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Cinque situazioni oggettivamente imbarazzanti (con Erika)

Avanzato
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14

March 29, 2019

Note e risorse

Trascription

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D. Ciao a tutti e benvenuti su Podcast Italiano, in un nuovo episodio di livello avanzato. Sono in compagnia di Erika…

E. Ciao a tutti!

D:… che come forse sapete da qualche tempo si occupa di un progetto molto interessante, di cui ora ci parlerà.

E: Sì, è il mio blog, che si chiama “Di pare e altri disagi”, è un blog in cui tratto vari argomenti tra cui, diciamo, ansia sociale, timidezza, introversione, cose di cui io e Davide abbiamo parlato diverse volte anche qui nel podcast.

D: Sì, il blog di Erika è una pratica di livello molto molto avanzato, perché scrive molto molto bene e…

E: Grazie.

D: …in una maniera anche scorrevole, secondo me. E abbiamo deciso insieme quindi di portarvi… trasportare in versione audio, in versione Podcast Italiano uno dei suoi post, l’ultimo post. Di che cosa parla, Erika?

E: Parla di cinque situazioni imbarazzanti che succedono a tutti prima o poi nella vita, in cui tutti molto probabilmente ci siamo ritrovati.

D. Ok, allora sono curioso di sentirlo, Erika. Ti lascio il palco, i riflettori e ci sentiamo alla fine dell’episodio.


Salve amici! Se in passato avevo parlato di situazioni considerate normali e tranquille dai più, ma che a me generano ansia per motivi talvolta difficili da comprendere, oggi voglio prendere in considerazione situazioni sociali in cui, secondo me, tutti almeno una volta abbiamo provato imbarazzo. Facciamo un coming out di gruppo e ammettiamo candidamente (plainly, frankly, sincerely) che ci siamo passati tutti. Come sempre, si accettano consigli su come comportarsi per evitare di volersi scavare una fossa in cui sotterrarsi (digging a ditch in which to bury oneself) ogni volta che una di queste situazioni si verifica. Io provvederò ad elargirvi (hand out, bestow) i miei, ma siete avvisati: probabilmente non funzionano. Bando alle ciance, partiamo subito con questa impietosa (merciless, pitiless) hit parade!

  1.  Non sapere se dare del tu o del lei

In italiano, forse più che in altre lingue, questa questione è particolarmente spinosa (thorny, complicated / spina = thorn). Nella nostra lingua, infatti, è ancora viva la norma sociale di utilizzare le forme di rispetto, norma che però sembra non avere più regole sufficientemente rigide. Il tu sta allargando la propria sfera di utilizzo (expanding its sphere of use), creando talvolta incertezza su quale delle due forme usare e, nel mio caso, dando vita a situazioni imbarazzanti e scenette ridicole (ridiculous gags). Molto spesso, infatti, mi trovo nel bel mezzo dell’indecisione (lit. in the middle of indecision) tu o lei? lei o tu? quando non c’è affatto tempo per decidere. Come devo rivolgermi al segretario a cui tutti gli studenti danno del tu, ma con cui io non ho mai parlato in vita mia? Come saluto il commesso che avrà si e no (=circa, più o meno) 3 anni più di me, ma è vestito di tutto punto (dressed up, vestito elegante)? E i genitori dei miei amici? Sembrerò troppo fredda o gli starò mancando di rispetto? È una questione di ruoli, di età, di reciprocità? Le guide su internet non sembrano fugare i miei dubbi (dispel my doubts). Si sa, la necessità aguzza l’ingegno (necessity is the mother of invention/sharpen yout wits – lit.) e dunque, in caso di dubbio non mi resta che ingegnarmi (I just have to use my ingenuity) In questi casi infatti, ho sviluppato una non indifferente abilità nell’evitare con tutte le mie forze l’impiego di questi pronomi. Forzature (stretching the meaning) dell’italiano e frasi innaturali sono i miei più grandi alleati in questa tecnica a base di richieste indirette o impersonali “mi chiedevo se…”, “si potrebbe per caso…”, “sarebbe possibile…” e saluti anonimi “buon lavoro”, “buona giornata”, “a presto”. Una tecnica che rasenta il patetico (borders on thr pathetic), ma, amici ve lo confesso, alla fin fine tira fuori dai guai (it gets you out of trouble).

  1.  Lasciare il posto sui mezzi pubblici

Lasciare il posto sui mezzi è buona norma e segno di educazione e civiltà. O almeno così credevo, prima che nella mia vita si verificassero incidenti del tipo “Ma le sembro così vecchio?” seguiti da ostinati, irremovibili (firm) rifiuti. In pratica, alzarsi per offrire a qualcuno il proprio posto rischia di tradursi in un maleducatissimo “Lei è un vecchio, si sieda”. Così, ho imparato che un semplice atto di gentilezza può nascondere subdolamente (sneakily) in sé una lama molto affilata (a very sharp blade) Trovare un posto a sedere sull’autobus smette di essere un privilegio e diventa un compito: a ogni fermata grava sulle mie spalle (every stop is a burden on my shoulders) la responsabilità di monitorare attentamente le porte, fare una stima dell’età, delle condizioni di salute, dell’eventuale stato interessante (=incinta, pregnant) dei passeggeri in salita e valutare a quale sia il caso di rivolgersi per offrire il posto. Il rischio di chiedere a un uomo sovrappeso se vuole sedersi perché ci sembra gravido (=incinta as well) è sempre dietro l’angolo. Si può vivere così? Non si può. Ecco che allora le uniche brillanti soluzioni che, dopo anni di studi ed esperienza, ho trovato al problema, si rivelano insospettabilmente essere diametralmente opposte (=completamente diverse). La prima, e forse più saggia, consiste nell’alzarsi in silenzio. Fare un gesto caritatevole (=act of kindness), lasciare il proprio posto quando ci sembra opportuno, senza però rivolgersi direttamente a una persona specifica per offrirglielo, senza farle sapere che avete pensato direttamente a lei. Lasciare il posto, lì, vuoto, per il bene collettivo (for the common good), pensando che ci ha bisogno, vedendolo libero, ne approfitterà per sedersi. Fare del bene in silenzio, come le celebrities che donano milioni in beneficienza senza metterlo in pubblica piazza (make it public, lit. put it in the public square) tra le pagine di Chi. L’alternativa, un po’ più subdola ed egoistica, per quando non avete voglia di cedere il posto (=dare il posto) che vi siete conquistati con le unghie e con i denti, è quella di fingersi totalmente distratti e presi nei propri affari. Immergete la faccia in un libro (=iniziate a leggere in un libro) e isolatevi completamente dal mondo circostante. In questo modo, non dovrete preoccuparvi di nulla e, sebbene dentro di voi saprete la verità e dovrete conviverci, non verrete tacciati di insensibilità (=you won’t be accused of being indifferent), ma sembrerete semplicemente troppo distratti o troppo presi dalla cultura. Altrimenti, fate finta di dormire.

  1.  Non sapere come salutare

Che dire, penso tutti abbiate capito di che cosa sto parlando. Si, mi riferisco proprio a quegli imbarazzanti balletti che talvolta si innescano (=iniziano, lit. are triggered) quando non sappiamo bene in che modo salutare l’altra persona, perché comunque va detto che c’è un’ampia gamma di possibilità e gesti tra cui scegliere: stretta di mano formale, stretta di mano da macho (gli uomini sanno), stretta di mano con bacio, tre baci, due baci (in quale ordine? Quale guancia va baciata per prima?), un solo bacio, un abbraccio (quanto lungo?), saluto senza contatto fisico (il mio preferito, che ve lo dico a fare = I don’t even need to tell you). Anche in questo caso, il tipo di saluto dipende da numerose variabili quali l’occasione, il rapporto che intercorre tra i salutanti (the relationship that exists between the people who are greeting each other), il sesso (combinazioni uomo-uomo, uomo-donna, donna-donna), le abitudini legate al luogo di provenienza (gli stranieri hanno verosimilmente usanze diverse, ma anche da una regione italiana all’altra i costumi possono variare). E poi, i baci sulle guance sono dei baci veri? O sono un semplice contatto di guance seguito dalle labbra che schioccano a vuoto (lips smacking in the air)? Questi e molti altri interrogativi (=domande) rendono il saluto un gesto molto più complesso – e talvolta imbarazzante – di quanto si potrebbe sospettare. Evitare le incomprensioni, gli imbarazzi e i balletti non è semplice, ma il mio consiglio è quello di non tentennare (hesitate): decidete più o meno arbitrariamente il saluto che vi sembra opportuno e “imponetelo” all’altra persona, avvicinandovi con convinzione per i due baci o tendendo (reaching out) fermamente il braccio per una più sobria stretta di mano. E che Dio ve la mandi buona (may God be with you).

  1.  Tenere o non tenere la porta? Questo è il dilemma

Qualcuno, non so bene come né quando, a un certo punto della nostra vita ci ha insegnato che è buona educazione tenere aperta la porta a chi sta arrivando dietro di noi e, verosimilmente, intende uscire o entrare da quella stessa porta. Quello che non ci è stato precisato è oltre quale distanza dell’altra persona siamo legittimati a infischiarcene (we are entitled to not give a damn – infischiarsene = fregarsene = sbattersene = ecc.) e fare come se la suddetta persona non esistesse. Infatti, esiste un range di distanze intermedie tra lontano e vicino che causa inevitabile confusione. Non procedere nel nostro cammino e stare dieci secondi impalati a tenere la porta come il più servile degli uscieri (the most servile husher) può sembrare ridicolo, ma allo stesso tempo fare come nulla fosse quando evidentemente ci siamo accorti della persona che sta arrivando e abbiamo incrociato il suo sguardo, non è molto educato. Specialmente se si tratta di una persona che siamo destinati ad incontrare altre volte, come un collega, un vicino di casa, un insegnante. Quando poi il nostro stare impalati provoca senso di colpa nella persona che sta arrivando e la costringe a corricchiare (run slightly – the suffix “icchiare” makes an action less “strong” – canticchiare = sing softly) per non farci aspettare i suoi comodi troppo a lungo, ogni nostro tentativo di farle un favore fallisce miseramente. Insomma, sembra proprio il caso di dire che come fai sbagli (=qualunque cosa fai, sbagli), e così è.

  1.  Sbagliare strada

Ah, a proposito di sbagliare. Ammetto che questo è un problema che potrebbe riguardare la mia persona in maniera più particolare rispetto ad altri, essendo io un essere umano completamente deprivato del senso dell’orientamento (deprived of any sense of direction). Però, a tutti può capitare ogni tanto di accorgersi di stare camminando da dieci minuti nella direzione sbagliata, no? Ditemi di sì.

Quando capita a me, e si, purtroppo mi capita molto più spesso di quanto possiate immaginare, e si, anche quando sto seguendo – o credo di stare seguendo – il navigatore, non è facile decidere come comportarsi. Sento improvvisamente tutte le persone attorno a me puntarmi gli occhi addosso (fissarmi = staring at me), mi chiedo cosa pensino nel vedere una tizia fermarsi improvvisamente in mezzo alla via, senza che ci sia nulla di particolare, fare dietro front (turn around) e ripartire tutta convinta nella direzione opposta. Penseranno che ha sbagliato strada, direte voi, ed effettivamente è così, ma nella mia mente lo fanno con scherno e derisione (object of ridicule and derision), atteggiamenti dei quali non fa mai piacere essere oggetto. Per non parlare delle volte in cui sbaglio palesemente a scendere dall’autobus e mi ritrovo a camminare, parallelamente ad esso, nella direzione della fermata successiva, dove avrei dovuto scendere. Con i passeggeri che, sempre nella mia mente, mi guardano perplessi chiedendosi perché non sono rimasta sull’autobus invece di fare lo stesso tragitto (way) a piedi.

Solitamente in questi casi adotto strategie ridicole come quella di fermarmi, guardare accigliata il telefono (looking at the phone frowning) fingendo di aver ricevuto un messaggio che mi indica di andare da un’altra parte e voltarmi scuotendo la testa, quasi infastidita dal cambiamento di programma. O semplicemente, mi limito a portarmi la mano alla fronte con sorpresa, per fingere di essermi ricordata di qualcosa, per esempio di aver scordato un oggetto nella direzione da cui provenivo. Il ricorso a simili stratagemmi (tricks) è caldamente sconsigliato, dato che generalmente le persone pensano ai fatti propri, non notano neppure i vostri comportamenti e non hanno alcun interesse nei vostri movimenti. Però che dire, ognuno è libero di rendersi ridicolo come meglio crede (see fit).

Amici, spero che questo piccolo elenco di situazioni sociali imbarazzanti vi abbia strappato un sorriso (raised a smile) e che vi siate ritrovati in almeno uno dei punti elencati. Fatemi sapere quale di questi inconvenienti vi capita più spesso, o quali sono le situazioni sociali che più vi mettono in imbarazzo, siamo tutti molto curiosi!

Io per ora vi mando un saluto (con quanti baci? senza contatto? una stretta di mano?) e vi ringrazio per aver letto fino a qui!

Alla prossima!

D: Complimenti Erika! Secondo me è il tuo episodio più riuscito (=il migliore) finora.

E. Grazie, grazie mille.

D. Ed è anche molto molto difficile secondo, me ma proprio per questo noi veniamo in vostro aiuto e traduciamo in inglese tutte le parole ed espressioni più difficili, che potrete trovare nel post dell’episodio su podcastitaliano.com. Nella descrizione di questo episodio troverete anche il link al blog di Erika. Dunque Erika, l’unica cosa che devi fare è fare altri episodi, adesso!

E. Va bene, non mancherò!

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D. Facebook non lo diciamo di solito. Sì, perché no, anche su Facebook.  Grazie per l’ascolto e un saluto da Torino!

E. Ciao!

D. Ciao!

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