieme.
Anche se molte persone usano “ma” e “però” insieme e io sinceramente non ci vedo nulla di male (I don’t see anything wrong with that), ma questa è una regola che qualcuno ha deciso.

3) Ho, hai, ha, hanno senza h

La terza regola è una regola in realtà più di ortografia (spelling), ovvero come scriviamo.
Quando abbiamo il verbo “avere” in italiano, come forse, immagino, saprete, le prime persone “ho”, “hai” e “ha”, così come anche la terza persona plurale “hanno” richiedono (require) l’acca (h). Ma l’infinito “avere” e la prima e seconda persona plurale “abbiamo” e “avete” non hanno nessuna “h”. Qual è il motivo di questa “h”?
Il motivo è che in latino h c’era. “Habere”. Si pronunciava anche, era “habere”, non come in italiano, “avere”, dove l’acca non esiste. In realtà potremmo anche non scriverla, però dato che la parola “o” senz’acca è una parola, la parola “ai” (preposizione articolata) è una parola, la parola “a” è una preposizione semplice e la parola “anno” è una parola (cioè, anno come “quanti anni hai?”), si è pensato, non so chi, ma in passato si è deciso (it was decided that) che bisogna lasciare l’h per distinguere il verbo da tutte queste altre parole.
In latino ovviamente “abbiamo” aveva l’acca (“habemus”), così come anche in spagnolo c’è l’acca nella parola hemos*. Però in italiano abbiamo deciso di tenerla solo in quei casi in cui potrebbe confonderci perché ci sono altre parole. Scrivere “io o”, oppure “lui a”, oppure, non so, “ce l’o” senza utilizzare l’acca è considerato un errore molto molto grave a scuola, ed è un errore molto stigmatizzato.

4) “è” senza accento

Stessa cosa per la terza persona singolare del verbo “essere”, “è”.
L’accento viene utilizzato solamente perché la parola “e” è una congiunzione. L’accento potrebbe anche indicare la pronuncia diversa in italiano standard, cioè “e” – “è”, ma in realtà questa pronuncia non è diversa in molti dialetti o in molti modi di parlare di italiano (intendo dire: in alcuni modi di parlare l’italiano i due suoni corrispondono) e quindi anche qui l’accento è soprattutto utilizzato per non confondere le due parole.

5) Errori con la “q”, “cq”, “qq”

Un altro tipo di errore in italiano o di errori sono tutti quelli che hanno a che vedere con (have to do with) l’utilizzo della “q” della “cq” o della “qq” perché se… forse non sapete, c’è una parola almeno in italiano che ha 2 “q” di fila. Ma a cosa serve la lettera q? Perché, per esempio, non possiamo scrivere “cuando” con la c in italiano? (come in spagnolo alla fine)
Beh, questo perché in latino quando avevamo il suono “k”, come quando, seguito dalla semi-consonante “w”, come “kwando”, “kwesto”, questo “w”, questo suono qua, che in italiano è una “ua”, oppure “ue”, “ui,” uo”… non so, per qualche motivo si decise in latino che questo suono doveva essere preceduto da una “q” (e non da una “c”), mentre la “c” veniva utilizzata per le altre parole, non so, per esempio “cantare”.
La “q” in realtà è abbastanza ridondante, potremmo tranquillamente non avere (we could just as easily not have) la “q” e nessuno morirebbe.
In italiano però ci sono delle parole in cui c’è questo suono, “kwa”, uno di questi suoni, “kwa”, “kwi”, “kwe”, “kwo”, però vediamo una “c”, come la parola “scuola”, oppure anche la parola “cuoco”.
Perché questa cosa? Beh, in latino queste parole non erano né scuola, né cuoco, ma erano “schola” e “cocus”, non c’era la “w”, “wo”, in nessuna di queste due parole e quindi in italiano per omaggiare (to pay homage to, to honor) in qualche modo il latino si è deciso di tenere (it was decided to keep) la lettera “c”.
Diverso è il caso di “acqua”. In “acqua”, che deriva dal latino “aqua”
in italiano è comparsa (appeared) una lettera… una consonante doppia, no? “Akkwa”.
E si è deciso per qualche motivo che per raddoppiare (to double) la “q” bisogna mettere una “c”, quindi “acqua” oppure “acquistare”. Sentite la differenza? Acquistare, non “aquistare”.
“Acquistare”. C’è una parola molto rara in italiano che sarebbe “soqquadro“, (che significa sostanzialmente disordine, “mettere a soqquadro” è come mettere in disordine) in cui c’è una doppia “q”. Ora non vi spiego l’origine, vi dico solo che
“soqquadro” deriva da “sotto quadro” e quindi quando ci sono queste parole, questi composti, queste parole che si fondono (they merge) come, non so, per esempio, “abbastanza”,
da “a” e “bastanza”, oppure “ebbene”, “siccome”, “seppure”, “soprattutto”, la consonante raddoppia in italiano, quindi per utilizzare la stessa regola di raddoppiamento, (raDDoppiamento) si è deciso di scrivere “soqquadro” con 2 “q”. È un’eccezione.

6) Errori con il congiuntivo

E infine l’ultimo errore che fa accapponare la pelle (that makes somebody’s skin crawl) agli italiani è l’utilizzo sbagliato del congiuntivo.
Allora il congiuntivo, sapete, è molto difficile, anche molti italiani lo sbagliano.
Ed è molto stigmatizzato, ci sono molti “grammar-nazi” che muoiono internamente quando sentono un congiuntivo sbagliato. Per loro un congiuntivo sbagliato rende un intero discorso invalido, cioè, uno può dire qualsiasi cosa ma se sbaglia un congiuntivo è un idiota, uno stupido.
Vi faccio un esempio, non so, l’errore forse considerato peggiore è quando abbiamo un verbo che regge (nella grammatica significa “è seguito da”), che necessita di un congiuntivo. Quindi, per esempio, “penso che sia”, “credo che sia”.
Se diciamo “penso che è”, oppure “credo che è”, molte persone che ci ascoltano – se siete stranieri non è un problema, vi capiranno, ma un italiano che dice una cosa del genere fa l’impressione di un idiota (comes across/looks like an idiot)

Un altro tipo di errore con il congiuntivo è utilizzare (intendo: quando utilizziamo) quello che sarebbe il terzo periodo ipotetico, ovvero “se io l’avessi visto glielo avrei detto”, non utilizzare tutte queste forme difficili ma usare l’imperfetto: “se lo vedevo glielo dicevo”. Questa è una cosa, in realtà, secondo me, percepita come meno grave, perché noi italiani la usiamo, forse più di quanto ce ne rendiamo conto e quindi è comune dire “se lo vedevo glielo dicevo”. È un modo molto più veloce per dire la stessa cosa ed è molto più facile . Quindi è comune, però viene considerato un errore. E un altro errore considerato molto grave, che riguarda il congiuntivo è l’utilizzo del condizionale al posto del congiuntivo, quindi dire per esempio “se avrei tempo” lo farei, al posto di “se avessi tempo lo farei”.
Tra l’altro devo ammettere che io ho fatto lo stesso errore. Nella descrizione di molti video c’è un punto in cui c’è la possibilità di farmi delle donazioni su PayPal e ho scritto “se avresti voglia potresti”, qualcosa del genere. Quindi anche a me succede. Adesso l’ho corretto, però in video vecchi c’è ancora questa cosa, quindi anche a me succede. Succede a tutti, è normale, non siamo delle macchine.

Tutti questi errori come vi ho detto sono molto stigmatizzati e sono sicuro che anche nelle vostre lingue ci sono errori così, stigmatizzati, che quando sentite una persona a dire una di queste cose pensate :O, è impazzito, oppure “è un ignorantone (boor, ignorant person), non sa parlare la propria lingua.
Ma vi voglio lasciare con questo pensiero, cioè: tutte le lingue evolvono.
Noi non parliamo il latino, cioè, se un latino ci sente (ci sentisse) parlare pensano (penserebbe*) che la nostra lingua sia un abominio (abomination).
L’italiano (di oggi) è diverso dall’italiano di duecento anni fa, così come lo è l’inglese, il francese, il giapponese, lo swahili.
La scrittura un pochino rallenta (slows down) questa evoluzione perché fa sì che ci sia un “bello stile” che è più lento a cambiare, ma in ogni caso la lingua è prima di tutto una cosa parlata ed è destinata a cambiare, e lo farà. È inevitabile. Come le nuvole cambiano nel cielo. E non migliorano né peggiorano, ma cambiano. È nella natura delle lingue.
Quindi da un lato penso che è (sia*) giusto che ci sia un bello stile, così come c’è una moda, c’è uno stile a cui dobbiamo adeguarci (that we have to conform to) quando andiamo a un colloquio di lavoro o quando parliamo in pubblico. È giusto che ci sia un bello stile, ma non dobbiamo dimenticarci* che gli stili, le mode cambiano e allo stesso modo le lingue cambiano, è nella loro natura. Quindi i nostri figli, i nostri nipoti parleranno in un modo diverso, che non è peggiore del nostro, così come il nostro modo di parlare non è peggiore di quello dei nostri genitori, dei nostri nonni, o di Dante Alighieri o di Shakespeare. Checché ne dicano i grammar-nazi (despite what grammar-nazis say)

Mi sono accorto nell’editing che il telefono aveva smesso di registrare.
Volevo solo dirvi che ringrazio per aver visto questo video. Vi chiedo di mettere “mi piace” o di iscrivervi se vi è piaciuto, se lo avete trovato utile. E ci vediamo nel prossimo video, che spero sarà molto presto. Grazie ancora e alla prossima. Ciao!

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