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Il fascismo: poche migliaia di morti?

Avanzato
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35

February 2, 2025

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Note e risorse

In questo episodio, il quarto della nostra serie sul fascismo, analizziamo il periodo che va dalla guerra d'Etiopia del 1936 fino alla caduta di Mussolini nel 1943, esplorando le scelte fatali del regime durante la Seconda guerra mondiale e le sue drammatiche conseguenze per l'Italia.

Scopri Dentro l'Italia, in italiano, il mio corso di livello avanzato prodotto in collaborazione con Marco Cappelli.


Gli altri episodi della serie sul fascismo:

Trascription

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Ciao amici e bentornati su Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti. Questo è il quarto episodio della mia serie di episodi di livello avanzato sul fascismo italiano, scritta da Marco Cappelli del podcast Storia d’Italia che, come sempre, vi consiglio di andare a scoprire. Una serie che vuole indagare la parte più oscura della storia italiana contemporanea, per scoprire com’è nato, come si è sviluppato e come è caduto il regime fascista.

Trascrizione interattiva dell'episodio, con il glossario delle parole difficili (consigliato)
Scarica la versione PDF della trascrizione

Nel primo episodio della serie abbiamo visto come il fascismo arrivò al potere; nel secondo abbiamo discusso il ruolo del fascismo nel plasmare alcuni aspetti fondamentali della società italiana; nel terzo, infine, abbiamo analizzato l’economia, la politica estera e le mosse in ambito coloniale del regime fascista, arrivando a quello che fu forse il suo momento di maggiore popolarità: il 9 maggio del 1936, quando Mussolini annunciò dai balconi di Piazza Venezia, a Roma, la costituzione di un Impero italiano, dopo la fulminea vittoria nella guerra di Etiopia.

Se non hai ascoltato le parti precedenti, o ti ricordi poco di quanto abbiamo detto, magari puoi recuperarle prima di ascoltare questa. Trovi tutti i link nell’app dove mi stai ascoltando oppure sul mio sito, podcastitaliano.com. Ti ricordo anche di dare un’occhiata, se ne hai bisogno, e anche se non ne hai bisogno, alla trascrizione di questo episodio, che trovi sempre sul mio sito. Dico “anche se non ne hai bisogno” perché contiene un ricco glossario con tutte le parole difficili, ed è un ottimo strumento per arricchire il tuo lessico. Ed è anche utile leggere questa trascrizione con il glossario dopo aver ascoltato l’episodio. Il link è, come sempre, nelle note dell’episodio.

Siamo rimasti, dunque, alla guerra di Etiopia. Probabilmente, se si fosse fermato a questa guerra, Mussolini sarebbe morto nel suo letto, in un’Italia stantia e tagliata fuori dal mondo, come fece il suo collega Franco a fine anni ‘70, in Spagna. Perché l’Italia fascista non sarebbe restata fuori dal grande conflitto mondiale che si avvicinava e questo, come vedremo, a causa di una spericolata scommessa di Mussolini con il fato e il buon senso.

Alla fine, quasi nulla sopravvivrà indenne alla tempesta di quella guerra. L’Italia sarà, sì, “devastata”, ma né Mussolini né il fascismo, per fortuna, ne uscirono indenni.

Comunque sia, torniamo al 1936, l’ora di gloria di Mussolini. L’Italia ha da poco conquistato l’immensa Etiopia, l’ultimo Paese africano a non essere mai stato colonizzato da una potenza europea. Assieme alle altre colonie italiane della regione, la Somalia e l’Eritrea, si è costituito sulla carta un grande impero coloniale, che domina l’intero corno d'Africa, la parte orientale del continente. L’Italia controlla inoltre la Libia, in Nordafrica, e la piccola Albania, al di là del mar Adriatico**. Quanto basta per** dare a Vittorio Emanuele III il titolo di Re e Imperatore. Sì, perché Mussolini, formalmente, è ancora solo il Presidente del consiglio, il capo di stato resta il Re. Questa è una differenza fondamentale rispetto alla Germania nazista dove Hitler, dal 1934 in poi, è sia capo del governo che capo di stato, dittatore e Re allo stesso tempo. Ricordatevelo, perché questa è una differenza importante anche per capire quello che succederà dopo, nella storia.

E dunque, il trionfo africano, in Etiopia, fu ottenuto ma al prezzo di importanti conseguenze: innanzitutto, il Paese aveva esaurito le sue limitate capacità economiche e industriali. La guerra era stata vinta, certo, ma lo sforzo logistico e finanziario necessario per sostenere un tale apparato militare, a una tale distanza dalla madrepatria, era costato una fortuna. La principale conseguenza, con il senno di poi, fu l’impossibilità di avere un esercito preparato e all’avanguardia. Avendo speso così tanto nel 1936, l’Italia sarà costretta a risparmiare nei cruciali anni seguenti, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Possono sembrare pochi anni, ma in realtà la tecnologia militare fece passi da gigante in quel breve arco di tempo, perché nel frattempo tutte le grandi potenze mondiali, l’URSS, la Germania nazista e le potenze Occidentali, investivano enormi somme e risorse per riarmarsi e ideare nuove, più potenti, armi. L’Italia si ritroverà a combattere con carri armati del 1935 contro carri armati del 1940, e saranno guai.

L’altra, importantissima conseguenza fu diplomatica: il Fascismo, inizialmente, non aveva per nulla sostenuto il desiderio del neo-cancelliere Hitler di rivedere l’intero assetto europeo emerso dalla Prima guerra mondiale. E non a caso. L’Italia era una delle quattro grandi potenze uscite vincitrici della Prima guerra mondiale (con Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna). Certo, era la più debole delle quattro, ma aveva comunque contribuito a scrivere l’ordine postbellico. L’Italia, ad esempio, si opponeva strenuamente al desiderio di Hitler di annettere l’Austria, un Paese con il quale l’Italia aveva costruito un rapporto speciale e che considerava nella sua sfera di influenza. Senza contare che, dal punto di vista italiano, era molto meglio avere al confine settentrionale la piccola repubblica austriaca che il minaccioso Terzo Reich nazista.

Per questo, dal 1933 al 1936, Mussolini aveva sostenuto Gran Bretagna e Francia nel tentativo di arginare e contenere Hitler, pensate un po’. Questa breve alleanza era andata in pezzi a causa della guerra in Etiopia. Infatti le potenze democratiche occidentali avevano seguito la loro opinione pubblica nel condannare l’aggressione colonialista italiana: una posizione abbastanza ipocrita, visto che entrambi i Paesi si guardavano bene dal liberare le loro immense colonie africane e asiatiche ma, si sa, la politica è raramente il regno della coerenza.

Con il sostegno anglofrancese, dunque, la società delle Nazioni (il precursore dell’ONU, le Nazioni Unite) aveva imposto all’Italia delle sanzioni economiche, abbastanza inefficaci a dir la verità, ma che bastavano a Mussolini per dichiararsi il difensore dell’orgoglio italiano contro l’ingiustizia delle tradizionali potenze coloniali. L’ostilità occidentale aveva inoltre convinto Mussolini a collaborare sempre più strettamente con il suo vicino settentrionale: Hitler ormai aveva i suoi stessi obiettivi imperiali e condivideva la stessa filosofia politica di estrema destra. Il sogno di Mussolini era di costruire un’egemonia sul Mediterraneo, e la Germania di Hitler era ben contenta di sostenere i suoi sogni imperiali: alla Germania, infatti, non interessava il Mediterraneo. Le ambizioni imperiali di entrambi erano conciliabili: si potevano sostenere in parallelo.

Questo sogno, o incubo imperialista, che dir si voglia, venne negoziato nel corso del 1938. Ma l’amicizia della Germania non era senza condizioni: si può dire che una delle prime vittime dell’accordo tra Italia e Germania furono gli ebrei italiani.

Il fascismo, a differenza del nazismo, non si era nutrito a piene mani di antisemitismo. Anzi, fino al 1938, il fascismo aveva accettato senza problemi gli ebrei tra i suoi iscritti al partito. Intendiamoci, il fascismo era autoritario, razzista, maschilista, repressivo, antisindacale, nazionalista, militarista, e espansionista. Ma tra i suoi tanti peccati fino ad allora non c’era stato l’antisemitismo. Questo è dovuto in parte al fatto che gli ebrei italiani erano pochi e ben integrati: in Italia c’erano meno di 50.000 ebrei, lo 0,1% della popolazione. Questo non vuol dire che in Italia non ci fosse antisemitismo: appena i Fascisti italiani si decisero a diventare antisemiti, trovarono terreno fertile nella cultura della destra italiana, che si era sempre nutrita di tutti gli stereotipi razzisti oltre che della tradizionale ostilità tra cattolici ed ebrei.

Il Duce sostenne sempre di aver preso del tutto autonomamente la decisione di perseguitare gli ebrei, ma noi sappiamo, con il senno di poi, che la Germania nazista faceva dell’antisemitismo una delle condizioni per l’alleanza tra i due Paesi: era una vera ossessione dei nazisti. Mussolini non se lo fece, alla fine, neanche ripetere più di tanto: l’antisemitismo, tutto sommato, si sposava bene con il resto delle sue opinioni.

E quindi, dopo il riavvicinamento diplomatico alla Germania nel 1936, l’opinione pubblica italiana fu preparata alla svolta antisemita per tutto il ‘37 e ’38, con una continua e battente campagna stampa contro i profittatori ebraici. Il 18 settembre del 1938, a Trieste, Mussolini fa un celebre discorso per sostenere la necessità del razzismo. Vorrei farvene sentire un pezzo.

“…Poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E, per il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime”.

L’11 novembre del 1938, il Fascismo approvò le leggi razziali, volte alla preservazione della razza italiana (che è una cosa che fa un po’ ridere, visto che gli italiani sono un misto di sangue e culture da qualche migliaio di anni, come d’altronde tutti i popoli europei). Le discriminazioni fasciste contro gli ebrei furono molte e senza precedenti: includevano il divieto di matrimonio tra italiani ed ebrei; proibivano agli ebrei qualunque posizione lavorativa nell’amministrazione pubblica e nelle società private più importanti, come le banche e le assicurazioni; vietavano agli ebrei la professione di notaio e di giornalista; limitavano fortemente le professioni intellettuali (la maggior parte dei professori ebrei fu gettata fuori da università e scuole); e proibivano l’iscrizione dei ragazzi ebrei nelle scuole pubbliche.

Le leggi razziali e antisemite furono il punto più basso raggiunto dal Fascismo italiano, una macchia indelebile su Mussolini e anche su Re Vittorio Emanuele III, che avrebbe potuto usare quel poco potere che gli rimaneva per provare a resistere, cosa che non fece. Le leggi razziali danneggiarono anche le capacità innovative dell’Italia: Enrico Fermi, il più importante fisico italiano, decise di emigrare negli Stati Uniti: sua moglie era ebrea. Così fecero molti altri intellettuali.

Forte di questo “successo”, tra mille virgolette, sul fronte interno, Mussolini poté infine firmare il cosiddettopatto d’acciaio” tra Italia e Germania, un accordo che impegnava entrambe le potenze ad entrare in guerra al fianco dell’alleato, e questo in caso di qualunque conflitto, difensivo o offensivo. Cosa che rendeva il patto più pericoloso di quelli della tradizione europea, che di solito erano puramente difensivi: in teoria, il patto d’acciaio obbligava l’Italia a seguire Hitler in qualunque sua avventura militare in Europa.

Non che ciò valse a molto: Hitler, durante la sua celebre e infausta visita all’Italia, nel 1938, aveva già capito che il suo alleato era una tigre di carta, tutto fumo e niente arrosto, come diciamo noi. Forse utile solo per negare alla flotta britannica il dominio totale del Mediterraneo. Hitler si rese conto dell’arretratezza dell’esercito italiano durante le parate militari di quella visita, e si decise a muoversi sul tavolo della politica europea senza attendere che il suo alleato fosse pronto a una nuova guerra: d’altronde, chissà quando lo sarebbe stato. In modo piuttosto comico, a pochi mesi dalla firma del “Patto d’acciaio”, questo sarà in realtà disatteso, non rispettato, da entrambe le potenze.

Hitler, infatti, grazie al suo accelerato piano di riarmamento, già nel 1939, si sentiva in grado di affrontare una guerra europea, soprattutto in caso di non belligeranza dell’Unione Sovietica. Al contrario, l’Italia era convinta che una guerra europea non sarebbe scoppiata prima del 1942 o del 1943, e pertanto a fine 1939 era totalmente impreparata a condurla: come detto, la guerra in Etiopia aveva consumato tutte le energie disponibili all’Italia fascista, rimasta arretrata e povera anche grazie alle decisioni di Mussolini, come abbiamo visto negli scorsi episodi.

Hitler decise di invadere la Polonia il primo settembre del 1939, senza consultare Mussolini. L’Italia, in quell’occasione, chiese a Hitler un telegramma ufficiale nel quale affermava di sganciare l’Italia da ogni obbligo del Patto d’acciaio, perché tutti, ma proprio tutti, concordavano che il Paese non era per nulla pronto alla guerra. La Germania non si fece problemi a concedere all’alleato di restare fuori dalla “sua” guerra: a tre mesi dalla firma, l’alleanza sancita dal Patto d’Acciaio era già diventata molto più flessibile dell’acciaio. L’Italia ancora una volta non era scesa in guerra al fianco del suo alleato tedesco allo scoppio di una grande guerra, come aveva già fatto nella Prima guerra mondiale. Eh… è un’abitudine.

Per Hitler però non ci furono grossi problemi: si era assicurato un patto di “quasi alleanza” con l’Unione Sovietica nel quale, ancora una volta, la Germania e la Russia si spartirono tra loro la Polonia. Con il fianco russo coperto, i tedeschi schiacciarono i polacchi in poche settimane. Poi, a maggio del 1940, Hitler scatenò la sua offensiva contro la Francia e il corpo di spedizione britannico, il che sarebbe stato il sogno di qualunque generale tedesco della Prima guerra mondiale: poter combattere la guerra, dall’inizio, su un solo fronte per volta. Nel giro di poche settimane dall’avvio dell’offensiva occidentale, le forze anglofrancesi furono sconfitte e accerchiate, tanto che sembrava che la Francia fosse sul punto di cadere. È a questo punto che Mussolini iniziò a pensare che, preparato o no, forse era giunto il momento di unirsi al suo alleato.

La rapida vittoria della Germania costituiva infatti un rischio per l’Italia: Mussolini, che all’inizio aveva pensato di poter fare da intermediario tra le potenze occidentali e la Germania, ora si ritrovava con la prospettiva di una rapida vittoria tedesca, che l’avrebbe tagliato fuori dal riassetto delle geopolitica europea dopo la guerra. Intendiamoci, Mussolini era perfettamente consapevole di quanto l’Italia fosse ancora impreparata: il 24 settembre del 1939 il Commissario Generale per le Fabbricazioni di Guerra aveva sondato il grado di preparazione delle Forze Armate, ricevendo come risposta che, salvo imprevisti, la Regia Aeronautica sarebbe stata pronta a condurre una nuova guerra, pensate, entro la metà del ‘42; e la Regia Marina, alla fine del ‘43 e il Regio Esercito, alla fine del ‘44: un disastro. Senza contare che l’economia italiana era a corto di carbone e petrolio in seguito al blocco britannico alle esportazioni.

Ma, dal punto di vista di Mussolini, il tempo stringeva.Mi serve qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative”, avrebbe detto: e questo fu il suo banale, semplicistico calcolo, il calcolo di uno scommettitore alla roulette della storia. Mussolini era convinto di dover guerreggiare per finta, per solo qualche mese. Tanto la guerra era già vinta, no? La Francia era sul punto di arrendersi, e cosa avrebbe potuto fare l’Inghilterra da sola? Ricorda, poi, che nel 1940 l’Unione Sovietica era ancora in pace con la Germania e gli Stati Uniti non avevano alcuna voglia di entrare in un nuovo conflitto mondiale, anzi, l’opinione pubblica americana era contrarissima. Solo Pearl Harbor, a dicembre del ‘41, gli farà cambiare idea.

Mussolini si decise quindi ad intervenire in una guerra senza che lo volesse il suo alleato principale, la Germania nazista, senza le materie prime necessarie ad un conflitto, controllate dall’Inghilterra, e con un esercito arretrato, privo di mezzi e completamente impreparato alla guerra. Cosa sarebbe potuto andare storto?

L’Italia dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra il 5 giugno del 1940, annunciato in un celebre discorso di Mussolini, sempre a Piazza Venezia:

Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’impero e del Regno d’Albania! Ascoltate! Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera, e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!”

L'Italia iniziò le ostilità contro la Francia con un'offensiva lungo il confine alpino. Tuttavia, l'attacco si rivelò poco efficace a causa della resistenza francese, testarda, nonostante i tedeschi fossero ormai ad un passo da Parigi: gli italiani non avanzarono che di pochi chilometri. Nonostante l'armistizio tra Francia e Germania nel giugno 1940, l'Italia ottenne solo piccoli guadagni territoriali nelle Alpi occidentali e nella regione di Nizza, un risultato che suscitò delusione tra la leadership fascista, che si era aspettata qualcosa di più, nonostante le circostanze avverse. Ma la guerra, nonostante quello che credeva Mussolini, non era affatto terminata. Anzi, nelle parole di Churchill, non era la fine, ma la fine dell’inizio.

Nella seconda metà del 1940, per l’Italia la guerra si sposta in Africa. L’Italia occupava, in teoria, una posizione forte lì: le colonie francesi erano state neutralizzate dall’armistizio del giugno del 1940, la cruciale colonia inglese dell’Egitto era vulnerabile ad un attacco dalla Libia italiana. Senza l’Egitto, il Regno unito avrebbe avuto enormi difficoltà a tenere in piedi lo sforzo bellico, perché di lì passava buona parte della sua logistica imperiale.

Mussolini fu però costretto a lasciare al loro destino i centinaia di migliaia di italiani che occupavano l’Etiopia, la Somalia e l’Eritrea: nell’Africa orientale italiana c’erano in realtà alcuni dei migliori reparti italiani, ma questi erano irraggiungibili dall’Italia senza il controllo dell’Egitto e del canale di Suez. Isolati nel corno d’Africa, le forze italiane attesero, in sostanza, i risultati della battaglia d’Egitto, che fu invaso dal colonnello Rodolfo Graziani nel settembre del ‘40.

A fine ‘40, i Britannici avevano però rafforzato il loro esercito egiziano con i più moderni carri armati, artiglieria e unità militari a loro disposizione. L’operazione “Compass”, partita l’8 dicembre del ‘40, inflisse una totale sconfitta alle forze armate italiane: la X armata italiana fu praticamente annientata, e metà Libia fu conquistata dai Britannici. La guerra, per l’Italia, andava malissimo, e continuerà a farlo: assicurato l’Egitto, i britannici attaccarono l’Etiopia e le altre colonie italiane del Corno d’Africa, infliggendo una serie di sconfitte ad un esercito che non aveva alcuna speranza di rifornimento dalla madrepatria. Alla fine del 1941, l’Africa orientale italiana era perduta. La grande “vittoria”, tra virgolette, fascista del 1936 era già stata cancellata dalla storia.

Le sconfitte africane portarono l’Italia sul punto di una crisi di nervi: l’opposizione alla guerra, nel Paese, cresceva, mentre il governo non aveva ancora avuto il coraggio di mobilitare l’intera industria nazionale per lo sforzo bellico. Sembra che, ancora per tutto il 1940, Mussolini si fosse illuso che la guerra stesse per terminare. Ora, dopo le devastanti sconfitte africane, Mussolini aveva bisogno di una mano, o rischiava seriamente di vedersi sfuggire il Paese di mano. Per salvare la situazione, Hitler si decise a deviare una parte della sua possente forza militare in direzione dell’Africa, in modo da difendere le posizioni italiane in Libia. Nel febbraio del 1941, Hitler inviò in Libia il celebre feldmaresciallo Erwin Rommel e l'Afrika Korps, il corpo di spedizione tedesco in Nordafrica. Rommel ottenne subito degli importanti successi contro i britannici, invadendo nuovamente l’Egitto, ma il fronte africano rimase una costosa e incerta campagna. E non era neanche l’unico fronte dove l’Italia era in difficoltà, perché ce ne era un altro: la Grecia.

A ottobre del 1940, Mussolini era ancora impegnato in una guerra mediterranea che non stava vincendo quando, grande furbata, si decise a fare, forse, il passo più assurdo dell’intera guerra. Il governo italiano soffriva per il confronto tra i continui successi tedeschi e le sconfitte italiane, e decise che il Paese aveva bisogno di una vittoria facile, contro un nemico debole. Per esempio la Grecia, Paese amico ma che poteva essere un obiettivo per le ambizioni imperiali italiane.

Mussolini attaccò la Grecia nell'ottobre del ‘40, dopo che il suo ultimatum ai greci era stato rigettato orgogliosamente da questo Paese, fiero della sua indipendenza. La Grecia, invece di arrendersi di fronte alla supremazia fascista, decise di combattere con coraggio e determinazione. Gli italiani, in teoria, avevano una schiacciante superiorità numerica e di mezzi, oltre a una perfetta base d’invasione dalla vicina Albania (sotto il loro controllo). L'operazione si rivelò un disastro: le forze greche respinsero gli italiani, avanzando nel territorio albanese. Questo insuccesso mise in evidenza le carenze dell'esercito italiano e obbligò Hitler a intervenire una seconda volta in aiuto dell’alleato, ad appena due mesi dall’invio dell’Afrika Korps. Nell'aprile del 1941, Hitler invase la Grecia e occupò in poco tempo il Paese. Per la seconda volta, il dittatore tedesco aveva levato le castagne dal fuoco di Mussolini, ma il prestigio del dittatore italiano e di tutto il Paese ne uscì gravemente danneggiato. Da allora, Hitler iniziò a considerare Mussolini e l’Italia come un alleato del tutto secondario nei suoi piani di guerra, al punto da ritenere più affidabili e più efficaci dei Paesi che erano in teoria più piccoli, come la Finlandia, l’Ungheria e la Romania.

Dopo aver fallito in Francia, in Nord Africa e in Grecia, Mussolini si disse però che non c’è tre senza quattro. Da tempo sapeva che Hitler preparava l’ingresso in guerra contro l’Unione Sovietica, nell’estate del 1941. Si offrì, quindi, di aiutare l’alleato nella campagna di Russia, destinata a cancellare il Comunismo dalla faccia della terra. A quanto pare, però, Hitler era tutto meno che entusiasta di avere gli italiani nella sua crociata contro i Bolscevichi. E credo che possiamo capire perché, visti i precedenti. Per Hitler, invece, l’Italia si sarebbe dovuta concentrare sul Mediterraneo, nella guerra contro la flotta britannica e per il dominio del Nordafrica. Alla fine, però, si decise ad accettare l’aiuto dell’alleato, più per non offendere il prestigio italiano che altro. Mussolini organizzò quindi l’invio di un corpo di spedizione italiano in Russia, forte di circa 62.000 uomini, niente a paragone dei tedeschi, ma comunque una diversione di risorse e mezzi che sarebbero stati utili agli italiani in Nordafrica, dove invece l’Italia giocava una battaglia cruciale contro i britannici.

Inizialmente le cose in Unione sovietica andarono benissimo per le forze dell’Asse, che arrivarono ad un passo da Mosca. La controffensiva sovietica però bloccò l’avanzata sulla capitale e rigettò indietro i tedeschi. La successiva estate, l’offensiva tedesca riprese vigore, arrivando a minacciare la città cruciale di Stalingrado, nei cui dintorni combatteva anche il corpo di spedizione italiana. A fine ‘42, però, arrivò la controffensiva sovietica, la madre di tutte le controffensive: l’esercito italiano fu spazzato via, un’intera armata tedesca, la VI, fu circondata a Stalingrado e l’Italia non ebbe mai più alcun ruolo nella campagna di Russia.

Nel 1943, mentre le campagne militari si moltiplicavano, l'Italia cominciò a sentire il peso della guerra sul fronte interno. La scarsità di risorse alimentari, il razionamento e i bombardamenti alleati colpirono duramente la popolazione civile. Le cose peggiorarono molto quando le forze dell’asse in Nordafrica furono sconfitte dagli alleati: l’offensiva di Rommel fu bloccata ad El Alamein in Egitto, gli italo-tedeschi furono poi pesantemente battuti nella seconda battaglia di El Alamein, combattuta in contemporanea con Stalingrado. Da lì, fu un’unica ritirata indietro, inesorabilmente, fino alla Tunisia, dove le forze dell’asse si arresero il 13 maggio del 1943.

In realtà, checché se ne dica, il grosso delle forze armate dell’Asse in Nordafrica fu sempre italiano e, in alcuni casi, si comportò anche molto coraggiosamente, dimostrando uno spirito battagliero che non aveva avuto su altri fronti. Ma il coraggio non è un buon sostituto degli armamenti, non in un tempo di guerra meccanizzata e moderna: l’esercito italiano in Nordafrica fu sempre a corto di risorse, con veicoli, artiglieria e carri armati antiquati. Nel Novecento non si fa la guerra senza i mezzi per farla, e il fascismo non aveva mai dato al suo esercito i mezzi per condurre davvero una guerra alla portata delle capacità dell’Italia.

Conquistata la Tunisia, i britannici e gli americani - che erano entrati in guerra a fine 1941 e ora iniziavano ad avere una certa importanza nel conflitto in Europa - iniziarono a bombardare senza sosta le principali città italiane, tra le quali Milano, Torino e Napoli. Roma ricevette meno bombe, perché non c’erano grandi industrie da distruggere, ma fu comunque colpita a più riprese, cosa che impressionò molto l’opinione pubblica italiana, sempre più stanca della guerra di Mussolini.

In questo quadro disastroso, la propaganda fascista tentò di mantenere alto il morale, ma la realtà, ormai, era innegabile. Invece della gloria imperiale, la guerra fascista aveva condotto alla perdita di tutto l’Impero coloniale italiano, alla fame, alle privazioni, alla morte e, presto, anche all’invasione della madrepatria. Mussolini, che nel 1936 era stato al vertice della popolarità, pochi anni dopo era odiato dalla maggior parte degli italiani.

Il colpo finale fu l’invasione della Sicilia. Il 10 luglio del 1943, con l’operazione “Husky”, gli angloamericani sbarcarono sull’isola e, nel giro di un mese, la conquistarono. Fu a questo punto che la peculiare situazione istituzionale del fascismo portò alla caduta di Mussolini.

Come detto, Mussolini, a differenza di Hitler, non era il Capo di Stato dell’Italia: come dicevamo all’inizio dell’episodio, lo era ancora formalmente il Re, Vittorio Emanuele III. A Vittorio Emanuele erano fedeli alcuni dei più importanti generali italiani, come Pietro Badoglio. Inoltre il Re aveva ancora il potere formale di nominare un nuovo Primo ministro: non lo aveva fatto per vent’anni, tenendosi sempre Mussolini, ma questo non voleva dire che non potesse farlo, se si fossero create le giuste condizioni politiche.

Condizioni che, a luglio del 1943, erano ormai mature. Tra i capi del Fascismo, infatti, si era formata una fazione che era convinta che fosse indispensabile rimuovere Mussolini e trattare con gli Alleati una qualche forma di armistizio, che salvasse il salvabile, impedendo una distruzione totale dell'Italia. Questa fazione decise di intervenire in una storica seduta del Gran Consiglio del Fascismo.

Il Gran Consiglio del Fascismo era il massimo organo del Partito Fascista e, in uno Stato come quello italiano, in cui il governo era il partito e viceversa, era praticamente considerato un organo di governo. Il Gran Consiglio era composto dai più importanti fascisti: 28 “gerarchi”, come erano chiamati dai Fascisti. Il Consiglio non operava come una sorta di parlamento: i fascisti non credevano nella democrazia. I ventotto non avevano mai votato niente, ma solo acclamato assieme le decisioni del capo.

Nella notte del 25 luglio del 1943, però, il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe finalmente votato, per la prima volta. Da giorni, infatti, il Re e alcuni politici italiani cercavano di convincere Mussolini a dimettersi da Presidente del consiglio, ma lui si rifiutava. Alla fine, uno dei congiurati, un gerarca fascista di nome Dino Grandi, decise di sfidare Mussolini, proponendo ai partecipanti un celebre ordine del giorno. Eccone un piccolo passaggio, nel quale è evidente che Grandi proponeva in sostanza l’abolizione del fascismo come condizione per negoziare un accordo migliore con le potenze vincitrici della guerra.

“Qualcuno ha detto che noi vogliamo la resa a discrezione del nemico. Non è vero. Il nemico che avanza ha dichiarato brutalmente che esso intende distruggere soltanto un regime politico. Ma noi non ci facciamo illusioni: sono in pericolo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano. Non è pertanto alla salvezza del regime che pensiamo. Un regime ed un partito altro non sono, e non formale furono per noi, che un mezzo ed uno strumento per la grandezza del Paese. I partiti ed i regimi sono effimeri, o quanto meno transitori: solo la Patria è eterna!”

Grandi chiedeva che l’Italia tornasse alla costituzione anteriore al fascismo, restituendo il potere al Re e riaprendo il parlamento. Non era altro che l’abolizione di tutto quello che era stato il fascismo, e ricordo che Grandi era stato un fascista convinto! Mussolini, nella riunione, sostenne con forza la sua politica, ecco un estratto delle sue parole:

“Ora il problema si pone. Guerra o pace? Resa a discrezione o resistenza a oltranza? Dichiaro nettamente che l'Inghilterra non fa la guerra al fascismo, ma all'Italia. L'Inghilterra (...) vuole occupare l'Italia, tenerla occupata. E poi noi siamo legati ai patti. I patti si rispettano!”

Alla fine, il Consiglio decise di votare la proposta di Grandi: 19 dei 28 voti andarono a favore della mozione di Grandi: il grande dittatore italiano, padrone del Paese per venti, lunghi anni, fu alla fine sfiduciato come un governo democratico, e fu sfiduciato da un gruppo di fascisti.

Mussolini allora fu costretto a recarsi dal Re. Sperava ancora di cavarsela: il Gran Consiglio era, in fondo, solo un organo “consultivo” e il voto non aveva alcuna efficacia immediata. Il Re però pretese le sue dimissioni: Mussolini, abbandonato da tutti, fu costretto a darle. Ma le sorprese per lui non erano ancora finite. All’uscita dalla riunione, l’ormai ex dittatore fu arrestato dai Carabinieri e portato via. Verrà imprigionato in un luogo ritenuto inaccessibile: un albergo isolato sull’altopiano di Campo Imperatore, sul monte Gran Sasso, a 2.000 metri d’altezza in quello che è chiamato il “Tibet d’Italia”.

Il fascismo era caduto, ma in teoria la guerra continuava. In realtà il nuovo governo del Re, guidato da Pietro Badoglio, intavolò subito le trattative con gli alleati, mentre Hitler dava precisi ordini ai suoi uomini in Italia. La Germania aveva inviato diverse delle sue migliori divisioni nella penisola, con l’obiettivo di difenderla dall’inevitabile invasione angloamericana. Le stesse divisioni, calcolò Hitler, potevano essere usate contro gli italiani.

Quanto a Badoglio, dopo cento giorni di trattative con Eisenhower, poté annunciare al mondo la decisione dell’Italia: era l’8 settembre del 1943:

“Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

L’Italia si era arresa agli angloamericani, ma i tedeschi non sarebbero rimasti a guardare con le mani in mano: non volevano vedersi gli alleati sul confine del Reich. Gli italiani, dal canto loro, accolsero l’annuncio di Badoglio come una liberazione: la guerra era finita, tutti i soldati potevano tornare a casa. Il peggio era passato.

Quello che gli italiani non sapevano era che, per l’Italia, il peggio non era passato. L’8 settembre del ‘43 non portò la pace, né fu l’ultimo atto del Fascismo. La nazione non fu salvata dalla guerra e, anzi, lo Stato quasi svanì in una terribile divisione geografica e nazionale. Presto l’Italia sarebbe stata occupata sia dagli ex nemici che dagli ex alleati. Gli italiani avrebbero dovuto subire la rabbia dei tedeschi, che si sentivano traditi: altro che patto d’acciaio!

In questo quadro, una terribile lotta si sarebbe aperta tra fascisti e anti-fascisti. Perché non solo la guerra non era finita, ma presto ci si sarebbe aggiunta la sua compagna peggiore: la guerra civile, nella quale Mussolini giocherà le sue ultime carte, le peggiori. Di tutto questo, parleremo nel prossimo, e ultimo, episodio di questa serie.

Voglio concludere con una segnalazione per tutti gli studenti di italiano, come voi, come te: in Italia sta andando in onda una serie televisiva dedicata all’ascesa di Mussolini, tratta da una fortunatissima serie di romanzi, che sta avendo un grande successo. La serie, come anche la serie di libri, si chiama “M, il figlio del secolo”. E, pur non avendola vista, personalmente, sembra interessante, e ha avuto ottime recensioni. Quindi magari potreste darle un’occhiata! Troverai al suo interno molti dei passaggi descritti in questa serie, in particolare nel primo episodio.

Questo è tutto, spero che ti sia piaciuto anche questo episodio di questa serie, che è molto seria, molto tetra, è un po’ pesante… ma spero anche interessante e appassionante. Racconta una parte fondamentale della storia del nostro Paese.

Ti ricordo anche che abbiamo una trascrizione con glossario dove troverai tutte le parole difficili che forse non conosci. Il link è in descrizione. Detto questo, l’appuntamento è all’ultimo episodio della serie, che spero non uscirà tra troppo tempo, ma… vedremo. Chi lo sa. Si accettano scommesse! Detto questo, alla prossima. Ciao!

Ciao amici e bentornati su Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti. Questo è il quarto episodio della mia serie di episodi di livello avanzato sul fascismo italiano, scritta da Marco Cappelli del podcast Storia d’Italia che, come sempre, vi consiglio di andare a scoprire. Una serie che vuole indagare la parte più oscura della storia italiana contemporanea, per scoprire com’è nato, come si è sviluppato e come è caduto il regime fascista.

Trascrizione interattiva dell'episodio, con il glossario delle parole difficili (consigliato)
Scarica la versione PDF della trascrizione

Nel primo episodio della serie abbiamo visto come il fascismo arrivò al potere; nel secondo abbiamo discusso il ruolo del fascismo nel plasmare alcuni aspetti fondamentali della società italiana; nel terzo, infine, abbiamo analizzato l’economia, la politica estera e le mosse in ambito coloniale del regime fascista, arrivando a quello che fu forse il suo momento di maggiore popolarità: il 9 maggio del 1936, quando Mussolini annunciò dai balconi di Piazza Venezia, a Roma, la costituzione di un Impero italiano, dopo la fulminea vittoria nella guerra di Etiopia.

Se non hai ascoltato le parti precedenti, o ti ricordi poco di quanto abbiamo detto, magari puoi recuperarle prima di ascoltare questa. Trovi tutti i link nell’app dove mi stai ascoltando oppure sul mio sito, podcastitaliano.com. Ti ricordo anche di dare un’occhiata, se ne hai bisogno, e anche se non ne hai bisogno, alla trascrizione di questo episodio, che trovi sempre sul mio sito. Dico “anche se non ne hai bisogno” perché contiene un ricco glossario con tutte le parole difficili, ed è un ottimo strumento per arricchire il tuo lessico. Ed è anche utile leggere questa trascrizione con il glossario dopo aver ascoltato l’episodio. Il link è, come sempre, nelle note dell’episodio.

Siamo rimasti, dunque, alla guerra di Etiopia. Probabilmente, se si fosse fermato a questa guerra, Mussolini sarebbe morto nel suo letto, in un’Italia stantia e tagliata fuori dal mondo, come fece il suo collega Franco a fine anni ‘70, in Spagna. Perché l’Italia fascista non sarebbe restata fuori dal grande conflitto mondiale che si avvicinava e questo, come vedremo, a causa di una spericolata scommessa di Mussolini con il fato e il buon senso.

Alla fine, quasi nulla sopravvivrà indenne alla tempesta di quella guerra. L’Italia sarà, sì, “devastata”, ma né Mussolini né il fascismo, per fortuna, ne uscirono indenni.

Comunque sia, torniamo al 1936, l’ora di gloria di Mussolini. L’Italia ha da poco conquistato l’immensa Etiopia, l’ultimo Paese africano a non essere mai stato colonizzato da una potenza europea. Assieme alle altre colonie italiane della regione, la Somalia e l’Eritrea, si è costituito sulla carta un grande impero coloniale, che domina l’intero corno d'Africa, la parte orientale del continente. L’Italia controlla inoltre la Libia, in Nordafrica, e la piccola Albania, al di là del mar Adriatico**. Quanto basta per** dare a Vittorio Emanuele III il titolo di Re e Imperatore. Sì, perché Mussolini, formalmente, è ancora solo il Presidente del consiglio, il capo di stato resta il Re. Questa è una differenza fondamentale rispetto alla Germania nazista dove Hitler, dal 1934 in poi, è sia capo del governo che capo di stato, dittatore e Re allo stesso tempo. Ricordatevelo, perché questa è una differenza importante anche per capire quello che succederà dopo, nella storia.

E dunque, il trionfo africano, in Etiopia, fu ottenuto ma al prezzo di importanti conseguenze: innanzitutto, il Paese aveva esaurito le sue limitate capacità economiche e industriali. La guerra era stata vinta, certo, ma lo sforzo logistico e finanziario necessario per sostenere un tale apparato militare, a una tale distanza dalla madrepatria, era costato una fortuna. La principale conseguenza, con il senno di poi, fu l’impossibilità di avere un esercito preparato e all’avanguardia. Avendo speso così tanto nel 1936, l’Italia sarà costretta a risparmiare nei cruciali anni seguenti, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Possono sembrare pochi anni, ma in realtà la tecnologia militare fece passi da gigante in quel breve arco di tempo, perché nel frattempo tutte le grandi potenze mondiali, l’URSS, la Germania nazista e le potenze Occidentali, investivano enormi somme e risorse per riarmarsi e ideare nuove, più potenti, armi. L’Italia si ritroverà a combattere con carri armati del 1935 contro carri armati del 1940, e saranno guai.

L’altra, importantissima conseguenza fu diplomatica: il Fascismo, inizialmente, non aveva per nulla sostenuto il desiderio del neo-cancelliere Hitler di rivedere l’intero assetto europeo emerso dalla Prima guerra mondiale. E non a caso. L’Italia era una delle quattro grandi potenze uscite vincitrici della Prima guerra mondiale (con Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna). Certo, era la più debole delle quattro, ma aveva comunque contribuito a scrivere l’ordine postbellico. L’Italia, ad esempio, si opponeva strenuamente al desiderio di Hitler di annettere l’Austria, un Paese con il quale l’Italia aveva costruito un rapporto speciale e che considerava nella sua sfera di influenza. Senza contare che, dal punto di vista italiano, era molto meglio avere al confine settentrionale la piccola repubblica austriaca che il minaccioso Terzo Reich nazista.

Per questo, dal 1933 al 1936, Mussolini aveva sostenuto Gran Bretagna e Francia nel tentativo di arginare e contenere Hitler, pensate un po’. Questa breve alleanza era andata in pezzi a causa della guerra in Etiopia. Infatti le potenze democratiche occidentali avevano seguito la loro opinione pubblica nel condannare l’aggressione colonialista italiana: una posizione abbastanza ipocrita, visto che entrambi i Paesi si guardavano bene dal liberare le loro immense colonie africane e asiatiche ma, si sa, la politica è raramente il regno della coerenza.

Con il sostegno anglofrancese, dunque, la società delle Nazioni (il precursore dell’ONU, le Nazioni Unite) aveva imposto all’Italia delle sanzioni economiche, abbastanza inefficaci a dir la verità, ma che bastavano a Mussolini per dichiararsi il difensore dell’orgoglio italiano contro l’ingiustizia delle tradizionali potenze coloniali. L’ostilità occidentale aveva inoltre convinto Mussolini a collaborare sempre più strettamente con il suo vicino settentrionale: Hitler ormai aveva i suoi stessi obiettivi imperiali e condivideva la stessa filosofia politica di estrema destra. Il sogno di Mussolini era di costruire un’egemonia sul Mediterraneo, e la Germania di Hitler era ben contenta di sostenere i suoi sogni imperiali: alla Germania, infatti, non interessava il Mediterraneo. Le ambizioni imperiali di entrambi erano conciliabili: si potevano sostenere in parallelo.

Questo sogno, o incubo imperialista, che dir si voglia, venne negoziato nel corso del 1938. Ma l’amicizia della Germania non era senza condizioni: si può dire che una delle prime vittime dell’accordo tra Italia e Germania furono gli ebrei italiani.

Il fascismo, a differenza del nazismo, non si era nutrito a piene mani di antisemitismo. Anzi, fino al 1938, il fascismo aveva accettato senza problemi gli ebrei tra i suoi iscritti al partito. Intendiamoci, il fascismo era autoritario, razzista, maschilista, repressivo, antisindacale, nazionalista, militarista, e espansionista. Ma tra i suoi tanti peccati fino ad allora non c’era stato l’antisemitismo. Questo è dovuto in parte al fatto che gli ebrei italiani erano pochi e ben integrati: in Italia c’erano meno di 50.000 ebrei, lo 0,1% della popolazione. Questo non vuol dire che in Italia non ci fosse antisemitismo: appena i Fascisti italiani si decisero a diventare antisemiti, trovarono terreno fertile nella cultura della destra italiana, che si era sempre nutrita di tutti gli stereotipi razzisti oltre che della tradizionale ostilità tra cattolici ed ebrei.

Il Duce sostenne sempre di aver preso del tutto autonomamente la decisione di perseguitare gli ebrei, ma noi sappiamo, con il senno di poi, che la Germania nazista faceva dell’antisemitismo una delle condizioni per l’alleanza tra i due Paesi: era una vera ossessione dei nazisti. Mussolini non se lo fece, alla fine, neanche ripetere più di tanto: l’antisemitismo, tutto sommato, si sposava bene con il resto delle sue opinioni.

E quindi, dopo il riavvicinamento diplomatico alla Germania nel 1936, l’opinione pubblica italiana fu preparata alla svolta antisemita per tutto il ‘37 e ’38, con una continua e battente campagna stampa contro i profittatori ebraici. Il 18 settembre del 1938, a Trieste, Mussolini fa un celebre discorso per sostenere la necessità del razzismo. Vorrei farvene sentire un pezzo.

“…Poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E, per il prestigio, occorre una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime”.

L’11 novembre del 1938, il Fascismo approvò le leggi razziali, volte alla preservazione della razza italiana (che è una cosa che fa un po’ ridere, visto che gli italiani sono un misto di sangue e culture da qualche migliaio di anni, come d’altronde tutti i popoli europei). Le discriminazioni fasciste contro gli ebrei furono molte e senza precedenti: includevano il divieto di matrimonio tra italiani ed ebrei; proibivano agli ebrei qualunque posizione lavorativa nell’amministrazione pubblica e nelle società private più importanti, come le banche e le assicurazioni; vietavano agli ebrei la professione di notaio e di giornalista; limitavano fortemente le professioni intellettuali (la maggior parte dei professori ebrei fu gettata fuori da università e scuole); e proibivano l’iscrizione dei ragazzi ebrei nelle scuole pubbliche.

Le leggi razziali e antisemite furono il punto più basso raggiunto dal Fascismo italiano, una macchia indelebile su Mussolini e anche su Re Vittorio Emanuele III, che avrebbe potuto usare quel poco potere che gli rimaneva per provare a resistere, cosa che non fece. Le leggi razziali danneggiarono anche le capacità innovative dell’Italia: Enrico Fermi, il più importante fisico italiano, decise di emigrare negli Stati Uniti: sua moglie era ebrea. Così fecero molti altri intellettuali.

Forte di questo “successo”, tra mille virgolette, sul fronte interno, Mussolini poté infine firmare il cosiddettopatto d’acciaio” tra Italia e Germania, un accordo che impegnava entrambe le potenze ad entrare in guerra al fianco dell’alleato, e questo in caso di qualunque conflitto, difensivo o offensivo. Cosa che rendeva il patto più pericoloso di quelli della tradizione europea, che di solito erano puramente difensivi: in teoria, il patto d’acciaio obbligava l’Italia a seguire Hitler in qualunque sua avventura militare in Europa.

Non che ciò valse a molto: Hitler, durante la sua celebre e infausta visita all’Italia, nel 1938, aveva già capito che il suo alleato era una tigre di carta, tutto fumo e niente arrosto, come diciamo noi. Forse utile solo per negare alla flotta britannica il dominio totale del Mediterraneo. Hitler si rese conto dell’arretratezza dell’esercito italiano durante le parate militari di quella visita, e si decise a muoversi sul tavolo della politica europea senza attendere che il suo alleato fosse pronto a una nuova guerra: d’altronde, chissà quando lo sarebbe stato. In modo piuttosto comico, a pochi mesi dalla firma del “Patto d’acciaio”, questo sarà in realtà disatteso, non rispettato, da entrambe le potenze.

Hitler, infatti, grazie al suo accelerato piano di riarmamento, già nel 1939, si sentiva in grado di affrontare una guerra europea, soprattutto in caso di non belligeranza dell’Unione Sovietica. Al contrario, l’Italia era convinta che una guerra europea non sarebbe scoppiata prima del 1942 o del 1943, e pertanto a fine 1939 era totalmente impreparata a condurla: come detto, la guerra in Etiopia aveva consumato tutte le energie disponibili all’Italia fascista, rimasta arretrata e povera anche grazie alle decisioni di Mussolini, come abbiamo visto negli scorsi episodi.

Hitler decise di invadere la Polonia il primo settembre del 1939, senza consultare Mussolini. L’Italia, in quell’occasione, chiese a Hitler un telegramma ufficiale nel quale affermava di sganciare l’Italia da ogni obbligo del Patto d’acciaio, perché tutti, ma proprio tutti, concordavano che il Paese non era per nulla pronto alla guerra. La Germania non si fece problemi a concedere all’alleato di restare fuori dalla “sua” guerra: a tre mesi dalla firma, l’alleanza sancita dal Patto d’Acciaio era già diventata molto più flessibile dell’acciaio. L’Italia ancora una volta non era scesa in guerra al fianco del suo alleato tedesco allo scoppio di una grande guerra, come aveva già fatto nella Prima guerra mondiale. Eh… è un’abitudine.

Per Hitler però non ci furono grossi problemi: si era assicurato un patto di “quasi alleanza” con l’Unione Sovietica nel quale, ancora una volta, la Germania e la Russia si spartirono tra loro la Polonia. Con il fianco russo coperto, i tedeschi schiacciarono i polacchi in poche settimane. Poi, a maggio del 1940, Hitler scatenò la sua offensiva contro la Francia e il corpo di spedizione britannico, il che sarebbe stato il sogno di qualunque generale tedesco della Prima guerra mondiale: poter combattere la guerra, dall’inizio, su un solo fronte per volta. Nel giro di poche settimane dall’avvio dell’offensiva occidentale, le forze anglofrancesi furono sconfitte e accerchiate, tanto che sembrava che la Francia fosse sul punto di cadere. È a questo punto che Mussolini iniziò a pensare che, preparato o no, forse era giunto il momento di unirsi al suo alleato.

La rapida vittoria della Germania costituiva infatti un rischio per l’Italia: Mussolini, che all’inizio aveva pensato di poter fare da intermediario tra le potenze occidentali e la Germania, ora si ritrovava con la prospettiva di una rapida vittoria tedesca, che l’avrebbe tagliato fuori dal riassetto delle geopolitica europea dopo la guerra. Intendiamoci, Mussolini era perfettamente consapevole di quanto l’Italia fosse ancora impreparata: il 24 settembre del 1939 il Commissario Generale per le Fabbricazioni di Guerra aveva sondato il grado di preparazione delle Forze Armate, ricevendo come risposta che, salvo imprevisti, la Regia Aeronautica sarebbe stata pronta a condurre una nuova guerra, pensate, entro la metà del ‘42; e la Regia Marina, alla fine del ‘43 e il Regio Esercito, alla fine del ‘44: un disastro. Senza contare che l’economia italiana era a corto di carbone e petrolio in seguito al blocco britannico alle esportazioni.

Ma, dal punto di vista di Mussolini, il tempo stringeva.Mi serve qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative”, avrebbe detto: e questo fu il suo banale, semplicistico calcolo, il calcolo di uno scommettitore alla roulette della storia. Mussolini era convinto di dover guerreggiare per finta, per solo qualche mese. Tanto la guerra era già vinta, no? La Francia era sul punto di arrendersi, e cosa avrebbe potuto fare l’Inghilterra da sola? Ricorda, poi, che nel 1940 l’Unione Sovietica era ancora in pace con la Germania e gli Stati Uniti non avevano alcuna voglia di entrare in un nuovo conflitto mondiale, anzi, l’opinione pubblica americana era contrarissima. Solo Pearl Harbor, a dicembre del ‘41, gli farà cambiare idea.

Mussolini si decise quindi ad intervenire in una guerra senza che lo volesse il suo alleato principale, la Germania nazista, senza le materie prime necessarie ad un conflitto, controllate dall’Inghilterra, e con un esercito arretrato, privo di mezzi e completamente impreparato alla guerra. Cosa sarebbe potuto andare storto?

L’Italia dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra il 5 giugno del 1940, annunciato in un celebre discorso di Mussolini, sempre a Piazza Venezia:

Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’impero e del Regno d’Albania! Ascoltate! Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera, e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!”

L'Italia iniziò le ostilità contro la Francia con un'offensiva lungo il confine alpino. Tuttavia, l'attacco si rivelò poco efficace a causa della resistenza francese, testarda, nonostante i tedeschi fossero ormai ad un passo da Parigi: gli italiani non avanzarono che di pochi chilometri. Nonostante l'armistizio tra Francia e Germania nel giugno 1940, l'Italia ottenne solo piccoli guadagni territoriali nelle Alpi occidentali e nella regione di Nizza, un risultato che suscitò delusione tra la leadership fascista, che si era aspettata qualcosa di più, nonostante le circostanze avverse. Ma la guerra, nonostante quello che credeva Mussolini, non era affatto terminata. Anzi, nelle parole di Churchill, non era la fine, ma la fine dell’inizio.

Nella seconda metà del 1940, per l’Italia la guerra si sposta in Africa. L’Italia occupava, in teoria, una posizione forte lì: le colonie francesi erano state neutralizzate dall’armistizio del giugno del 1940, la cruciale colonia inglese dell’Egitto era vulnerabile ad un attacco dalla Libia italiana. Senza l’Egitto, il Regno unito avrebbe avuto enormi difficoltà a tenere in piedi lo sforzo bellico, perché di lì passava buona parte della sua logistica imperiale.

Mussolini fu però costretto a lasciare al loro destino i centinaia di migliaia di italiani che occupavano l’Etiopia, la Somalia e l’Eritrea: nell’Africa orientale italiana c’erano in realtà alcuni dei migliori reparti italiani, ma questi erano irraggiungibili dall’Italia senza il controllo dell’Egitto e del canale di Suez. Isolati nel corno d’Africa, le forze italiane attesero, in sostanza, i risultati della battaglia d’Egitto, che fu invaso dal colonnello Rodolfo Graziani nel settembre del ‘40.

A fine ‘40, i Britannici avevano però rafforzato il loro esercito egiziano con i più moderni carri armati, artiglieria e unità militari a loro disposizione. L’operazione “Compass”, partita l’8 dicembre del ‘40, inflisse una totale sconfitta alle forze armate italiane: la X armata italiana fu praticamente annientata, e metà Libia fu conquistata dai Britannici. La guerra, per l’Italia, andava malissimo, e continuerà a farlo: assicurato l’Egitto, i britannici attaccarono l’Etiopia e le altre colonie italiane del Corno d’Africa, infliggendo una serie di sconfitte ad un esercito che non aveva alcuna speranza di rifornimento dalla madrepatria. Alla fine del 1941, l’Africa orientale italiana era perduta. La grande “vittoria”, tra virgolette, fascista del 1936 era già stata cancellata dalla storia.

Le sconfitte africane portarono l’Italia sul punto di una crisi di nervi: l’opposizione alla guerra, nel Paese, cresceva, mentre il governo non aveva ancora avuto il coraggio di mobilitare l’intera industria nazionale per lo sforzo bellico. Sembra che, ancora per tutto il 1940, Mussolini si fosse illuso che la guerra stesse per terminare. Ora, dopo le devastanti sconfitte africane, Mussolini aveva bisogno di una mano, o rischiava seriamente di vedersi sfuggire il Paese di mano. Per salvare la situazione, Hitler si decise a deviare una parte della sua possente forza militare in direzione dell’Africa, in modo da difendere le posizioni italiane in Libia. Nel febbraio del 1941, Hitler inviò in Libia il celebre feldmaresciallo Erwin Rommel e l'Afrika Korps, il corpo di spedizione tedesco in Nordafrica. Rommel ottenne subito degli importanti successi contro i britannici, invadendo nuovamente l’Egitto, ma il fronte africano rimase una costosa e incerta campagna. E non era neanche l’unico fronte dove l’Italia era in difficoltà, perché ce ne era un altro: la Grecia.

A ottobre del 1940, Mussolini era ancora impegnato in una guerra mediterranea che non stava vincendo quando, grande furbata, si decise a fare, forse, il passo più assurdo dell’intera guerra. Il governo italiano soffriva per il confronto tra i continui successi tedeschi e le sconfitte italiane, e decise che il Paese aveva bisogno di una vittoria facile, contro un nemico debole. Per esempio la Grecia, Paese amico ma che poteva essere un obiettivo per le ambizioni imperiali italiane.

Mussolini attaccò la Grecia nell'ottobre del ‘40, dopo che il suo ultimatum ai greci era stato rigettato orgogliosamente da questo Paese, fiero della sua indipendenza. La Grecia, invece di arrendersi di fronte alla supremazia fascista, decise di combattere con coraggio e determinazione. Gli italiani, in teoria, avevano una schiacciante superiorità numerica e di mezzi, oltre a una perfetta base d’invasione dalla vicina Albania (sotto il loro controllo). L'operazione si rivelò un disastro: le forze greche respinsero gli italiani, avanzando nel territorio albanese. Questo insuccesso mise in evidenza le carenze dell'esercito italiano e obbligò Hitler a intervenire una seconda volta in aiuto dell’alleato, ad appena due mesi dall’invio dell’Afrika Korps. Nell'aprile del 1941, Hitler invase la Grecia e occupò in poco tempo il Paese. Per la seconda volta, il dittatore tedesco aveva levato le castagne dal fuoco di Mussolini, ma il prestigio del dittatore italiano e di tutto il Paese ne uscì gravemente danneggiato. Da allora, Hitler iniziò a considerare Mussolini e l’Italia come un alleato del tutto secondario nei suoi piani di guerra, al punto da ritenere più affidabili e più efficaci dei Paesi che erano in teoria più piccoli, come la Finlandia, l’Ungheria e la Romania.

Dopo aver fallito in Francia, in Nord Africa e in Grecia, Mussolini si disse però che non c’è tre senza quattro. Da tempo sapeva che Hitler preparava l’ingresso in guerra contro l’Unione Sovietica, nell’estate del 1941. Si offrì, quindi, di aiutare l’alleato nella campagna di Russia, destinata a cancellare il Comunismo dalla faccia della terra. A quanto pare, però, Hitler era tutto meno che entusiasta di avere gli italiani nella sua crociata contro i Bolscevichi. E credo che possiamo capire perché, visti i precedenti. Per Hitler, invece, l’Italia si sarebbe dovuta concentrare sul Mediterraneo, nella guerra contro la flotta britannica e per il dominio del Nordafrica. Alla fine, però, si decise ad accettare l’aiuto dell’alleato, più per non offendere il prestigio italiano che altro. Mussolini organizzò quindi l’invio di un corpo di spedizione italiano in Russia, forte di circa 62.000 uomini, niente a paragone dei tedeschi, ma comunque una diversione di risorse e mezzi che sarebbero stati utili agli italiani in Nordafrica, dove invece l’Italia giocava una battaglia cruciale contro i britannici.

Inizialmente le cose in Unione sovietica andarono benissimo per le forze dell’Asse, che arrivarono ad un passo da Mosca. La controffensiva sovietica però bloccò l’avanzata sulla capitale e rigettò indietro i tedeschi. La successiva estate, l’offensiva tedesca riprese vigore, arrivando a minacciare la città cruciale di Stalingrado, nei cui dintorni combatteva anche il corpo di spedizione italiana. A fine ‘42, però, arrivò la controffensiva sovietica, la madre di tutte le controffensive: l’esercito italiano fu spazzato via, un’intera armata tedesca, la VI, fu circondata a Stalingrado e l’Italia non ebbe mai più alcun ruolo nella campagna di Russia.

Nel 1943, mentre le campagne militari si moltiplicavano, l'Italia cominciò a sentire il peso della guerra sul fronte interno. La scarsità di risorse alimentari, il razionamento e i bombardamenti alleati colpirono duramente la popolazione civile. Le cose peggiorarono molto quando le forze dell’asse in Nordafrica furono sconfitte dagli alleati: l’offensiva di Rommel fu bloccata ad El Alamein in Egitto, gli italo-tedeschi furono poi pesantemente battuti nella seconda battaglia di El Alamein, combattuta in contemporanea con Stalingrado. Da lì, fu un’unica ritirata indietro, inesorabilmente, fino alla Tunisia, dove le forze dell’asse si arresero il 13 maggio del 1943.

In realtà, checché se ne dica, il grosso delle forze armate dell’Asse in Nordafrica fu sempre italiano e, in alcuni casi, si comportò anche molto coraggiosamente, dimostrando uno spirito battagliero che non aveva avuto su altri fronti. Ma il coraggio non è un buon sostituto degli armamenti, non in un tempo di guerra meccanizzata e moderna: l’esercito italiano in Nordafrica fu sempre a corto di risorse, con veicoli, artiglieria e carri armati antiquati. Nel Novecento non si fa la guerra senza i mezzi per farla, e il fascismo non aveva mai dato al suo esercito i mezzi per condurre davvero una guerra alla portata delle capacità dell’Italia.

Conquistata la Tunisia, i britannici e gli americani - che erano entrati in guerra a fine 1941 e ora iniziavano ad avere una certa importanza nel conflitto in Europa - iniziarono a bombardare senza sosta le principali città italiane, tra le quali Milano, Torino e Napoli. Roma ricevette meno bombe, perché non c’erano grandi industrie da distruggere, ma fu comunque colpita a più riprese, cosa che impressionò molto l’opinione pubblica italiana, sempre più stanca della guerra di Mussolini.

In questo quadro disastroso, la propaganda fascista tentò di mantenere alto il morale, ma la realtà, ormai, era innegabile. Invece della gloria imperiale, la guerra fascista aveva condotto alla perdita di tutto l’Impero coloniale italiano, alla fame, alle privazioni, alla morte e, presto, anche all’invasione della madrepatria. Mussolini, che nel 1936 era stato al vertice della popolarità, pochi anni dopo era odiato dalla maggior parte degli italiani.

Il colpo finale fu l’invasione della Sicilia. Il 10 luglio del 1943, con l’operazione “Husky”, gli angloamericani sbarcarono sull’isola e, nel giro di un mese, la conquistarono. Fu a questo punto che la peculiare situazione istituzionale del fascismo portò alla caduta di Mussolini.

Come detto, Mussolini, a differenza di Hitler, non era il Capo di Stato dell’Italia: come dicevamo all’inizio dell’episodio, lo era ancora formalmente il Re, Vittorio Emanuele III. A Vittorio Emanuele erano fedeli alcuni dei più importanti generali italiani, come Pietro Badoglio. Inoltre il Re aveva ancora il potere formale di nominare un nuovo Primo ministro: non lo aveva fatto per vent’anni, tenendosi sempre Mussolini, ma questo non voleva dire che non potesse farlo, se si fossero create le giuste condizioni politiche.

Condizioni che, a luglio del 1943, erano ormai mature. Tra i capi del Fascismo, infatti, si era formata una fazione che era convinta che fosse indispensabile rimuovere Mussolini e trattare con gli Alleati una qualche forma di armistizio, che salvasse il salvabile, impedendo una distruzione totale dell'Italia. Questa fazione decise di intervenire in una storica seduta del Gran Consiglio del Fascismo.

Il Gran Consiglio del Fascismo era il massimo organo del Partito Fascista e, in uno Stato come quello italiano, in cui il governo era il partito e viceversa, era praticamente considerato un organo di governo. Il Gran Consiglio era composto dai più importanti fascisti: 28 “gerarchi”, come erano chiamati dai Fascisti. Il Consiglio non operava come una sorta di parlamento: i fascisti non credevano nella democrazia. I ventotto non avevano mai votato niente, ma solo acclamato assieme le decisioni del capo.

Nella notte del 25 luglio del 1943, però, il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe finalmente votato, per la prima volta. Da giorni, infatti, il Re e alcuni politici italiani cercavano di convincere Mussolini a dimettersi da Presidente del consiglio, ma lui si rifiutava. Alla fine, uno dei congiurati, un gerarca fascista di nome Dino Grandi, decise di sfidare Mussolini, proponendo ai partecipanti un celebre ordine del giorno. Eccone un piccolo passaggio, nel quale è evidente che Grandi proponeva in sostanza l’abolizione del fascismo come condizione per negoziare un accordo migliore con le potenze vincitrici della guerra.

“Qualcuno ha detto che noi vogliamo la resa a discrezione del nemico. Non è vero. Il nemico che avanza ha dichiarato brutalmente che esso intende distruggere soltanto un regime politico. Ma noi non ci facciamo illusioni: sono in pericolo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano. Non è pertanto alla salvezza del regime che pensiamo. Un regime ed un partito altro non sono, e non formale furono per noi, che un mezzo ed uno strumento per la grandezza del Paese. I partiti ed i regimi sono effimeri, o quanto meno transitori: solo la Patria è eterna!”

Grandi chiedeva che l’Italia tornasse alla costituzione anteriore al fascismo, restituendo il potere al Re e riaprendo il parlamento. Non era altro che l’abolizione di tutto quello che era stato il fascismo, e ricordo che Grandi era stato un fascista convinto! Mussolini, nella riunione, sostenne con forza la sua politica, ecco un estratto delle sue parole:

“Ora il problema si pone. Guerra o pace? Resa a discrezione o resistenza a oltranza? Dichiaro nettamente che l'Inghilterra non fa la guerra al fascismo, ma all'Italia. L'Inghilterra (...) vuole occupare l'Italia, tenerla occupata. E poi noi siamo legati ai patti. I patti si rispettano!”

Alla fine, il Consiglio decise di votare la proposta di Grandi: 19 dei 28 voti andarono a favore della mozione di Grandi: il grande dittatore italiano, padrone del Paese per venti, lunghi anni, fu alla fine sfiduciato come un governo democratico, e fu sfiduciato da un gruppo di fascisti.

Mussolini allora fu costretto a recarsi dal Re. Sperava ancora di cavarsela: il Gran Consiglio era, in fondo, solo un organo “consultivo” e il voto non aveva alcuna efficacia immediata. Il Re però pretese le sue dimissioni: Mussolini, abbandonato da tutti, fu costretto a darle. Ma le sorprese per lui non erano ancora finite. All’uscita dalla riunione, l’ormai ex dittatore fu arrestato dai Carabinieri e portato via. Verrà imprigionato in un luogo ritenuto inaccessibile: un albergo isolato sull’altopiano di Campo Imperatore, sul monte Gran Sasso, a 2.000 metri d’altezza in quello che è chiamato il “Tibet d’Italia”.

Il fascismo era caduto, ma in teoria la guerra continuava. In realtà il nuovo governo del Re, guidato da Pietro Badoglio, intavolò subito le trattative con gli alleati, mentre Hitler dava precisi ordini ai suoi uomini in Italia. La Germania aveva inviato diverse delle sue migliori divisioni nella penisola, con l’obiettivo di difenderla dall’inevitabile invasione angloamericana. Le stesse divisioni, calcolò Hitler, potevano essere usate contro gli italiani.

Quanto a Badoglio, dopo cento giorni di trattative con Eisenhower, poté annunciare al mondo la decisione dell’Italia: era l’8 settembre del 1943:

“Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

L’Italia si era arresa agli angloamericani, ma i tedeschi non sarebbero rimasti a guardare con le mani in mano: non volevano vedersi gli alleati sul confine del Reich. Gli italiani, dal canto loro, accolsero l’annuncio di Badoglio come una liberazione: la guerra era finita, tutti i soldati potevano tornare a casa. Il peggio era passato.

Quello che gli italiani non sapevano era che, per l’Italia, il peggio non era passato. L’8 settembre del ‘43 non portò la pace, né fu l’ultimo atto del Fascismo. La nazione non fu salvata dalla guerra e, anzi, lo Stato quasi svanì in una terribile divisione geografica e nazionale. Presto l’Italia sarebbe stata occupata sia dagli ex nemici che dagli ex alleati. Gli italiani avrebbero dovuto subire la rabbia dei tedeschi, che si sentivano traditi: altro che patto d’acciaio!

In questo quadro, una terribile lotta si sarebbe aperta tra fascisti e anti-fascisti. Perché non solo la guerra non era finita, ma presto ci si sarebbe aggiunta la sua compagna peggiore: la guerra civile, nella quale Mussolini giocherà le sue ultime carte, le peggiori. Di tutto questo, parleremo nel prossimo, e ultimo, episodio di questa serie.

Voglio concludere con una segnalazione per tutti gli studenti di italiano, come voi, come te: in Italia sta andando in onda una serie televisiva dedicata all’ascesa di Mussolini, tratta da una fortunatissima serie di romanzi, che sta avendo un grande successo. La serie, come anche la serie di libri, si chiama “M, il figlio del secolo”. E, pur non avendola vista, personalmente, sembra interessante, e ha avuto ottime recensioni. Quindi magari potreste darle un’occhiata! Troverai al suo interno molti dei passaggi descritti in questa serie, in particolare nel primo episodio.

Questo è tutto, spero che ti sia piaciuto anche questo episodio di questa serie, che è molto seria, molto tetra, è un po’ pesante… ma spero anche interessante e appassionante. Racconta una parte fondamentale della storia del nostro Paese.

Ti ricordo anche che abbiamo una trascrizione con glossario dove troverai tutte le parole difficili che forse non conosci. Il link è in descrizione. Detto questo, l’appuntamento è all’ultimo episodio della serie, che spero non uscirà tra troppo tempo, ma… vedremo. Chi lo sa. Si accettano scommesse! Detto questo, alla prossima. Ciao!

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