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Come essere infelici

Avanzato
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10

January 20, 2019

Note e risorse

Trascription

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Ciao a tutti e benvenuti su Podcast Italiano.
Benvenuti in questo episodio di livello avanzato. Prima di cominciare vi voglio ricordare che potete trovare la trascrizione di questo episodio su podcastitaliano.com, dove troverete anche la traduzione in inglese delle parole ed espressioni più difficili. Incominciamo!
Come vi ho raccontato in passato in un episodio di riflessioni senza trascrizioni non sono un avido lettore (avid reader) di libri. Tuttavia, di tanto in tanto mi capita di leggere libri che hanno un forte impatto sul mio modo di pensare. Si da il caso che io  (I happen to) legga maggiormente letteratura non-fiction. Proprio in questi giorni ho riletto un libro che lessi qualche anno fa e mi piacque moltissimo. Il libro si chiama “How to be miserable: 40 strategies you already use” dello psicologo Randy J. Paterson. Proprio così: questo libro, breve ma ricco di idee illuminanti (eye-opening), ci spiega in maniera ironica NON  come essere felici ma, almeno apparentemente, come essere infelici. In questo rovesciamento (reversal) del tipico modello di libro self-help sta (in questo sta = in there lies) la geniale ironia del saggio. In generale il libro rappresenta una vera e propria parodia in chiave umoristica (=in maniera umoristica, con umorismo) dei libri che promettono la felicità. Ovviamente nessuno, per quanto perverso (as perverse as one may be), si prefiggerebbe mai come obiettivo (would never se the goal for him/herself)  quello di raggiungere l’infelicità nella vita. Tuttavia, leggendo questo libro è molto facile rendersi conto di tutti i comportamenti che adottiamo e che, di norma, sono altamente correlati a una vita infelice. Facendo il contrario di quanto ci consiglia l’autore  riusciremo a mitigare (ridurre / mitigate) l’infelicità nella nostra vita, che è un obiettivo decisamente più alla nostra portata (within our reach) rispetto alla ricerca della felicità, così fuggevole (fleeting) e irraggiungibile. Di libri che cercano di insegnarci semplici maniere di raggiungere la felicità, come detto, ne esistono a bizzeffe (=tanti). A giudicare dagli scaffali (shelves) della sezione “self-help” di molte librerie, dalla quantità di workshop sull’argomento, dal volume della ricerca scientifica in merito, la nostra società da molta importanza alla ricerca della felicità. Peccato che, ahimè, la felicità è una chimera, come afferma chiaramente Randy J. Paterson. Cercare in maniera ossessiva la felicità, afferma Paterson nel suo libro, è, al contrario, uno dei modi migliori di raggiungere l’infelicità. L’autore spiega che la felicità è un po’ come una scoiattolo (squirrel): se cerchi di acchiapparlo (catch) lui fuggirà, ma se stai fermo e non ti muovi è possibile che venga da te. La strada che conduce all’infelicità, invece, è delineata molto più chiaramente (much more clearly outlined) ed esistono numerose strategie per raggiungerla. Paterson spiega che l’infelicità può avere due cause, da lui divise in Colonna A e Colonna B. La  Colonna A è composta da eventi fuori dal nostro controllo (es. Un tumore, una tragedia naturale). La colonna B, invece, contiene comportamenti che sono sotto il nostro controllo e che, se attuati (if carried out), possono contribuire a renderci la vita peggiore. Paterson individua ben 40 strategie utilizzabili per massimizzare la tristezza nella nostra vita che, come afferma il sottotitolo (as the subheading states), utilizziamo già. Vi posso assicurare che, come successo anche a me, vi ritroverete in (you will identify with, see yourself in) almeno in un certo numero di queste strategie.
Il libro si compone di quattro parti, ognuna contenente 10 strategie.

  • Come adottare uno stile di vita infelice
  • Come pensare da persona infelice
  • Come fallire in tutte le relazioni inter-personali
  • Come vivere una vita senza significato

Le quattro parti del libro sono in ordine decrescente di importanza (in descending order of importance). Ovvero, le prime 10 strategie relative ad uno stile di vita infelice sono le più efficaci di tutte. Perché mai questa decisione atipica? Si tratta di uno dei modi in cui Paterson si prende gioco dei libri di self-help sulla ricerca della felicità, che iniziano in sordina (quietly) e culminano solamente nel finale, in cui è contenuta la lezione più importante del libro intero. Paterson, al contrario, da le informazioni più importanti all’inizio, il che è secondo me una scelta apprezzabile (admirabile choice).

Le prime 10 strategie, che si riferiscono allo stile di vita, le abbiamo messe in atto (attuare = implement, carry out) quasi tutti nella vita: evitare qualsiasi tipo di esercizio fisico, mangiare tutto ciò che vediamo nelle pubblicità, dormire il meno possibile, fare uso di droghe (alcol incluso), massimizzare il tempo passato davanti agli schermi, fare acquisti sfrenati (senza freni / uncontrolled, unrestrained) (soprattutto quando non ce li possiamo permettere), dare tutte le proprie energie al lavoro, ecc.
Ma anche le restanti trenta strategie ci offrono preziosi spunti di riflessione (food for thought). L’autore ci consiglia, tra le altre cose, di rimuginare (overthink, ruminate) sulle scelte sbagliate fatte in passato e pensare a tutti i modi in cui il futuro potrebbe andare male, pensare a come sarebbe fantastica la nostra vita se avessimo fatto scelte diverse, concentrarsi sugli aspetti negativi della propria vita e ignorare tutto ciò che c’è di positivo, ricercare la perfezione a tutti i costi, formare legami di amicizia o amore con la persona immaginaria che vediamo in un altro e non quella che è per davvero, non dire mai di no alle richieste degli altri, pensare di conoscere sempre le motivazioni profonde dietro alle parole delle altre persone, e, come detto, prefiggersi l’obiettivo di raggiungere la felicità con ogni mezzo.
Ovviamente non posso parlarvi di ognuna delle innumerevoli (numerous) idee contenute nel libro, ma vi parlerò di qualcuna che mi ha colpito particolarmente. Una di queste riguarda il concetto di autostima (self-esteem). L’autostima va separata dalla sicurezza dovuta al fatto di saper fare qualcosa bene, come, per esempio, saper cambiare l’olio della macchina. L’autostima è vista dalla società come un concetto vago e amorfo, che abbraccia ogni aspetto (covers every aspect) di una persona e che o si ha o non si ha (ma si può sviluppare, per esempio ripetendosi le magiche “affermazioni positive”). Secondo l’autore l’autostima semplicemente non esiste. Il self-loathing, il disprezzo di se stessi, invece, è molto reale.
Una persona insicura analizza in chiave critica cosa pensa di star facendo male, com’è vestita,  come cammina, come parla, le cose che dice, il suo aspetto fisico ecc. Una persona sicura di sé, al contrario, difficilmente pensa: “come son vestito bene, tutti mi ammireranno. Vogliamo parlare del mia camminata sicura? Della mia voce profonda e suadente (soothing, mellow)? Di come abbia raccolto in maniera sicura la penna che mi era caduta? Di come insacchetto la spesa (bag the groceries) con sicurezza?”. Una persona sicura di sé semplicemente non pensa a tante delle cose per cui una persona insicura si fa problemi. Cercare di creare e sviluppare l’autostima, questo concetto così illusorio (misleading, deceptive), è dunque una missione futile (un po’ come la ricerca della felicità) che, al contrario, ci porta ad essere infelici per la sua natura vaga. Molto più facile sarebbe cercare di identificare ed eliminare il disprezzo che proviamo verso noi stessi.
Un’altra lezione che ho apprezzato particolarmente è contenuta nel capitolo measure up and measure down. Un metodo molto efficace di diventare infelici è di paragonarci in ogni ambito della nostra vita a persone che sono molto più brave, capaci, di successo, competenti di noi. Ad una festa, per esempio, dobbiamo cercare di paragonare il nostro modo di vestirci a quello della  persona vestita con costosissimi capi firmati (designer clothes), la nostra conoscenza della situazione in medio-oriente con il professore universitario che conosce ogni minimo dettaglio dell’argomento e le nostre abilità chitarristiche con l’Eric Clapton di turno presente alla festa, dimenticando che magari suoniamo la chitarra meglio del professore esperto di medio oriente, che sappiamo qualcosa in più della situazione medio-orientale della persona stilosa vestita con capi firmati e che siamo vestiti meglio di Eric Clapton. Dobbiamo sentirci delle nullità (a nobody) nei confronti di chi è molto meglio di noi in un ambito della vita senza pensare che, magari, ci sono tante cose che sappiamo fare meglio della maggior parte della persone.

Un’ultima lezione di cui voglio parlarvi riguarda la nostra capacità di saper resistere o meno agli impulsi. Prendiamo l’esercizio fisico. Prima di iniziare un allenamento difficilmente abbiamo voglia di farlo. La tentazione è infatti di NON farlo. Decidere di fare altro ci può effettivamente apportare felicità a breve termine (case short-term happiness). Guardare la tv magari è più allettante (tempting, enticing) sul momento. Ma, dopo poco, pensando che non stiamo facendo ciò che dovremmo fare (esercizio) iniziamo a sentirci infelici. Lo stesso si può dire per la fase successiva. “Anche oggi ho sprecato un’ora guardando la tv senza fare esercizio” è quello che possiamo pensare. Quindi questa è la sequenza delle nostre emozioni: POSITIVA-NEGATIVA-NEGATIVA.
Se invece non ascoltiamo il canto delle sirene (siren’s song) che ci tenta di guardare la tv e lasciar stare l’allenamento, una volta superata la barriera psicologica iniziale, ci sentiremo un po’ meglio durante l’attività in sé (alla fine non è così male) e decisamente meglio dopo. Quindi la sequenza è: NEGATIVA-NEUTRA-POSITIVA. Una combinazione decisamente più desiderabile.
Come dice Paterson: “La maggior parte delle cose che ci migliorano l’umore sono cose che non vogliamo fare prima di farle: l’esercizio fisico, mangiare sano, andare a dormire quando dovremmo, ecc.” Soprattutto nel lungo periodo, seguire gli impulsi e diventare  loro schiavi (becoming their slaves) è una strada che conduce direttamente all’infelicità. Gli impulsi sono pericolosi soprattutto quando siamo infelici. Nei momenti di tristezza tutto ciò che istintivamente faremmo peggiora solamente la situazione (per es. Abbuffarsi di gelato o di fast-food, non uscire di casa e non vedere nessuno, chiudersi in sé stessi (withdraw into oneself)). In questi momenti dovremmo adottare la strategia (questa volta vera e non ironica) dell’azione opposta, ovvero analizzare il nostro istinto e fare esattamente l’opposto.

Ma di lezioni illuminanti ce ne sono tante altre  . Insomma, non posso che consigliare questo libro. Come vi ho detto, ho rivisto in me (I saw in me, I noticed in me) e nei miei comportamenti molte delle strategie descritte nel libro. Capire che cosa facciamo male nelle nostra vita può aiutarci ad apportare dei correttivi (make some adjustments) e, magari, a minimizzare l’infelicità. La felicità, se vorrà, verrà da sé, come uno scoiattolo. L’importante è non inseguirla.

Vi ringrazio per aver ascoltato questo episodio, spero vi sia piaciuto e vi abbia fatto venir voglia di leggere il libro. Se vi piace podcast italiano parlatene ad altre persone che conoscete che imparano l’italiano. Inoltre, potreste lasciarmi una recensione su Apple Podcasts, che aiuterebbe il podcast ad essere trovato da altre persone come voi.  Ci sentiamo nel prossimo episodio.
Ciao!  

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