Elissa e l’italiano
Note e risorse
Trascription
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Ciao a tutti e benvenuti su Podcast Italiano. Questa è la seconda parte dell‘intervista che ho fatto ad Elissa nel ormai lontano luglio 2018. Ora probabilmente vi starete chiedendo: “ma perché esce adesso la seconda parte se la prima parte è uscita a luglio?”. Non lo so neanch’io. In realtà uno dei motivi è che sono partito in Erasmus e non avevo più il file sottomano (at hand). Quindi chiedo scusa, ma finalmente oggi esce la seconda parte. Nella prima parte se vi ricordate abbiamo parlato della vita in Italia, in generale dell’amore di Elissa verso l’Italia, mentre in questa seconda parte parliamo prima della lingua italiana per Elissa, delle difficoltà nell’apprendimento della lingua, e poi nella seconda parte le sottopongo un quiz, le faccio alcune domande trabocchetto (trick questions), come diciamo in italiano, cioè difficili (che sono difficili anche per persone italiane a dire il vero) e le chiedo anche il significato di alcune espressioni idiomatiche.
Come sempre potete trovare la trascrizione intera di questa intervista su podcastitaliano.com, quindi vi invito tutti ad utilizzarla. Detto questo vi auguro buon ascolto.
D. Adesso volevo parlare un po’ più nello specifico della lingua italiana – e anche di questo argomento hai parlato sul tuo canale YouTube -, quindi magari, non so, volevo chiederti qualcosa di diverso (però andate a vedere il video di Elissa su come hai imparato l’italiano) . Volevo chiederti: qual è stata la cosa più difficile da imparare a livello di, non so, qualsiasi cosa… grammatica, pronuncia, struttura della frase, intonazione.
E. Pronomi diretti e indiretti. Tipo “gli”, “e “lo”. Non lo so, ancora faccio fatica un po’ a sapere quando lo devo usare. Tipo adesso lo faccio un po’ in modo naturale (meglio: in modo abbastanza naturale) ma la cosa che… devo pensarci ancora. Il congiuntivo non è sempre difficile. Tipo: se dico che “sono contenta che” [serve il] congiuntivo, “penso che”, congiuntivo, “credo che” congiuntivo. Però ci sono delle altre cose, frasi* che non senti sempre forse o… non lo so, se devo dire “non so quanto” [devo pensare]: “aspetta, devo usare il congiuntivo o no?”. Quindi se sono cose che non sono tipo: “qualcosa + che” e poi è facile, capisci?
D. Non c’è una spia (here not meaning spy but indication, clue) chiara come il verbo “pensare” o il verbo “credere”.
E. O “non so se”. Tipo… aspetta, se dico “non so se” devo usare il congiuntivo o no? E una cosa difficile è che gli italiani non usano sempre il congiuntivo…
D. Eh, infatti.
E. … quindi cerco di parlare in modo corretto, ma è difficile se non lo sento dalle altre persone. Quindi è per quello che, non lo so, chiedo sempre al mio ragazzo, perché lui parla in modo perfetto, diciamo, è il più perfetto che si può trovare in una persona normale. Cerco di imparare da lui. Perché quando scrivono tipo commenti anch’io vedo che [gli italiani] fanno un sacco di errori e non sono neanche italiana, quindi…- perché l’ho studiato quindi so come devo scriverlo perché dovevo fare esami, dovevo… quindi diciamo che il congiuntivo e pronomi diretti e indiretti. [Le] preposizioni sono* sempre una cosa difficile perché anche in inglese sono* una cosa che devi più o meno memorizzare. A volte si può intuire quale devi usare, per dire se stai andando da un posto a un altro, ok in quel caso è uguale. Ma non è sempre uguale. Quindi questa è una cosa che è difficile, diciamo.
D. Volevo anche parlare nello specifico della pronuncia, perché questo è il tuo… uno dei tuoi punti forti (strong points, suits), secondo me. Nel senso, ci sono secondo me tante persone che parlano bene, però è difficile trovare persone che hanno una buona pronuncia, soprattutto una pronuncia che sia verosimile (credibile, realistic), no? Perché tu hai una pronuncia che, vabbè, probabilmente è influenzata dal marchigiano (dialetto delle Marche, regione italiana dove vive Elissa), però che in ogni caso può essere localizzato come centro-nord o centro-nordica, del centro-nord italiano. // Davide del futuro. La parola giusta è centro-settentrionale, ma non mi veniva durante l’intervista. Torniamo alla nostra chiacchierata // Questa è una cosa che non capita molto spesso, perché molte persone magari hanno un mix di accenti di varie regioni italiane. Volevo chiederti: quali sono gli elementi fondamentali per una buona pronuncia, secondo te? Il ruolo del talento? Qualche abilità innata? Quanto è importante la pratica? Quanto è importante vivere in un certo luogo? E soprattutto nel caso degli italiani, che è (meglio: sono) un caso molto particolare, perché secondo me, per esempio, l’inglese americano… diciamo, uno può imparare uno standard e avere un accento neutro, mentre imparare un accento neutro in italiano è un po’ …
E. Non ha senso, perché si sente solo nei film.
D. Esatto. Esattamente. Non so, ti ho fatto un po’ di domande, spero che [te le ricorderai]… [ride]
E. [ride] Sì, adesso devo concentrarmi un po’, ricordare quello che mi hai chiesto. Per [quanto riguarda] il talento è vero che ovviamente se hai un talento è più facile. Per esempio, se a una persona [viene] naturale cantare è più facile cantare. Ma solo perché non è naturale non vuol dire che non può essere (meglio: diventare) brava a cantare, devi solo fare tanta pratica, quindi dipende da quanto vuoi lavorare su questa cosa. Secondo me puoi raggiungere un livello alto se ti concentri, se fai tanta pratica e se cerchi di non rimanere la stessa persona. Nel senso che quando parli un’altra lingua la tua personalità cambia, leggermente ma cambia. Quindi io sono una persona leggermente diversa quando parlo italiano, e le persone hanno notato sul mio canale che sono, non lo so, forse più felice più… non lo so, che sono diversa, più solare (“sunny”, as in cheerful) forse quando parlo italiano. In inglese invece sono un po’ diversa, sono, diciamo, più tedesca. E quindi devi accettare questa cosa, che cambierei un po’. Devi cercare di entrare in (nella*) modalità dall’altra lingua. Quindi entro nella modalità italiana quando parlo l’italiano e non riesco facilmente a cambiare e a parlare in inglese. Se cerco di parlare in francese il mio cervello cerca di andare in modalità francese e così via. Quindi devi mentalmente cercare di non rimanere diciamo, te stessa o te stesso, perché quello che succede è [che] usi la stessa pronuncia che usi per la tua lingua madre e ti senti strano quando cerchi di cambiare il modo in cui usi la bocca e la lingua. Quindi [è] per quello che devi, diciamo, entrare in questo in questa mentalità, di non essere più la stessa persona.
D. Volevo chiederti, quindi, quando entri in questa modalità italiana: i gesti, che sono, appunto, uno degli aspetti più stereotipati (stereotypical) degli italiani, sono qualcosa che usi, che hai iniziato a usare di più? Oppure no?
E. Non uso gesti specifici, comunque uso le mani tanto. Ma mi sa che lo facevo anche prima, forse adesso li uso leggermente di più, ma può essere anche perché non è la mia prima… non è mia lingua madre, quindi forse sto cercando di farti capire con i gesti, con le mani. Può essere per quello. Lo faccio più spesso adesso.
D. Però non gesti specifici, come questo, che non vedono [i nostri ascoltatori]. Sto facendo il classico gesto per cui tutti gli italiani sono conosciuti, oppure non so tanti altri gesti che abbiamo. Quelli non li usi?
E. No, perché sinceramente non so come usarlo, diciamo. So come usarlo ma non vedo altre persone che lo usano con me, quindi non lo uso. Se è una cosa che vedo forse lo userò, ma visto che non lo vedo, non lo uso.
D. Ok. Volevo chiederti invece… stavamo parlando, prima di iniziare l’intervista, appunto, tu mi chiedevi una parola che… non mi ricordo quale, e io ti ho detto: “non esiste questa parola, usiamo un anglicismo”. Non so, ti sei imbattuta immagino, in questo uso di anglicismi che in italiano è sempre crescente, che per alcune persone, soprattutto magari dai puristi della lingua italiana, è visto come qualcosa di molto negativo, mentre da altre persone è visto come una naturale evoluzione della lingua. Non so, tu ti sei imbattuta (you stumbled upon / imbattersi), immagino, in questo, e che cosa ne pensi?
E. Per me è una cosa difficile. Anche se stiamo usando parole in inglese, perché prima di tutto devo dire una parola della mia lingua madre in un accento della mia terza lingua, quindi invece di dire, non lo so… “weekend”…
D. Fescion (con accento italiano).
E. Fashion, devo dire “fescion” (con accento italiano). Quindi è una cosa un po’…
D. Uichènd.
E. Uichènd. Ok, quindi è una cosa un po’…
D. Aifòn.
E. Aifòn.
D. Anche se alcuni dicono Àifon, altre persone [dicono] Aifòn.
E. Ci sono tantissime parole e per me è una cosa strana perché prima di tutto devo abituarmi a pronunciare queste cose con un accento italiano, anche se non è il mio accento. Quindi a volte ancora lo faccio con l’accento inglese perché non so bene come pronunciarlo in italiano e quindi non voglio imbarazzarmi (meglio: “mettermi in imbarazzo”), insomma. Comunque, non devo preoccuparmi. A volte è più naturale dirlo in inglese. E poi è difficile perché per certe cose si usano parole in inglese. Ma come faccio a sapere quando si usa parola inglese? Quando c’è una parola italiana? Quindi spesso devo chiedere: come si chiama questo? Si chiama “stand”, quindi come faccio?
D. Però non devi pronunciarlo così, devi pronunciarlo “stend”.
E. Ah, stend!
D. Se no magari rischi che non ti capiscano.
E. Sì sì.
D. No però, non so, la cosa che a me personalmente non piace è quando vengono utilizzate parole quando ci sono altre parole italiane perfettamente valide. E questo spesso viene fatto un po’ per darsi quest’aria di prestigio (literally “to give oneself an “air” of prestige -> to try to look cool), di essere esperti in qualcosa, sembrare più capaci in qualcosa.
E. Certo. Tipo dire “live stream” invece di “diretta”, anche se c’è la parola diretta ma ci sono delle persone che dicono “live stream”, quindi cose così.
D. Sì.
E. Io preferisco dire “diretta” perché preferisco non dire la parola della mia lingua madre con l’accento…
D. Pronunciata male.
E. Sì, perché poi non lo dico perfettamente all’italiana, perché ho un accento [a metà strada] tra quello canadese e quello italiano, quindi preferisco usare la parola italiana, se posso.
D. Sì sì, però… e a volte le pronunce sono davvero terribili, non solo adattate all’italiano, ma proprio sbagliate, anche come accento. Forse una delle parole più, tra virgolette, “stuprate” (stuprare = rape -> mangled) inglesi è la parola “management”, che viene pronunciata da alcuni “menègment”.
E. Oddio!
D. O “manàgment”.Qualcosa del genere. O il “no-au”.
E. “Know-how?”
D. Sì, l’h (acca) in italiano sparisce, quindi bisogna dire “no-au”, qualcosa di abbastanza terribile.
E. Sì sì.
D. Anche il tuo nome stesso, immagino che tu in italiano lo pronunci Elissa.
E. Elissa, sì.
D. Come si legge. Però in inglese immagino sia “Elissa” (con pronuncia inglese).
E. Elissa.
D. Quindi lo adatti, in quel caso. Lo italianizzi (you italianize it).
E. Sì certo, perché è facile. È lo stesso nome, non cambia per me, tipo cambia un po’. Perché le vocali sono più, diciamo, chiuse*, sono più precise*, e allo stesso tempo c’è la doppia s, che in inglese non c’è. Elissa. Quindi non c’è la doppia. Ma comunque per me è sempre lo stesso nome perché non lo so, se dici il mio nome in francese, tipo “Elissà”, o in inglese Elissa, o in italiano Elissa, per me è sempre uguale. Infatti mia madre mi ha chiamato così per quello. Perché è facile da pronunciare in tantissime lingue e non mi dà fastidio. Il problema è che quando ti chiami Giuseppe e vai in Canada come nel mio video, non so se l’hai visto, quello su come pronunciare i nomi in italiano, c’era Giovanni o Giuseppe.
D. Geeovàni o qualcosa del genere.
E. Geeovàni. Oppure Josepee. Quindi è una cosa che, non lo so, per me non è la stessa cosa, mentre per il mio nome è facile. Tipo Chiara: c’è… abbiamo il nome Kiara, scritto con la k, K-I-A-R-A. Se ti chiami così è molto facile, perché è quasi la stessa cosa, però se c’è la traduzione (tipo in inglese sarebbe “Joseph” forse), come fai? Perché per me (meglio: nel mio caso) non chiedo “devi chiamarmi Elissa (con pronuncia inglese)”, perché è difficile da pronunciare quando stai parlando una lingua…
D. Io mi sono sempre imbattuto nel problema che la pronuncia del mio nome è molto particolare in italiano, nel senso che è diversa da tutte le altre lingue in cui ci sono nomi equivalenti, nel senso che se pensi a “Davide” con l’accento sulla “a” … diciamo, non si trova… ok, in inglese “David”, l’accento è sulla prima sillaba, però c’è un suono completamente diverso.
E. Certo.
D. In francese e spagnolo è “David”, in altre lingue anche… non so, io sono stato in Russia, studio il russo e mi chiamano anche lì “David”, spesso. Allora a volte rinuncio e tipo se parlo con americani (ndr: in realtà spesso lo faccio anche con persone di altre nazionalità) dico “chiamami Dave”.
E. Direi che sono abbastanza brava a pronunciare i nomi di una lingua che non conosco solo perché ho l’inglese e [il] francese e [l’]italiano e [il] libanese so pronunciarlo, anche se non so parlarlo. Quindi sono abituata, riesco almeno a produrre tanti suoni. Quindi altre persone che non parlano un’altra lingua non so come fanno, mi sa che non provano neanche e lo pronunciano con l’accento inglese, perché è l’unica cosa che sanno fare.
D. E pensi che le tue origini (da parte di tua madre) libanesi abbiano influenzato la tua capacità di imitare suoni in altre lingue?
E. Certo, certo. Anche in libanese usano tanto il francese.Tipo invece di dire la parola per dire “ciao”, che mi sa (meglio: credo sia) Mahaba, o qualcosa del genere, dicono sempre “Bonjour” o “bonsoir” o “merci”. Non dicono… vabbè “Chokran” penso che sia* la parola per dire “grazie”. Non so comunque, non usano quelle, usano quelle francesi, specialmente i cristiani libanesi*, visto che la mia famiglia è cristiana… mi sa che lo usano anche di più il francese, perché sono più… westernized?
D. Occidentalizzati.
E. Occ.. oddio.
D. Occidentalizzati.
E. Occidentalizzati. [ride] Ok, quello. Quindi dipende dalla persona in Libano, perché ci sono delle persone che non… a volte i non-cristiani, oppure le persone più anziane* non sanno pronunciare la “p” perché non c’è in arabo o in libanese, ma c’è solo in francese, quindi se parli francese sai pronunciare la “p”. Comunque è un casino (mess), comunque non era quella domanda. La domanda era se è più facile per me. Direi di sì, perché io imito sempre mia madre, lei dice sempre “ma perché mi prendi in giro?”. E io dico “no, non ti prendo in giro, è perché sei carina, sei adorabile”. Quindi io ogni volta che dice qualcosa io dico quello che… lo ripeto, lo ripeto nel suo accento perché… prima di tutto fa ridere un sacco (literally: she makes laugh a lot -> she’s very funny), perché lei, non lo so, fa ridere. E quindi per me (meglio: a me) questo mi ha aiutato, perché ho sempre sentito il libanese da piccola e sì, anche l’italiano un po’, un pochino, ho sentito l’ italiano. Beh, più siciliano vecchio (meglio: antico) del 1950, diciamo, mischiato con l’italiano. Quindi anche se non l’ho sentito tantissimo ho sentito (ho sentito il libanese molto di più) ho sempre sentito lingue diverse, e poi c’era il francese, quindi ci sono quattro lingue nella mia testa e mi aiuta, perché non sento solo l’accento inglese, sono più abituata a sentire cose diverse è per quello sono più abituata a pronunciare questi suoni.
D. Ok, adesso volevo farti, o sottoporti, un quiz di lingua italiana.
E. Oddio!
D. Allora, la prima parte è dedicata ad alcuni tempi verbali, forme verbali desuete (out-of-practice, archaic) o poco comuni che anche agli italiani causano molte difficoltà e la seconda parte è dedicata a delle espressioni idiomatiche.
E. Ho paura.
D. Iniziamo… come te la cavi con il passato remoto, innanzitutto?
E. Mai usato.
D. Mai usato. Immaginavo, perché immagino che non si usi nelle Marche, come anche qua.
E. Beh, a volte il mio ragazzo lo usa quando parla, non lo so, dei romani o qualcosa [del genere], però a scuola l’abbiamo imparato… era l’ultima cosa che abbiamo imparato, tipo al terzo anno di italiano dell’ultimo corso, tipo le ultime settimane, e non abbiamo fatto così tanto. Di solito non lo sento così tanto con i miei amici, con la persona con cui ho parlato (meglio: con le persone con cui parlo), non lo sento, non lo vedo, come faccio ad usarlo? Non vale la pena impararlo, perché praticamente non si usa quasi mai.
D. Allora potrebbe essere un po’ difficile questo quiz, però non importa.
E. Oddio, perché il passato remoto?! Qualsiasi cosa tranne quella*, dai.
D. Sono domande trabocchetto, cioè… sai cosa vuol dire? Che vengono fatte agli italiani. Allora, il passato remoto prima persona del verbo “cuocere”. Non ti preoccupare se non la sai perché anche gli italiani di solito non la sanno, quindi… anzi se tu, Elissa ma altre persone che state ascoltando questo podcast volete mettere in difficoltà un italiano fategli queste domande. Passato remoto di “cuocere”, per esempio.
E. È tipo… cos-? Aspetta. Cossi?
D. “Cossi”, giusto, giusto.
E. Sì? Sì!!!
D. Hai iniziato benissimo. Non so se sarei stato capace prima di sapere la risposta. Allora. Numero 2. Il passato remoto di “nuocere” (harm). È già un verbo difficile.
E. “Nuocere”? Che cosa vuol dire?
D. Ok, nuocere è come “harm”, quindi nelle scatole di sigarette si legge “il fumo nuoce alla salute”, cioè fa male ma in modo più elevato, più formale.
E. Non ho mai sentito questo verbo, come faccio? Non so neanche come farlo al presente…
D. Nuocio, nuoci…
E. Nuocio, nuoci, nuoce? Non ne ho idea.
D.Ok, il passato remoto di nuocere è “nocqui”.
E. Nocqui! E infatti pensavo “nocqui”. Forse un suono tipo k… Non avevo idea, non sarei riuscita, comunque, ma vabbè, almeno il mio cervello andava in quella direzione.
D. Conosci il verbo “esigere” (demand, require), immagino?
E. Cosa vuol dire ancora (meglio: di nuovo)? L’ho sentito, mi sa.
D. Esigere qualcosa vuol dire… non so, per esempio “esigo che tu arrivi in tempo”.
E. Tipo “ti aspetti”?
D. “Mi aspetto qualcosa”. Esigere qualcosa, pretendere, non in inglese ovviamente (pretend), pretendere qualcosa da qualcuno, è un falso amico.
E. No, lo conosco.
D. Qual è il participio passato di “esigere”?
E. Beh naturalmente mi viene da dire tipo “esito”, ma non penso.
D. Quasi, quasi.
E. Aspetta, cos’è? “Esigere”?
D. C’è una parola italiana che forse conosci che è uguale.
E. Esatto?
D. Esatto.
E. Sì!
E. Esatto?
D. Esatto! Infatti c’è una relazione etimologica tra “esatto” e “esigere”, non è casuale! In realtà non si usa mai, non si usa mai come parola, si usa solo nel linguaggio legale. Infatti noi italiani parliamo di “esattori delle tasse” (tax collector), cioè le persone che chiedono le tasse. Si dice “esigere le tasse” e si può dire che quindi del denaro è stato esatto. Comunque non è importante, non si usa mai, sono tutte parole abbastanza inutili, però per questo te lo sto chiedendo, perché sono divertenti. Ok finisci questa frase: “Oggi il sole splende come non ha mai…?”
E. “…fatto prima”.
D. Aaah! Quest’ora sapevi!
E. Qualcuno mi ha chiesto nella mia diretta…
D. Questa la sapevi?
E. …due volte perché… non lo so… no, mi sa che anche il mio ragazzo mi ha fatto la stessa domanda e sapevo che non è tipo “spleso” o qualcosa del genere, quindi… no, che non che non c’è insomma.
D. Io ho trovato che c’è una forma molto rara che è “splenduto” ma è molto antica è praticamente… invece “oggi mi prude il naso (my nose itches) come non mi aveva mai…”
E. “Fatto prima” [ride].
D. Eh però “non mi aveva mai fatto prima” non si può dire come…
E. Dimmelo ancora, qual è il verbo?
D. Prudere. Cioè, nel senso, non puoi usare questa struttura, quindi devi dire “come non mi aveva mai… come non era mai successo prima” o “come non aveva mai”. È un po’ strano “come non aveva mai fatto prima”. Conosci il verbo soddisfare, ovviamente.
E. Certo.
D. Com’è il presente di soddisfare?
E. Soddisfo? No. Si?
D. Ok ok, poi ti do la spiegazione. E qual è invece l’ imperfetto di soddisfare?
E. Soddisfaceva, soddisfacevo.
D. Giusto, giusto, giusto. E anche questa è una cosa difficile perché ci sono entrambe le forme.
E. Ho sbagliato?
D. No, no. È giusto, è giusto. Al presente io direi che quasi tutti, praticamente tutti diciamo “soddisfo, soddisfi”, anche se se cerchi su dizionari trovi anche “soddisfaccio, soddisfai”, perché viene ovviamente da “fare”, soddisfare è un composto, però secondo me non si usa più. Mentre invece all’imperfetto direi che è molto più comune “soddisfaceva”, invece “soddisfava” sa un po’ di (it looks a bit) sbagliato, è un po’ strano. Ok, il participio passato di “espellere”.
E. Espulso?
D. Giusto!
E. Siiiii!
D. Sei troppo brava, non posso fregarti (I can’t fool you) in alcun modo!
E. No, col passato remoto si!
D. Ok, allora, sai che c’è il verbo succedere? Qual è la differenza tra “successo” e “succeduto”?
E. “Succeduto non (l’) ho mai sentito.
D. Ok.
E. “Successo” è succedere, tipo il participio passato… Cos’è l’altro?
D.“Succeduto”. Secondo me con l’inglese puoi arrivarci, perché è molto simile.
E. Succeduto? Boh… Tipo la prima cosa che mi viene in mente è “seduce”… ma non sembra abbastanza simile…
D. No, quello è “sedurre”.
E. Eh, ok, ecco.
D. Prova a pensare a un verbo simile in inglese!
E. Succeduto…
D. Ti arrendi (do you give up)?
E. Qual è la parola inglese, prima?
D. La parola è “succeed”, però non nel significato principale, ma in un altro significato.
E. Oh!
D. Nel significato… per esempio: “un re è succeduto ad un altro”, ovvero è venuto dopo.
E. Aaaaaa! Sono scema, dovevo saperlo!
D. E il verbo è lo stesso, “succedere”. Infatti c’è sempre questa idea di una sequenza, sia in “successo” che in “succeduto”. Ok, ultima parola. E questa era capitato a me di non sapere come dire!
E. E naturalmente lo chiedi a me!? [ride]
D. Ti chiedo l’infinito del verbo e ti do una frase: “La terra è imbevuta d’acqua”. Sai cosa vuol dire “imbevuta (soaked) d’acqua”?
E. Tipo… circondata?
D. No, “impregnata (same as soak “imbevuta”) d’acqua”, cioè… l’acqua…. tipo il fango (mud), puoi dire terra imbevuta d’acqua, no? Qual è il l’infinito di “imbevuta”?
E. “Imbevuta”? Imbevutere?
D. [ridacchiando] Pensa alla radice di “imbevuta”, no? Da cosa viene?
E. Imbere?
D. Imbevere! Anch’io pensavo fosse “imbere”, però bere viene in realtà da “imbebere” o “imbibere” in latino. Comunque, [bere] ha perso una parte nella sua storia e quindi è diventato “bere”, però “imbevere” è rimasto, è rimasta quella parte. Ok, invece adesso ti chiederò il significato di alcune espressioni idiomatiche, però ti ho chiesto solo espressioni idiomatiche che io userei perché ce ne sono tantissime, tante non le ho mai sentite, mentre queste le uso tutte. Quindi, se dico che “non ci piove”, non so ti parlo di qualcosa e poi dico: “su questo non ci piove”, che cosa vuol dire?
E. Mmm, non proviamo neanche? …qualcosa?
D. No… se vuoi ti posso fare un esempio: “È da un sacco di tempo che che voglio andare in vacanza negli Stati Uniti, ma non ci sono mai riuscito. Però il prossimo anno ci vado e su questo non ci piove!”
E. Tipo “non c’è dubbio?”
D. Esatto, qualcosa di sicuro, che non può essere messo in dubbio. Non so dirti perché si dica “non ci piove”, però si dice.
E. [ride] Non l’ho mai sentito!
D. Ok, che cosa vuol dire l’espressione “da che pulpito!”? L’espressione lunga è “da che pulpito viene la predica”. In quali casi si usa?
E. Non l’ho mai sentito e non ho la minima idea. Dimmelo ancora.
D. Ok: “da che pulpito!” o “da che pulpito viene la predica!”. Sai cos’è un pulpito?
E. No!
D. Un pulpito è… nelle chiese, c’è questo balcone dal quale il prete anticamente faceva la predica. Il prete non faceva la predica dove sta il resto del tempo durante la messa ma si spostava, saliva su questo balcone, un piccolo balcone che vedi ancora adesso in tante chiese c’è il pulpito, e faceva la predica (sermon) alle persone lì. Cioè, fare la predica sai cosa vuol dire? È quella parte della messa dove il prete da giudizi morali e dice cosa fare e cosa non fare…
E. Si, si, si.
D. Questo è il pulpito. Che cosa vuol dire invece “da che pulpito!” o “da che pulpito viene la predica!”?
E. Forse ho capito al 40%, tipo cosa ti permette a [di] dire una cosa, o qualcosa del genere. Tipo cosa…
D. Credo che tu abbia più o meno ho capito, vuol dire praticamente… quando una persona…
E. …ti dice di fare una cosa…
D. …e ma poi lei per prima non la fa, dici “da che pulpito!”. Cioè nel senso, se una persona ti dice…
E. Si, si… chi sei tu? Tu sei la prima persona a fare…
D. Chi sei tu per dirmi una cosa del genere, no? Tu fai sempre… se una persona ti dice: “Non devi fumare, fumare fa male” e poi dopo avertelo detto va a fumarsi un pacchetto di sigarette dici “da che pulpito!”.
Ok, sai cosa vuol dire “avere un chiodo fisso”?
E. No…
D. Sai cos’è un chiodo?
E. No…
D. Allora un chiodo è un “nail”, qualcosa che usi per appendere qualcosa è un chiodo. Quando dici avere un “chiodo fisso” …? Prova a tirare a indovinare (take a guess), anche se non lo sai magari riesci a capire, o se vuoi ti do un esempio.
E. Dammi un esempio.
D. Prova a indovinare, perché se no è troppo chiaro cosa vuol dire dall’esempio.
E. Non lo so, è troppo difficile, non sono brava con queste espressioni! Mi ha fatto a pensare a stare in un posto per tanto tempo, tipo avere una casa ma non so se c’entra.
D. Ahah, no, è un buon tentativo però no, pensa all’aggettivo “fisso”.
E. Non lo so, tipo fissare su qualcosa, tipo essere ossessionato?
D.Esatto, esatto, avere un pensiero ricorrente, una fissazione… se una persona pensa sempre alla stessa cosa si dice che ha “un chiodo fisso” e quel chiodo fisso è quella cosa lì.
E. Aaaah, capito!
D. Terminiamo questa nostra…
E. Oddio, università finita, esame…
D. Allora, te la sei cavata molto bene nella prima parte, puoi migliorare nella seconda parte delle espressioni idiomatiche…
E. No, sai perché? Anche in inglese non uso le espressioni… Quindi per me è una cosa difficile, perché visto che mia madre non è… è tipo la sua quarta lingua l’inglese, quindi mio padre non le usa con lei… e per quello non (le) sento quasi mai, i miei amici non le usano… quindi non sono abituata a usare espressioni, anche perché in inglese non è una cosa così… usata così spesso quanto l’italiano o altre lingue.
D. Vabbé, volevo concludere chiedendoti: se hai qualche consiglio generale, magari qualche strategia, qualcosa o qualche risorsa anche specifica che consiglieresti a chi sta imparando l’italiano, qualcosa che a te ha davvero aiutato tanto.
E. Parlare con madrelingua sinceramente è la cosa che mi ha aiutato, perché già quando ho cominciato a parlare con italiani, insomma, avevo già una base una base, insomma, ero già brava con la grammatica… non quanto sono brava adesso, diciamo, ma conoscevo la grammatica, però parlare con loro mi ha aiutato a capire come si usa tutto. Ma comunque devi trovare… il mio consiglio è di trovare un madrelingua che conosce bene la sua lingua madre, perché ci sono tante persone che non sanno scrivere, che non sanno parlare la loro (meglio: propria) lingua, o almeno in modo corretto. Quindi, non lo so, trovare una persona che parla bene, che scrive bene e ti corregge, ti corregge ogni volta che fai un errore, è per questo che sono brava anche nella pronuncia, perché ho chiesto al mio ragazzo di correggermi ogni “e” e “o” chiusa e aperta. È per quello che è un accento, diciamo, abbastanza accurato, che non è un casino, insomma, perché gli ho chiesto di correggermi. Quindi secondo me devi trovare una persona che può aiutarti, ovviamente puoi anche aiutare [tu] quella persona ad imparare la tua lingua. È così che ho fatto, perché possiamo tutti andare all’università e fare corsi e sì, riesci a parlare un po’ ma non così tanto. Invece se parli con una persona vera ovviamente riesci ad imparare tantissime cose. E anche di non parlare solo con una persona, ma se riesci a trovare anche una seconda persona che è anche brava [questo] aiuta, perché usano parole diverse, espressioni diversi. No… espressioni… diverse.
D. Diverse.
E. Eh sì, questo è il mio consiglio, perché è la cosa che mi ha fatto migliorare un sacco.
D. E prima di avere un ragazzo italiano, ché ovviamente quello aiuta, come facevi questa fase? Cioè, diciamo, come utilizzavi la lingua, come la parlavi con i madrelingua? Insomma, quali siti o risorse usavi per trovare parlanti madrelingua italiani?
E. Io ho usato l’applicazione che si chiama “Hello Talk”. Così ho potuto parlare con madrelingua inglesi… scusa, madrelingua italiani. Eh sì, la cosa difficile, come ho detto, è che ci sono… tipo la maggior parte delle persone non parlano bene italiano, tipo sbagliano, scrivono male usano espressioni [sbagliate], non dicono “tutto bene”, non dicono (scrivono), dicono “tt bn”, e devi capire. O “niente”, ti fanno “nnt” o qualcosa del genere.
D. Sì, è il linguaggio da sms che mandavamo alle scuole medie. Quando avevo dodici anni.
E. Esatto. E riesco a capirlo perché ovviamente sono al livello in cui lo posso capire. Ma per una persona principiante non è facile. Quindi ho usato quell’applicazione.
D. Va bene, direi che possiamo concludere questa intervista.
E. Dopo un’ora e venti minuti.
D. Sì, dai. Complimenti per l’italiano, credo che tu abbia impressionato molte persone oggi, me per primo.
E. Grazie.
D. Davvero, ci sono poche persone con cui ho la sensazione di star parlando con un altro italiano, persone straniere [intendo]…
E. Perfetto.
D. …che generano questa sensazione, però tu sei una di queste. Quindi complimenti ancora. Iscrivetevi tutti al canale di Elissa.
E. Grazie!
D. Va bene, grazie ancora.
E. Grazie, grazie a te.
D. Buona giornata.
E. Anche a te, ciao.
D. Ciao.
Sono di nuovo Davide del presente, ovvero del febbraio 2019. Volevo ringraziarvi per aver ascoltato l’intervista, se siete arrivati fino qua e soprattutto se avete anche ascoltato la prima parte. Ringrazio Elissa a qualche mese di distanza (a few months later) di nuovo per aver partecipato a questa intervista. Se vi è piaciuta questa intervista vi chiederei gentilmente di andare su Apple Podcast se utilizzate dispositivi Apple e di lasciare una recensione (positiva spero ) al podcast perché questo mi aiuterebbe ad essere trovato da altre persone. Condividete anche il podcast se conoscete altre persone a cui interessa imparare l’italiano o che lo stanno già facendo. Grazie ancora e ci risentiamo nel prossimo episodio. A presto. Ciao!