Come l'Italia divenne un paese fascista
Note e risorse
In questo episodio di livello avanzato ripercorriamo la storia di come l'Italia divenne un paese fascista.
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Trascription
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Ah l’Italia, patria della pasta, del Rinascimento, del caffè espresso, della pizza… e del Fascismo.
Ai nostri giorni non è più noto come un tempo, ma l’Italia è stato purtroppo il primo paese a cadere sotto un regime fascista: il regime di Mussolini è stato, per molti versi, la fonte di ispirazione per il regime nazista tedesco, che riuscì a prendere il potere solo un decennio dopo. L’anno scorso, il 2022, è stato l’anniversario della presa del potere del fascismo in Italia: cento anni sono passati da allora, eppure si tratta di una storia rilevante, importante, determinante ancora oggi. Vedremo in questo episodio come il fascismo prese il potere in Italia.
Ciao, questo è Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano. Stai ascoltando l’episodio di livello avanzato numero trenta, la cui trascrizione è disponibile sul mio sito web. A proposito, ho appena rifatto da zero il mio sito web e ora è molto più bello di prima, dunque corri a visitarlo al link nelle note di questo episodio all’interno dell’app che usi per ascoltarlo.
Anche l’episodio di oggi prosegue il filone storico degli ultimi contenuti pubblicati qui sul podcast ed è anche questo una collaborazione con Marco Cappelli di Storia d’Italia, che ha scritto l’episodio che state per sentire e che io ho leggermente adattato per voi. Prometto che non parlerò solo di storia da qui in poi sul podcast, anzi, voglio cercare di variare un po’ i miei prossimi contenuti. Spero che comunque ti stiano piacendo i recenti episodi a tema storico. Detto ciò, torniamo al fascismo e a come è arrivato al potere. Buon ascolto!
Trascrizione interattiva dell'episodio, con il glossario delle parole difficili (consigliato)
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Come in quasi tutte le tragedie del Novecento, le origini del Fascismo vanno ricercate nella Prima Guerra Mondiale, la guerra che distrusse il mondo eurocentrico, monarchico, ottimista, capitalista e imperialista dell’Ottocento inaugurando una nuova epoca. Quando i popoli del mondo riemersero da quella terribile prova fatta di acciaio, fuoco, devastazioni e morte, il mondo era cambiato. Il mondo moderno nasce negli orrori del primo conflitto mondiale.
L’Italia arrivò alla prima guerra mondiale in una posizione particolare: come la Germania, l’Italia era giunta molto tardi all’unificazione nazionale. Al 1859, la penisola era divisa in una serie di piccoli stati regionali, senza ambizioni e molto arretrati economicamente rispetto ai loro vicini europei.
Negli stessi anni in cui gli Stati Uniti si combattevano in una feroce guerra civile, l’Italia era impegnata invece nel processo opposto: l’unificazione. Entro il 1871, sia la Germania che l’Italia erano giunte ai confini che manterranno fino alla prima guerra mondiale.
I destini delle due nazioni da allora in poi si divisero: la Germania, una volta unita, marciò verso il rango, lo status di prima potenza continentale europea. L’Italia aveva avuto anch’essa l’ambizione di diventare una potenza mondiale: la nuova nazione aspirava ad entrare nel ristretto club di paesi che dominavano la politica globale. In quegli anni, questi paesi erano in sostanza sei, in ordine di importanza: il Regno Unito, la Germania, gli Stati Uniti, la Francia, la Russia e l’Impero austro-ungarico.
L’Italia giunse all’unità nella forma di una monarchia costituzionale liberale: secondo la costituzione, emanata da Carlo Alberto nel 1848, il Re era il capo dello stato, comandante dell’esercito: rappresentava la nazione e aveva il potere di nominare il primo ministro. Il governo era però gestito dal Presidente del Consiglio, il primo ministro, appunto, che era di solito espressione della maggioranza in Parlamento. Il Parlamento era inizialmente eletto da una piccola minoranza di elettori, soprattutto grandi proprietari terrieri e persone particolarmente facoltose, cioè ricche, ma le votazioni per il parlamento divennero via via più democratiche, fino a giungere al suffragio universale maschile nel 1912 (cioè, potevano votare tutti gli uomini maggiorenni), durante il governo di uno dei più importanti presidenti del consiglio italiani: Giovanni Giolitti.
Nei decenni dopo l’unità l’Italia non riuscì a combinare le sue ambizioni con la realtà: il paese era ancora molto povero e arretrato, l’industrializzazione arrivò tardi e si concentrò solo in una piccola parte del paese, il cosiddetto triangolo industriale tra Milano, Genova e Torino. Le avventure coloniali italiane, per lo più realizzate per dimostrare il nuovo rango del paese, sfociarono in un disastro: cercando di conquistare l’Africa orientale, nel 1896 l’Italia fu sonoramente battuta dall’Etiopia. Una sconfitta che fu umiliante per l’Italia, ma fonte di ispirazione per i popoli africani oppressi dall’imperialismo europeo.
Per queste e altre ragioni, alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale l’Italia non era considerata una grande potenza. Nonostante questo, l’Italia era inserita nel sistema di alleanze che portò alla guerra.
In Europa, ad inizio Novecento c’erano infatti due grandi alleanze contrapposte: la triplice intesa e la triplice alleanza. La triplice intesa riuniva tre grandi potenze mondiali, determinate a contenere la crescente potenza dell’Impero tedesco: il Regno Unito, la Francia e la Russia. La triplice alleanza era invece composta da Germania, Austria-Ungheria (che dominava buona parte dell’Europa centrale) e la stessa Italia.
Si trattava di un’alleanza innaturale: l’Austria-Ungheria era infatti il nemico storico dell’Italia. L’Austria occupava ancora molti territori reclamati dall’Italia, soprattutto verso i suoi confini nordorientali: il porto di Trieste (nel Nord-est del paese); la regione alpina del Trentino (nel Nord); e le regioni adriatiche dell’Istria e della Dalmazia, in sostanza oggi la moderna costa della Croazia, reclamata dall’Italia perché per un millennio era appartenuta alla Repubblica di Venezia. Attenzione: praticamente tutti questi territori, anche se reclamati dall’Italia, non erano popolati solo da persone di lingua italiana (o per essere precisi, lingue italiane, perché la lingua italiana che conosciamo oggi era ancora lontana dall’essere conosciuta universalmente). Tra di loro c’erano importanti comunità di lingua tedesca e slava, spesso anche maggioritarie: i confini nazionali europei sono stati quasi sempre scritti con il sangue.
Ma se l’Austria era il nemico naturale dell’Italia, e viceversa, perché erano alleate? Semplice: entrambe volevano essere alleate della Germania, la principale potenza del continente. Allo scoppio della guerra, però, l’opinione pubblica italiana era divisa e ancora molto ostile all’Austria-Ungheria. Quando si arrivò infine al dunque, alla guerra, l’Italia decise di non schierarsi al fianco dei suoi alleati e restò neutrale.
Questa decisione aprì un enorme dibattito nel paese tra chi voleva mantenere la neutralità durante il grande conflitto mondiale e chi invece voleva scendere in campo al fianco delle potenze dell’Intesa, ovvero Francia, Regno Unito e Russia. Ed è a questo punto che dobbiamo introdurre in questa storia un importante membro del partito socialista italiano. Per chi non lo sapesse, i socialisti, al tempo, volevano l’abolizione della proprietà privata e del sistema capitalistico, ed erano ovviamente un partito di sinistra. Uno di questi socialisti era un uomo il cui nome forse conoscete: Benito Mussolini.
Mussolini era nato a Predappio, in Romagna (Italia settentrionale), nel 1883, da una famiglia di tradizione socialista: gli era stato dato perfino il nome di un eroe dei socialisti: Benito Juarez, presidente del Messico nell’’800. Dopo gli studi, Benito divenne maestro in una scuola elementare, come la madre, d’altronde. Convinto anticlericale (cioè era contro la Chiesa) e antimilitarista, nel 1902 scappò in Svizzera per sfuggire alla leva militare. Tornato in Italia, scalò i vertici del socialismo italiano fino a diventare, nel 1912, una delle massime cariche nel partito e il direttore dell’Avanti, il quotidiano socialista. Sì, Mussolini era un convinto socialista. Curioso, vedendo come sono andate le cose.
Come abbiamo visto, fino al 1914 Mussolini era un antimilitarista, contro la guerra, eppure qualcosa deve essere cambiato per lui, come per molti altri, in quell’anno. Lo scoppio della guerra mondiale fu un trauma per l’intero movimento socialista europeo: da convinti internazionalisti, i socialisti europei si opponevano in teoria a qualunque guerra imperialistica, sposando i principi dell’internazionale, l’associazione dei movimenti socialisti mondiali, che avrebbero dovuto combattere uniti contro i loro nemici di classe, i capitalisti.
Eppure, la guerra mondiale pose tutti i socialisti di fronte ad un bivio: da un lato seguire i loro princìpi e opporsi quindi al conflitto, arrivando a sabotare l’impegno bellico; dall’altro sostenere lo sforzo delle rispettive nazioni, seguendo l’istinto patriottico. Di fronte a questa terribile scelta, molti socialisti scelsero la guerra: ad esempio, così fece il più grande partito socialista europeo, l’SPD tedesca. Sul fronte opposto, Lenin e i bolscevichi russi si schierarono decisamente per l’opposizione totale alla guerra.
E in Italia? In Italia, la situazione era diversa dalla Germania e dalla Russia: l’Italia non era in guerra. La maggior parte dei socialisti italiani era quindi d’accordo con questa politica. Ma non Mussolini.
Dalle pagine del giornale socialista Avanti Mussolini sostenne l’ingresso in guerra dell’Italia contro l’Austria-Ungheria e al fianco dell’Intesa. Fu quindi espulso dal partito e fondò un nuovo giornale: il Popolo d’Italia, schierato dichiaratamente al fianco dell’intervento in guerra.
Nei mesi seguenti, e fino al maggio del 1915, l’Italia rimase sospesa tra pace e guerra, con un’opinione pubblica sempre più interventista (a favore dell’intervento in guerra) – anche grazie alla propaganda continua di uomini come Mussolini. Le potenze dell’Intesa infine fecero all’Italia una proposta che non si può rifiutare – come direbbe Don Vito Corleone nel “Padrino”. Le potenze dell’Intesa offrirono all’Italia tutto quello che desiderava da decenni: il rango di grande potenza, la conquista di Trento, Trieste, dell’Istria, della Dalmazia, di ampi settori dell’Impero Ottomano oltre ad una congrua spartizione delle colonie tedesche. Un’offerta davvero interessante, che portò l’Italia a scendere in guerra, per la gioia di Mussolini e dei suoi.
La guerra fu devastante e l’Italia ne uscì molto indebolita, ma ne uscì vincitrice. Si trattò però di una vittoria costata molto cara: 650.000 persone avevano perso la vita, più di un milione erano mutilati e feriti: pensate, l’Italia ebbe più morti nella prima guerra mondiale che gli Stati Uniti in tutte le loro guerre esterne. Un pezzo del paese, a nordest, era distrutto. L’intera popolazione si sentiva impoverita e brutalizzata da tre anni e mezzo di guerra.
L’opinione pubblica italiana desiderava che questa vittoria, pagata a carissimo prezzo, valesse qualcosa: l’Italia occupò parte dei territori promessi per la sua entrata in guerra, ma nel frattempo l’opinione pubblica mondiale era cambiata. Il presidente americano Wilson chiedeva che i popoli dell’Europa orientale avessero lo stesso diritto all’autodeterminazione di quelli dell’Europa occidentale e si oppose apertamente a concedere la città di Fiume, in Istria, e la Dalmazia all’Italia, visto che erano zone popolate in gran parte da Slavi che desideravano entrare nella nuova Jugoslavia post-bellica. L’Italia si oppose alla posizione di Wilson, al punto di ritirarsi temporaneamente dalle negoziazioni di pace, nell’aprile del 1919. Tutto questo avveniva nel quadro di crescenti tensioni sociali: la fine della censura bellica portò a maggiori agitazioni politiche e sindacali, che sfociarono in un generale caos. Per comprendere quel periodo, facciamo ora un breve quadro della situazione politica.
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La sinistra socialista era cresciuta in prestigio grazie alla rivoluzione russa del 1917 e al trionfo dei Bolscevichi di Lenin: il socialismo sembrava alla portata di vari movimenti operai europei, incluso quello italiano. Una continua sequenza di scioperi e occupazioni delle fabbriche ha preso il nome in Italia di “biennio rosso”. Biennio significa “due anni”, e “rosso”... beh, perché erano ovviamente scioperi di sinistra. Tra il 1919 e il 1920 la tensione era alle stelle.
Al centro, tra socialisti e la destra di cui parleremo tra poco, c’erano i partiti tradizionali della politica italiana unitaria: soprattutto i liberali, che dominavano da anni la politica italiana, assieme ad altri partiti di centro e sinistra moderata. All’inizio del 1919, era stato fondato il Partito Popolare italiano, il primo partito di chiara ispirazione cattolica a partecipare alla vita politica.
All’estremo opposto della politica italiana, c’erano i nazionalisti e gli interventisti vecchio stampo. Tra tutti Mussolini era la figura più importante: la guerra lo aveva convertito dalla sinistra rivoluzionaria ad una sorta di estrema destra avversaria di ogni tradizione parlamentare e democratica. Una bella giravolta. La destra contestava al governo il suo atteggiamento giudicato troppo accomodante alle richieste di Francesi, Inglesi e Americani. Nasceva quindi il mito della "vittoria mutilata", una vittoria italiana pagata con il sangue degli italiani e che sarebbe stata resa vana, cioè inutile, nei salotti di Londra, Parigi e Washington. Intendiamoci, si trattava in gran parte di sciocchezze: l’Italia pretendeva di occupare territori dove la presenza italiana era molto limitata, andando contro il clima del 1918, che era molto diverso dal 1915, in particolare in conseguenza dell’intervento degli Stati Uniti, contrari ad espansioni territoriali non giustificate da parte delle potenze vincitrici.
Le potenze dell’Intesa comunque accettarono, per esempio, di concedere all’Italia il sudtirolo germanofono (cioè, la regione di Bolzano, che ancora oggi si trova in Italia, dove si parla tedesco) pur di accomodare le richieste italiane, ed erano probabilmente disposte ad altre concessioni, ma non volevano imporre agli slavi della futura Jugoslavia di passare da un padrone austriaco ad un padrone italiano.
Nell’atmosfera surriscaldata di quegli anni, queste sottigliezze si perdevano però di fronte all’opinione pubblica italiana: alla ricerca di un significato per gli anni sanguinosi spesi in trincea, molti reduci di guerra (persone sopravvissute alla guerra) trovarono il messaggio della “vittoria mutilata” molto allettante e, diciamo, autoassolutorio: chiedevano a gran voce che, al loro sacrificio, seguisse il raggiungimento di tutti gli obiettivi proclamati dall’Italia all’ingresso in guerra. Un gran numero di reduci si unirono al nascente movimento di destra.
Mussolini volle dare corpo politico a questo movimento di nazionalisti ed ex combattenti. Nel marzo del ‘19, Mussolini organizzò un raduno in un locale a Piazza San Sepolcro, a Milano: qui radunò un piccolo gruppo di reduci e intellettuali interventisti, nazionalisti, e socialisti rivoluzionari che si erano dati al militarismo. Mussolini battezzò la nuova associazione con il nome di “Fasci di Combattimento”: i fasci erano, nell’antica Roma, il simbolo del potere repubblicano e furono “rubati” di fatto da questo movimento nazionalista come simbolo della sua ideologia. Se non sai cosa sono i puoi cercare su Google “fasci” e troverai un‘immagine che te lo mostra chiaramente. Inizialmente, il principale scopo dei Fascisti era di abbattere i governi liberali e democratici italiani, responsabili di aver negoziato da una posizione di debolezza con le altre potenze vincitrici del conflitto.
Uno degli originali fascisti era un celebre poeta italiano: Gabriele D’annunzio. Diventato celebre durante la prima guerra mondiale con le sue coraggiose azioni dimostrative, come il sorvolo su Vienna, autore di film, di celebri pubblicità e grande coltivatore della sua immagine pubblica, D’annunzio era una vera celebrità: oggi probabilmente sarebbe un influencer.
Nel settembre del 1919 D’Annunzio occupò la città di Fiume, reclamata dall’Italia ma secondo gli accordi di Versailles appartenente alla Iugoslavia (Fiume oggi è in Croazia). Ci riuscì con l’ausilio di reparti dell’esercito italiano che decisero di seguirlo in quell’avventura folle, ribellandosi agli ordini di Roma che invece consigliavano la prudenza.
In seguito a queste tensioni, il Re Vittorio Emanuele III sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni per il novembre del ‘19: al voto i partiti tradizionali – come i liberali – ne uscirono pesantemente sconfitti mentre trionfarono due grandi partiti di massa: i cattolici del Partito Popolare e i socialisti, espressione della rabbia montante nel paese contro le dure condizioni economiche e lo sfruttamento dei lavoratori da parte di latifondisti e industriali. il Partito Socialista Italiano divenne il primo partito, con il 32% dei voti, mentre il Partito Popolare Italiano di don Sturzo arrivò secondo con il 20% dei voti. Anche i fascisti parteciparono alle elezioni, presentandosi nel solo collegio di Milano: Mussolini raccolse meno di 5.000 voti, meno del 2% dei votanti milanesi. Nessun fascista fu eletto. Mussolini, deluso, fu sul punto di abbandonare la politica. Purtroppo, non era destino.
La violenza del biennio rosso accelerò nel 1920, mentre la politica italiana era bloccata: i socialisti, primo partito, si rifiutavano di partecipare ad alcun governo con popolari e liberali, costringendo questi ultimi a trovare un accordo per cercare di gestire la politica del paese. Giolitti, vecchia volpe della politica italiana e più volte primo ministro in passato, tornò al potere e cercò di utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per contrastare gli estremisti di destra e di sinistra.
Contro la sinistra, in sostanza lasciò carta bianca alle squadre fasciste di combattimento. Nonostante la sconfitta elettorale, infatti, i Fascisti erano percepiti da molti borghesi e industriali come il braccio armato capace di impedire una rivoluzione bolscevica e riportare i lavoratori che scioperavano al lavoro. Nel 1920 si formarono molte associazioni di fasci di combattimento, in tutte le città italiane, che si organizzarono in squadre di combattimento, in sostanza squadre di violenti picchiatori che avevano il compito di rompere con la forza gli scioperi e le proteste dei Rossi.
La violenza politica continuò ad aumentare per tutto il corso di quell’anno. Dopo aver però ****picchiato duro ****sulla sinistra, nel settembre del ‘20 Giolitti decise di passare all’attacco della destra. Il presidente del consiglio raggiunse un accordo con i sindacati, per riportare gli operai in fabbrica a fronte di varie concessioni sul loro salario, sul loro stipendio; passò poi all’attacco di D’annunzio, l’influencer ante litteram di cui parlavamo prima, che ancora occupava Fiume nella moderna Croazia. Nel Natale del 1920, lo stato personale fondato da D’Annunzio fu invaso dall’esercito italiano, D’Annunzio fu sconfitto e Fiume fu restituita alla Jugoslavia.
Il 1921 fu un altro anno tumultuoso per la politica italiana: i Bolscevichi imposero una scissione al Partito Socialista, tra socialisti e comunisti. Nel frattempo il numero dei seguaci di Mussolini cresceva, anche se il movimento prese appena lo 0,45% dei voti alle elezioni del 1921, ancora lontanissimo dal potere. Eppure il partito elesse i primi deputati in parlamento, tra i quali lo stesso Mussolini.
Nel frattempo si alternavano diversi deboli governi e le squadre di fascisti continuavano indisturbate a colpire violentemente tutti gli oppositori politici: i municipi governati dai Socialisti venivano occupati, la sede del giornale socialista – l’Avanti – fu bruciata. Giornale, lo ricordo di nuovo perché è divertente, diretto pochi anni prima da Mussolini. A Ravenna ci furono violenti scontri fra socialisti e fascisti. In parlamento il Fascismo era sempre minoritario, ma nel paese diventava sempre più difficile resistere alla violenza organizzata delle sue forze paramilitari.
Il Re e il governo si ritenevano sempre più incapaci di gestire la situazione, il presidente del Consiglio Luigi Facta emanò Il 6 agosto un comunicato ufficiale ai cittadini «perché cessino i contrasti sanguinosi e gli spiriti si elevino a un sentimento di solidarietà patriottica e umana». In parlamento, Facta ottenne la maggioranza dei voti, anche grazie al supporto dei pochi deputati fascisti.
Mussolini, che aveva studiato la presa del potere di Lenin, si rese però conto che il governo era ormai debole e decise di organizzare un colpo di stato, pianificato per l’ottobre del 1922. Il governo era al corrente di tutto questo, e Facta presentò al Re Vittorio Emanuele III diversi piani per fermare e bloccare Mussolini. Il futuro “Duce” aveva infatti intenzione di radunare i suoi sostenitori per una marcia armata su Roma, e rese note le sue intenzioni ad un congresso del partito a Napoli. In realtà, sembra che non potesse essere una reale minaccia a livello militare: i Fascisti che si radunarono per la “marcia” erano pochi e il Re poteva contare sulla fedeltà delle forze armate. Come un buon giocatore di Poker, però, Mussolini provò un bluff con la posta più alta di tutte: intendeva essere nominato presidente del Consiglio proprio grazie alla minaccia delle sue milizie paramilitari.
Il governo, timoroso, esitò per diverse, decisive giornate: Facta chiese al Re di dichiarare lo stato di assedio, per preparare la difesa della capitale. I Fascisti, radunatisi in Umbria – a nord di Roma – erano relativamente pochi: 15-16 mila combattenti del fascio, male armati e per nulla pronti ad una battaglia. Sarebbe stato sufficiente istituire dei blocchi sulle strade e impedire il movimento dei treni per assicurarsi il fallimento del colpo di stato. Pare che lo stesso Mussolini non fosse affatto convinto del successo: il futuro “Duce” non si era unito ai suoi combattenti in Umbria, per marciare sulla ****capitale. Mussolini si era invece rifugiato nella capitale del fascismo, a Milano, pronto – a quanto pare – a fuggire in Svizzera se le cose fossero andate male.
Il Re tentennò sul momento più decisivo, decidendo di non controfirmare lo stato di assedio. Anzi, il 29 ottobre del 1922, Mussolini ricevette l’insperata notizia da Roma: era chiamato a formare un nuovo governo, in coalizione con i partiti liberali e moderati italiani, in funzione antisocialista e anticomunista, con il decisivo sostegno della monarchia. Mussolini accettò, e l’intera questione fu regolata senza versamenti di sangue e prove di forza. Solo il giorno dopo, il 30 ottobre, a cose fatte, le squadre fasciste furono fatte sfilare a Roma: più una passeggiata dimostrativa che un vero colpo di stato.
A soli 39 anni, Mussolini era diventato il più giovane Primo Ministro italiano. Nel suo primo discorso da Presidente del Consiglio, affermò di essere il capo di un governo rivoluzionario, ma che si era comunque dato alcuni limiti per gentile sua concessione, non perché intendesse rispettare la costituzione del Regno. In un passaggio celebre del discorso disse: “Con 300 mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il fascismo. Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il parlamento e costituire un governo esclusivamente di Fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Era in sostanza un avvertimento ai tanti non fascisti in parlamento: non pensate di ingabbiarmi con le vostre regole e leggi, il vostro ruolo è applaudire e lavorare al mio fianco per adottare il mio programma fascista. Dopo la formazione del governo Mussolini, la soldataglia fascista fu organizzata in un vero e proprio corpo militare, ai diretti ordini del capo di governo, in modo da formalizzare il braccio armato con il quale il Fascismo minacciava tutti i suoi oppositori.
Nonostante questo, durante il 1923 e il 1924, Mussolini governò dietro un paravento di rispetto della costituzione del regno italiano – lo statuto albertino. Organizzò però da subito una ufficializzazione ed estensione del suo potere, facendo passare una riforma elettorale che prevedeva la maggioranza assoluta per il primo partito votato alle prossime elezioni, previste per il 1924.
Le sue squadre di picchiatori, ormai ufficializzate, si assicurarono coi loro modi tipici, cioè picchiando, con la violenza, che la lista del Partito fascista fosse la prima votata in Italia. La lista nazionale guidata da Mussolini, che in teoria includeva anche politici tradizionalmente non fascisti, prese il 60% dei voti: l’unica volta che Mussolini vinse delle elezioni.
Poche settimane dopo, il 30 maggio del 1924, il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola in parlamento, dicendo tra le altre parole: “Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. […] nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà c. […] C’è una milizia armata, composta da cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso mancasse il consenso”. A chiusura del discorso, Matteotti disse che i suoi compagni di partito ora dovevano preparare la sua orazione funebre. E così fu.
Secondo le ricostruzioni degli eventi, quella sera Mussolini avrebbe urlato ai suoi “Quell’uomo non dovrebbe più circolare!”. Il deputato fu ucciso con ****un colpo di coltello ****e sepolto in un bosco a 25 km da Roma. Giacomo Matteotti fu il primo, grande martire della libertà e della lotta antifascista. La commozione fu generale, al punto che le opposizioni, già quando fu chiaro che Matteotti era scomparso per mano dei Fascisti, dichiararono l’Aventino, ritirandosi dal Parlamento e anzi formando a fine anno una sorta di parlamento parallelo, composto da tutti i deputati che non facevano parte del Partito Fascista. Il termine “Aventino” si richiama ad un episodio della prima Repubblica romana, dell’Antica Roma, quando il popolo romano si rifugiò sul colle dell’Aventino, uno dei sette colli di Roma, perché in lotta contro il Senato.
In contemporanea i sindacati indissero una serie di scioperi: la contrapposizione politica raggiungeva livelli di grande tensione. Lo stesso Mussolini temeva di essere licenziato dal Re. A Natale del 1924, la situazione era ancora molto tesa, fino al punto in cui un gruppo di fascisti si sarebbe recato da Mussolini, chiedendo a gran voce di installare una vera e propria dittatura, o nel caso contrario di togliersi di mezzo.
Con un celebre discorso alla Camera dei deputati, il 3 gennaio del 1925, Mussolini prese la sua decisione. “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”.
Il capo dell’associazione a delinquere, nel giro dei seguenti mesi, con le leggi “fascistissime” costruirà pezzo dopo pezzo una dittatura totalitaria e personale. In Italia fino al 1946 non ci saranno più elezioni libere, i partiti diversi dal Partito Fascista verranno sciolti, saranno proibiti i sindacati, la stampa verrà imbavagliata, verrà reintrodotta la pena di morte… Gli oppositori verrano fatti sparire o finiranno in prigione, confinati in isole lontano da tutti. Era iniziata la marcia dell’Italia verso il disastro della dittatura totalitaria.
Questo fu dunque il processo, lungo diversi anni, che portò l’Italia a diventare una dittatura fascista. Conoscere questi eventi è, credo, importante non solo per comprendere la storia italiana, ma per restare sempre in guardia rispetto ai rischi di una deriva fascista dei nostri sistemi democratici. Perché, seppure il fascismo italiano ebbe delle caratteristiche nazionali italiane, ne ha anche molte altre che sono in sostanza universali. Umberto Eco, l’autore del romanzo “Il nome della rosa”, nel celebre saggio “il fascismo eterno” ha voluto catalogare una serie di caratteristiche del fascismo universale: dal machismo al rifiuto della diversità, dall’ossessione per i complotti al disprezzo per i deboli, dal militarismo al rifiuto della cultura, considerata elitaria. Occorre essere sempre in guardia per identificare questi sintomi, dubitando sempre dell’uomo provvidenziale che giungerà a curare ogni male della società: spesso questa storia finisce in un discorso di fronte al parlamento. Come disse la principessa Amidal in “Star Wars”: So that’s how liberty dies, with thunderous applause («Ecco come muore la civiltà, con scroscianti applausi»).
Questo è tutto. Spero ti sia piaciuto l’episodio, se così è potrebbe piacerti il podcast di Marco Cappelli, autore di questo episodio. Si chiama “Storia d’Italia” e ripercorre la storia del nostro paese dai tempi dell’imperatore romano Costantino; lo trovi su tutte le piattaforme di podcast.
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Ci sentiamo presto (o almeno spero). Alla prossima!
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