Come il fascismo cambiò l'Italia: economia, politica estera, colonialismo
Note e risorse
In questo episodio, il terzo della nostra serie sul fascismo, esaminiamo come questo cambiò l'Italia, parlando nello specifico di scuola, diritto e censura.
Scopri Dentro l'Italia, in italiano, il mio corso di livello avanzato prodotto in collaborazione con Marco Cappelli.
Gli altri episodi della serie sul fascismo:
Trascrizione
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Ciao amici e bentornati su Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti. Questo è il terzo episodio della mia serie di episodi di livello avanzato sul fascismo italiano, scritta da Marco Cappelli del podcast Storia d’Italia, che come sempre vi consiglio di andare a scoprire. Una serie che vuole indagare la parte più oscura della storia italiana contemporanea, per scoprire com’è nato, come si è sviluppato e come è caduto il regime fascista. Nel primo episodio abbiamo visto come il fascismo arrivò al potere; nel secondo abbiamo iniziato a vedere come il regime cambiò l’Italia, in particolare la scuola, il codice penale e la libertà di espressione; l’episodio di oggi è una continuazione del precedente, perché analizzeremo l’economia, la politica estera e le mosse in ambito coloniale del regime fascista.
Se hai bisogno della trascrizione completa di questo episodio, la trovi sul mio sito web. Ti lascio il link nelle note dell’episodio.
Trascrizione interattiva dell'episodio, con glossario (consigliato)
Quanto abbiamo visto nello scorso episodio potrebbe essere sminuito, derubricato a quello che in fondo fanno tutte le dittature: scuola, ordine pubblico, censura. Qualcuno in passato ha ritenuto che valesse la pena perdere un po’ di libertà per avere almeno l’efficienza dello stato autoritario. Bene, iniziamo a valutare questa “efficienza” partendo dall’economia. Nella sfera economica, il Fascismo si vantava di avere dato una svolta all’economia italiana, di aver trovato un’”Italietta”, cioè un paese inutile, poco importante nello scacchiere internazionale, e di averla trasformata in una grande potenza industriale. C’era solo un piccolo particolare: non era vero, e le conseguenze della debolezza industriale italiana si sarebbero viste durante i duri anni di guerra. Il fatto è che per vent’anni il Fascismo – prigioniero della sua ideologia tutta rivolta al passato – perseguì in maniera ostinata delle politiche economiche che non aiutarono affatto l’economia italiana.
Prima di tutto i numeri, perché se no i discorsi rimangono un po’ in aria: come abbiamo brevemente accennato nel primo episodio, il fascismo trovò un paese povero e arretrato e lasciò, alla sua caduta, un paese povero e arretrato. Il prodotto interno lordo italiano (abbreviato in PIL) in venti anni passò da 4 mila a 4500 dollari per abitante, una misera crescita del dell’1% annuo medio. Per fare un confronto, l’Italia crebbe di più del 5% all’anno nei decenni del miracolo economico, tra gli anni ‘50 e ‘60. Se guardiamo all’intero periodo ventennale fascista, almeno in tempo di pace, ovvero dal ‘22 al ‘37, l’Italia crebbe alla stessa velocità dei paesi ricchi – Stati Uniti e Regno Unito – ma meno di Germania e Giappone. E coi direte: beh, non male, vero? No, perché l’Italia era il paese più povero tra le grandi potenze mondiali e quindi la sua economia sarebbe dovuta crescere con più facilità: crescere al ritmo dei paesi ricchi era di per sé una sconfitta, perché non si riusciva a recuperare l’enorme distacco che c’era con loro, cosa che l’Italia è riuscita a fare tra il 1945 e il 1970, crescendo molto più rapidamente di Stati Uniti, Regno Unit , Francia e gli altri paesi sviluppati.
Si potrebbe ribattere che in mezzo a questo periodo c’è la grave crisi economica del 1929, e questo è vero, come è vero anche per gli altri paesi del mondo. Il Fascismo inizialmente pensò che la crisi del ’29 fosse una faccenda solo americana, poi solo dei paesi anglosassoni, poi solo del resto del mondo: infine, la crisi arrivò anche in Italia e fu durissima. Il Fascismo reagì per una volta in modo piuttosto efficace, visto che non era ideologicamente attaccato al liberalismo in economia come, per esempio, gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. Il regime non si fece quindi problemi a nazionalizzare, cioè a comprare le aziende in difficoltà economica; per farlo costituì l’IRI, l’istituto di ricostruzione industriale, un ente pubblico (e “pubblico” in Italia significa dello Stato) che avrebbe dovuto acquistare le aziende in via di fallimento, sostenerle durante la crisi, ristrutturarle per poi in teoria rivenderle nel settore privato. Doveva insomma essere una soluzione temporanea.
Dovete sapere una cosa, cari amici: in Italia nulla è permanente come una decisione temporanea. In seguito alla crisi economica, il governo italiano divenne in sostanza il più grande imprenditore del paese, con in pancia aziende che producevano circa il 15% del PIL. Questo dava al governo una maggiore forza d’azione nell’economia, oltre che nuovi meccanismi di trasmissione del suo volere e nuovi posti dirigenziali da distribuire ai suoi fedeli. Va detto però che – grazie alla creazione dell’IRI – il Fascismo riuscì almeno ad evitare il peggio per l’economia italiana. L’IRI, manco a dirlo, sopravviverà al ventennio e diverrà nel dopoguerra uno dei motori principali del miracolo economico italiano: negli anni ’70 era di gran lunga il più grande gruppo industriale italiano. Nel 1980 aveva mezzo milione di dipendenti e arrivò a controllare l’Alitalia – la principale compagnia aerea italiane – le autostrade italiane, la RAI – il principale produttore televisivo – quasi l’intero settore siderurgico, quello energetico, la produzione navale, le telecomunicazioni e una lista infinita di altre aziende. Vedete, l’economia italiana del dopoguerra, fino agli anni ’90, è infatti considerata di tipo “misto”, a metà strada tra la libera impresa anglosassone e il capitalismo di stato sovietico. Le radici di questo pesante intervento dello stato nell’Economia sono da ritrovarsi proprio nel periodo Fascista. Ah, come tutte le cose temporanee in Italia, l’IRI è stata chiusa nel 2002… una soluzione temporanea durata più di 70 anni.
Se il governo Mussolini tutto sommato evitò il peggio durante la crisi del ‘29, negli anni seguenti sbagliò quasi tutto in ambito economico, concentrando la sua azione su iniziative marginali e molto meno sullo sviluppo industriale, economico e commerciale del paese. Il Fascismo – per la sua natura militaristica e la sua ideologia nazionalistica – credeva che prima o poi l’Italia sarebbe entrata in guerra, era inevitabile, e quindi pensava che l’autarchia fosse più importante del commercio estero. Ah, “autarchia” significa autosufficienza economica di un paese, come “monarchia” è il governo di uno e “oligarchia” il governo di pochi. Un paese autarchico è un paese che non ha bisogno del commercio internazionale, che produce quasi tutto sul territorio nazionale e che quindi può contare sulle risorse interne.
Gli economisti hanno dimostrato che un paese che si specializza lì dove ha dei vantaggi competitivi è più forte e flessibile di un paese che provi a fare un po’ di tutto. Non solo: l’autarchia è generalmente possibile anche se non auspicabile – non è comunque una grande idea – per i grandi paesi, con superficie continentale e l’accesso ad abbondanti risorse naturali: ad esempio gli Stati Uniti, o la Cina. Ora, l’Italia è un paese piccolo, già all’epoca era sovrappopolato e non aveva risorse naturali. Pensare di raggiungere l’autarchia, l’autosufficienza economica era un’idea folle… e quindi il Fascismo provò a farlo. Dopo l’aggressione all’Etiopia, di cui parleremo tra poco, l’Italia fu colpita da sanzioni economiche, che effettivamente la tagliarono fuori dal commercio mondiale, cosa che sembrò rendere valida la politica autarchica fascista. Come dire “Cedete? Abbiamo fatto bene a perseguire l’autarchia! Questi vogliono escluderci dal commercio!”. In generale, in conseguenza di queste decisioni il commercio internazionale dell’Italia andò piuttosto male durante tutto il ventennio.
Se per il commercio furono dolori, per i consumi interni le cose, ahinoi, non andarono meglio. Il Fascismo, amante dell’ordine e nemico del socialismo e del comunismo, proibì la libera associazione dei lavoratori in sindacati, andando incontro ai desideri dei capitalisti. Senza però le richieste dei sindacati, che proteggono i lavoratori, ovviamente gli stipendi non aumentarono come nel periodo prefascista; di conseguenza i consumi non crebbero durante tutto il fascismo, perché non aumentava il potere d’acquisto.
Poi c’è tutta la questione dei settori economici sui quali puntò il Fascismo. Per tutto il ventennio fascista, anche la politica economica fu dominata più dal passato che dal futuro: alcune industrie furono protette dallo stato, ma in generale il cuore del Fascismo era altrove, nell’agricoltura. E non l’agricoltura di alta qualità che caratterizza l’Italia di oggi, ma la produzione degli alimenti di base come il grano e i cereali in generale, nei quali l’Italia ha uno svantaggio competitivo perché in generale il suolo non è produttivo come in zone degli Stati Uniti, del Sudamerica o dell’ex Unione Sovietica. Come detto, il Fascismo credeva nell’autarchia nazionale e non negli scambi economici con gli altri paesi, e quindi spese enormi somme per bonificare acquitrini e paludi, zone che non sono coltivabili, con lo scopo di ampliare la produzione di cereali e rendere la nazione autosufficiente da un punto di vista alimentare, fondando anche nuove città: la più celebre è Latina. Tra l’altro, questa cosa delle bonifiche di paludi è un elemento ricorrente menzionato dalle persone, e non sono così poche, che sostengono che “Mussolini abbia fatto anche cose buone”. Il salto in avanti della produzione di cereali ebbe anche un nome militare, tipicamente fascista: “La battaglia del grano”. L’obiettivo dell’autarchia alimentare fu alla fine raggiunto, ma a caro prezzo: ci si dimenticò di rafforzare il fragile sistema industriale italiano, che rimase concentrato nel solito triangolo di Torino-Milano-Genova. L’Italia combatté la battaglia del grano mentre gli altri paesi combattevano la battaglia dell’acciaio. La campagna fu anche accompagnata da una certa propaganda: andate a cercare su Google “duce battaglia del grano” e troverete bellissime immagini o video del Duce che trebbia il grano a petto nudo. Poi mi ringrazierete.
Con un commercio in difficoltà, un’industria poco sviluppata e una domanda interna compressa dai bassi consumi, non c’è da stupirsi che l’Italia crescesse meno della maggior parte degli altri paesi sviluppati. Nonostante l’Italia partisse da una base molto più piccola, il tasso complessivo di crescita della produzione industriale tra il ‘22 e il ‘37 fu il 3,9% annuo, contro il 4,6% in Germania, il 5,3% nel Regno Unito, il 6,6% in Svezia. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la produzione italiana in ogni campo era una frazione di quella tedesca, sovietica o inglese, per non parlare di quella americana: una piccola frazione, in questo caso. Per fare solo un esempio, nel 1939, la Germania – un paese poco più grande dell’Italia per popolazione – aveva una produzione di acciaio più di dieci volte superiore a quella italiana e l’Unione Sovietica non era distante. Il Regno Unito produceva circa cinque volte più dell’Italia e la Francia circa tre volte di più. Considerando che la seconda guerra mondiale si combatté in larga parte utilizzando produzioni industriali di base come l’acciaio, si può dire che l’Italia partiva sconfitta, e lo faceva anche a causa delle politiche economiche fasciste.
Riassumendo, i venti anni di Fascismo non avevano permesso all’Italia di recuperare in alcun modo il distacco con i potenziali avversari, in alcuni settori perdendo perfino terreno. L’Italia si sentiva una grande potenza, ma la realtà la smentiva: la sua capacità industriale era più adeguata a un paese secondario sullo scenario internazionale. La differenza tra ambizioni e capacità sarà tragicamente messa a nudo durante il Secondo conflitto mondiale, di cui parleremo nel prossimo episodio. Il Fascismo, per l’economia italiana, fu un ventennio sprecato.
A questo punto i Fascisti moderni citano il positivo effetto sulla storia italiana della costruzione di opere pubbliche e infrastrutture: palazzi pubblici, strade, ferrovie. Nel periodo tra le due guerre ci fu un forte impulso alla costruzione di edifici pubblici e monumenti: chi conosce un po’ lo stile architettonico fascista può ritrovarli ovunque in Italia. Alcune delle creazioni architettoniche più riuscite del Fascismo si trovano ovviamente a Roma, la Capitale: per esempio nel quartiere dell’EUR – che avrebbe dovuto ospitare l’esposizione internazionale del 1940 (che non avvenne per causa della guerra) – o al Foro italico, principale area sportiva di Roma, dove ancora oggi si svolge il torneo di tennis della capitale. Minore fortuna ebbero invece le imponenti demolizioni della città antica di Roma, oggi viste con rimpianto e come una violenza alla storia della città.
Quanto alle infrastrutture, vennero completati alcuni progetti iniziati già in passato – come delle nuove ferrovie più moderne – e furono avviate le prime “autostrade” tra virgolette, dove però viaggiavano pochissime auto, visto che quasi nessuno nell’Italia fascista poteva permettersi un’automobile. Va detto che anche quanto di buono costruì il Fascismo fu però per lo più bombardato e distrutto durante la guerra voluta dal Fascismo stesso, la Seconda guerra mondiale. Fu poi compito della Repubblica democratica ricostruire le infrastrutture italiane, e fu la Repubblica a farle fare un enorme salto di qualità, costruendo la grande rete autostradale italiana, per esempio. In definitiva, non so perché tanti italiani pensino che il Fascismo abbia costruito grandi infrastrutture: in generale, la maggior parte della rete ferroviaria fu realizzata nell’Ottocento e nel primo Novecento, prima del Fascismo, mentre quasi tutta la rete autostradale è successiva al Fascismo. Anche in questo ambito, il Ventennio fu un po' come per tutto il resto della storia economica italiana: un periodo inutile, né di sviluppo, né di crisi.
Ci sarebbero tanti altri aspetti del Fascismo da esplorare in questo episodio, dalle politiche sociali e demografiche, fino al maltrattamento delle minoranze etniche, in particolare i germanofoni dell’Alto Adige e gli Sloveni della frontiera orientale. Dell’abietto antisemitismo del tardo Fascismo, parleremo nel prossimo episodio.
Quanto al ruolo del Fascismo nel chiudere la lunga disputa tra la Chiesa e lo Stato italiano, questo è un argomento che copriamo nel corso “Dentro l’Italia, in italiano”, il nuovo corso di italiano avanzato di Podcast Italiano scritto da me e Marco (che, come sai, ha scritto questa serie sul fascismo). Un corso che è una vera bomba, perché unisce cultura e lingua italiana: parliamo di storia, società, cultura appunto, problemi e punti di forza dell’Italia moderna, arte, cinema: insomma, cerchiamo di dare una visione d’insieme dell’Italiana moderna, andando al di là dell’immagine un po’ superficiale e da cartolina che spesso si ha dell’Italia all’estero. ll corso – in questo momento, febbraio 2024, è stato pubblicato per metà (8 episodi su 14) ed è stato acquistato da più di 200 persone durante la prevendita dello scorso ottobre 2023 – 200 persone che sono molto molto contente e hanno ricevuto molto positivamente il nostro lavoro: puoi trovare le loro testimonianze al link in descrizione). E quindi, appunto, abbiamo creato metà dei contenuti (che sono già qualcosa come 10 ore di video, un sacco di roba, quindi ne avrai per molto tempo) e da qui ad aprile 2024 creeremo la seconda metà del corso. I contenuti sono tantissimi: ogni capitolo contiene un video di circa venti minuti su argomenti come “Il ruolo della Chiesa in Italia”, “L’ascesa e caduta di Silvio Berlusconi”, “Perché l’Italia ha così tanta arte”, “L’Italia è un paese per vecchi?” e molti altri, noin li elenco tutti. Ma non è solo input: ovviamente l’input è al centro di tutto – questa è la mia filosofia, come sai – ma c’è un vero e proprio apparato didattico, linguistico, che ti permetterà di lavorare attivamente sulle tue conoscenze della lingua: ogni capitolo del corso contiene un approfondimento grammaticale di 15-20 minuti, dove copriamo i principali temi grammaticali che devi conoscere a un livello avanzato; un approfondimento lessicale anche di 30 minuti; molti esercizi; l’accesso a una comunità di studenti dove cimentarti in sfide di scritturas. E ora, la bella notizia: le iscrizioni al corso sono di nuovo aperte, ma solo fino al 19 di febbraio, quindi per qualche giorno, e poi chiuderanno per molti mesi. Acquistando ora avrai accesso a dei bonus speciali: le flashcards (per imparare il lessico del corso), delle dirette esclusive con Marco (che facciamo una volta al mese) e sconti del 50% sui miei altri prodotti. Dai un’occhiata al link che ti lascio nelle note di questo episodio nell’app di podcast dove lo stai ascoltando. Per scoprire tutti i dettagli sul corso. Se vuoi portare il tuo italiano a un livello avanzato in questo 2024 e al contempo conoscere meglio questo paese così bello e anche molto complicato hai una grande occasione per farlo, ma fino al 19 febbraio.
Non possiamo terminare questa puntata senza parlare della politica estera del Fascismo prima della Seconda guerra mondiale. Ah, che tema frizzante.
Dunque, quando il Fascismo arrivò al potere, lo fece ****sulle ali del mito della “vittoria mutilata”, ve la ricordate: la vittoria nella Prima guerra mondiale che gli alleati – Francia, Inghilterra e Stati Uniti – avrebbero volutamente castrato, questo secondo i sostenitori di questa tesi, per impedire al giovane stato italiano di conquistare il suo posto tra le grandi potenze. Durante la Grande Guerra, l’Italia avrebbe voluto espandere le sue colonie, avrebbe voluto conquistare la sponda orientale del mar Adriatico – in sostanza la costa della moderna Croazia – avrebbe voluto prendersi un pezzo dell’Asia minore, quella che oggi è la Turchia.
Dopo la vittoria, l’Italia aveva ottenuto un’espansione importante dei suoi confini settentrionali e orientali, andando a conquistare territori per lo più popolati da popolazioni di lingue germaniche o slave, ma questo non bastava per i pensatori del Fascismo, visto che volevano molto di più.
Mussolini, negli anni ’20, provò a perseguire una politica che disconoscesse, cioè che rinnegasse i trattati di pace che avevano messo fine alla Prima guerra mondiale. Non ottenne alcun risultato, anche perché furono proteste più che altro di facciata. In realtà, in quegli anni l’Italia rimase in sostanza in buoni rapporti con le principali potenze occidentali, in particolare la Francia e l’Inghilterra, perché tutte avevano una grande paura di una potenziale ripresa del militarismo tedesco. Grazie al ruolo italiano nel controbilanciare la Germania e l’Unione sovietica, in generale all’Italia fu accordato un ruolo più importante nella politica europea di quanto avesse avuto prima della prima guerra mondiale.
Negli anni ’20, l’Italia provò a ritagliarsi un ruolo di media potenza nel Mediterraneo – dove imperava però la flotta britannica – e nei Balcani, dove però il paese principale all’epoca era la Francia. In particolare, l’Italia andava molto d’accordo con Austria e Ungheria, paesi che riteneva quasi “satelliti”, e con i quali raggiunse anche degli importanti accordi commerciali.
Nel 1933, l’arrivo di Hitler al potere in Germania non cambiò la posizione antitedesca della politica italiana: certo, Italia e Germania avevano ora dei governi fascisti, ma Mussolini aveva interessi diversi da quelli di Hitler. Ad esempio, Mussolini si ergeva a protettore dell’indipendenza dell’Austria mentre Hitler voleva annetterla al suo terzo Reich. Mussolini voleva espandersi nel Mediterraneo, cosa che non interessava in alcun modo ad Hitler. Il primo incontro di Mussolini con il Fuhrer a Venezia, nel giugno 1934, fu piuttosto freddo. La prospettiva di una Germania bellicosa e nazionalista indusse Mussolini a stipulare un accordo di amicizia perfino con il suo nemico ideologico, l'Unione Sovietica. Fino al ‘35, le due potenze fasciste dell’Europa continuarono a guardarsi con sospetto. Ad avvicinare Italia e Germania fu la decisione di Mussolini di espandere le colonie italiane. L’Italia era arrivata tardi e male al momento della spartizione dell’Africa da parte delle potenze coloniali europee. Aveva faticosamente conquistato l’Eritrea e parte della Somalia nell’Ottocento, per poi prendere la Libia dalla Turchia nel 1912, inaugurando una brutale campagna coloniale.
Tra l’Eritrea e la Somalia, a dominare la zona conosciuta come “corno d’Africa”, c’era l’ultima potenza africana indipendente: l’Etiopia, anzi l’Impero etiope, un regno cristiano che non era stato mai spartito dai colonialisti europei e che era perfino entrato nella cosiddetta “Società delle Nazioni”, la versione 1.0 dell’ONU. La società delle Nazioni era stata costituita a fine Prima guerra mondiale con l’obiettivo di evitare future guerre mondiali, e non ci è molto riuscita, ed era stata un’idea del Presidente degli Stati Uniti Wilson. Purtroppo l’autorità della Società delle nazioni fu minata sin dalla nascita, perché gli Stati Uniti stessi non ratificarono la loro partecipazione alla Società.
L’Italia – anche qui fuori tempo massimo e guardando al passato – credeva che un grande impero coloniale fosse indispensabile per diventare una grande potenza, quando invece l’esempio di Germania e Stati Uniti dimostrava che questo non era necessario, che si poteva diventare grandi anche senza o con pochissime colonie estere. In generale, negli anni ’30 il Colonialismo andava ancora di moda a Parigi, Londra e a Tokyo, ma chi sapeva leggere il futuro aveva già compreso che i grandi imperi coloniali erano insostenibili nel lungo periodo. Ah, e tralascio ovviamente il giudizio morale sul colonialismo: d’altronde, le politiche razziste e nazionaliste dell’Italia Fascista ritenevano normale che la razza superiore bianca comandasse sui neri africani, anche se va detto che le potenze coloniali “democratiche” tra virgolette, come il Regno Unito e la Francia, in questo non erano molto migliori.
Nel 1935, il Fascismo decise di invadere l’Etiopia per annetterla all’Impero coloniale italiano. Fu una campagna militare rapidissima e decisiva, contro un nemico che era ben armato e che nel passato aveva inflitto un’umiliante sconfitta agli italiani: la società italiana la vide come una sorta di vendetta della sconfitta di Adua, inflitta dagli Etiopi agli italiani nel 1896. Non so se vi ricordate, ne abbiamo parlato nel primo episodio della serie. Servendosi di cose come campi di concentramento, bombardamenti aerei e armi chimiche – proibite dal protocollo di Ginevra del 1925 – l’Italia riuscì a conquistare Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Questa guerra diede a Mussolini un’enorme popolarità e prestigio in Italia: negli anni seguenti il Duce non avrebbe mai potuto condurre l’Italia in missioni militari sempre più audaci e spericolate se non avesse avuto alle spalle questo successo in Etiopia, se si può chiamare “successo” un’operazione di questo genere, ecco.
Ma le conseguenze di questa vittoria in politica estera saranno i semi per la sconfitta futura del Fascismo: perché durante la guerra, Francia e Regno Unito appoggiarono la decisione della Società delle nazioni che denunciò l’aggressione italiana e decise di imporre delle importanti sanzioni economiche contro l’Italia. Ne abbiamo parlato prima in relazione all’autarchia italiana. Le sanzioni rimasero in vigore per buona parte del ‘36 ma si rivelarono inefficaci, e furono utilizzate dalla propaganda fascista per chiamare a raccolta il popolo italiano contro l’aggressione delle potenze occidentali. Visto il ruolo di Francia e Gran Bretagna in questa storia, Mussolini si convinse che doveva allontanarsi dalle potenze occidentali per gettarsi invece nelle braccia del loro arcinemico: la Germania di Hitler, che nel frattempo si offrì all’Italia come alleato.
Regno Unito e Francia avevano tutto l’interesse a mantenere lo status quo uscito dalla conferenza di pace a Versailles, dopo la fine della Prima guerra mondiale, mentre Hitler, a Berlino, voleva sfasciare l’ordine mondiale. Il fuhrer diede quindi il suo pieno appoggio alla guerra coloniale italiana in Etiopia. Questo portò ad una fase nuova dei rapporti tra Italia e Germania, che conduce direttamente all’alleanza militare del patto di acciaio, nel 1939, e allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Ma di questa storia parleremo nella terza e ultima parte di questa serie.
Comunque sia, una volta vinta la sua guerra in Etiopia, il 9 maggio del ‘36 Mussolini si affacciò dal celebre balcone di Piazza Venezia, a Roma, dal quale faceva i suoi discorsi più importanti. Di fronte a una folla oceanica di popolo adorante, che pendeva dalle sue labbra, pronunciò delle parole terribili e cariche di conseguenze, che affermarono la nascita dell’Impero italiano. Il suo proclama è piuttosto lungo, ma vi faccio sentire alcuni passaggi.
[...] ASCOLTATE! (…) IL POPOLO ITALIANO HA CREATO COL SUO SANGUE L’IMPERO [...] E LO DIFENDERÀ CONTRO CHIUNQUE CON LE SUE ARMI.
[...] LEVATE IN ALTO O LEGIONARI, LE INSEGNE, IL FERRO E I CUORI A SALUTARE, DOPO QUINDICI SECOLI, LA RIAPPARIZIONE DELL’IMPERO SUI COLLI FATALI DI ROMA.
Le parole erano state scelte per esaltare gli italiani: ecco l’occasione di ricostruire un grande impero, come quello glorioso dell’antica Roma. Un’altra vittoria, e sicuramente l’Italia avrebbe avuto il dominio sul Mediterraneo e il Nordafrica.
Bene, a questo punto vorrei giudicare il Fascismo per quello che fece in tempo di pace, prima di portare l’Italia nel disastro totale che fu il secondo conflitto mondiale: in generale, come dicevo prima, chi cerca di giustificare Mussolini dice che “il Duce fece anche cose buone” o arriva a dire che “il suo unico errore fu allearsi con Hitler”.
Ecco, spero di aver dimostrato che di errori Mussolini ne fece molti, ben prima di condannare l’Italia all’umiliazione di un’alleanza con Hitler, alle schifose leggi razziali contro gli Ebrei e alla complicità con i peggiori crimini della storia dell’umanità. Mussolini uccise la libertà in Italia, e già questo basta a renderlo una macchia nera nella storia italiana. Eppure i moderni sostenitori del Fascismo giustificano tutto questo – e badate, per me è comunque ingiustificabile – con le superiori capacità organizzative del Fascismo. Al contrario, i venti anni fascisti furono di un governo inetto, passatista, incapace di interpretare i tempi moderni e capace solo di peggiorare la traiettoria di sviluppo dell’Italia, in ambito economico, dei diritti personali e civili e persino nell’istruzione.
Gli ultimi decenni dell’Italia liberale, quindi prima del regime fascista, erano stati improntati ad un caotico progresso: più democrazia, più libertà, più sviluppo economico, maggiore indipendenza delle donne, crescita culturale. Il ventennio in tutto questo corrisponde nella migliore delle ipotesi a due decenni sprecati, nella peggiore ad una regressione. L’Italia, affidandosi al Fascismo, aveva sognato di diventare una grande potenza, rispettata in Europa, con colonie dove espandersi, dominante sul Mediterraneo come l’Impero romano. La sera del 9 maggio del 1936, in quel discorso passato – purtroppo – alla storia, tutto questo sembrava raggiungibile. Il risveglio da questo delirio collettivo sarà molto brusco. Ma di questo parleremo nella quarta e ultima puntata.
Spero che ti sia piaciuto l’episodio e che ti stia piacendo la serie. Se è così, sono sicuro che ti piacerà tantissimo il nostro corso, Dentro l’Italia, in italiano, dove non parliamo di fascismo ma affrontiamo molti temi della storia italiana recente, soprattutto del secolo scorso, ma parliamo anche di molti altri temi culturali, con due scopi: aiutarti a fare un salto di qualità con l’italiano e aiutarti a capire più in profondità l’Italia. Io e Marco ti aspettiamo all’interno della bellissima comunità di Dentro l’Italia, in italiano, ma ricorda che hai tempo fino al 19 febbraio per acquistare il corso. Quindi scopri tutti i dettagli al link nelle note dell’episodio. Io ti saluto e a presto!