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Perché alcuni plurali finiscono in -A? UovA, ginocchiA, braccia...

April 26, 2022

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Questo è un uovo, queste sono due… uova. Questo è il mio braccio, queste sono le mie braccia. Questo è un dito, queste sono le mie dita.

Ma perché in italiano ci sono sostantivi che si comportano così?  Cioè, al singolare sono maschili e al plurale diventano femminili… ma con la -a, che tipicamente indica un femminile singolare…?

In realtà la -a in parole come uova e braccia non indica un femminile singolare, bensì un femminile plurale. Se aggiungiamo altre parole come articoli o aggettivi ce ne rendiamo conto: “tante uova buone”, “le mie braccia”, “le sue ginocchia”. Sono tutti dei plurali femminili. Ma qual è l’origine di questi strani plurali?

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Quindi, perché diciamo uovA, bracciA, ginocchiA? Beh, a causa del latino, ovviamente! Questi sono infatti degli antichi neutri plurali latini. Ma che cos’è il neutro?Il latino oltre al maschile e al femminile aveva il genere neutro, così come ce l’hanno tante lingue moderne (il greco, le lingue slave, il tedesco, per fare qualche esempio). Generalmente nel passaggio da latino a italiano il neutro si è fuso con il maschile. Un termine latino come ferru(m) era neutro, ma in italiano ferro è un normale maschile, che al plurale diventa ferri. Ma in queste parole dal plurale in -a, come uova si scorge una traccia dell’antico neutro plurale. Molto spesso infatti il neutro in latino usciva al singolare in -um e al plurale sempre in -a. Questo in latino era un ōvum, al plurale ōva. Questo era un brāchium, queste erano brāchia. Questo, aspettate, era un genūo con un nome più affettuoso geniculu(m), al plurale genicula, da cui ginocchio e ginocchia.  Ed è da questi plurali neutri che derivano i nostri strani plurali femminili con la -a.

In italiano ci sono parole che hanno solamente questo plurale in -a, come uova:

  • abbiamo un paio (di occhiali), al plurale due *paia (*dal latino pāria);
  • abbiamo un miglio e tante miglia. Amici americani, quando correte una maratona correte ventisei miglia. E sempre da mīlia deriva anche mila, cioè la seconda parte di numeri come duemila, tremila, centomila, e così via. Ah, vi ricordo, se imparate l’italiano, che il singolare è mille;
  • abbiamo anche centinaio e migliaio, ovvero “circa cento” e “circa mille”, che al plurale fanno centinaia e migliaia. “Al concerto c’erano centinaia, o migliaia di persone”, per esempio. Uno viene da centenārium, l’altro da miliāriu(m); al plurale centenāria e miliāria.

Tuttavia ci sono molti più sostantivi che non hanno uno, ma ben due plurali. Uno in -a, erede dell’antico neutro plurale latino, e uno più regolare in -i.

Abbiamo visto, per esempio, braccio, braccia; ma esiste in realtà il plurale bracci, che si adopera quando si parla di “bracci di una bilancia”, “bracci della croce”, “bracci di mare”, ecc., ovvero “bracci non umani”. Questo è un labbro, al plurale labbra, molto simile al latino labra. I labbri però esistono: sono quelli di una ferita o di un vaso.

Questo è un osso, ma gli esseri umani hanno le ossa. Le ossa sono l’insieme di ossa umane. Ai cani invece normalmente diamo da mangiare degli ossi (ma qualcuno dice anche ossa, in realtà); il femore è composto da tanti ossi.

Gli animali poi hanno le corna, dal latino cornua, ma parliamo di corni se ci riferiamo allo strumento musicale.

Questo è un dito, e queste, come abbiamo già visto, sono due dita. Ecco, in realtà in latino dito era digitus (da cui, per esempio, “le impronte digitali” o il verbo “digitare”) ed era maschile, al plurale faceva “digitī, con la ī; ma in alcuni casi il plurale neutro in -a  è stato esteso anche a parole che in origine non ce l’avevano, come, appunto, dito, che fa al plurale dita. Diti comunque esiste; si parla per esempio di “diti indici” o “diti medi”. Scusate.

Questo è un muro, al plurale abbiamo muri. Ma una città antica o una fortezza non ha dei muri, ha delle mura. Muro è come dito: in latino non era neutro, era maschile (murus, murī), ma anche lui ha acquisito questo nuovo plurale con valore collettivo. Quindi “Le mura della città”, considerate tutte insieme in senso collettivo.

In generale infatti i plurali in -a mantengono di solito un valore collettivo. Le ossa sono, appunto, le ossa umane nel complesso, le mura sono il complesso di opere murarie che proteggono una città.

In italiano antico questi plurali in -a erano molto più comuni di oggi.

C’erano quindi le castella, le anella, le vasa, le mela. Oggi diciamo i castelli, gli anelli, i vasi e le mele. E inoltre si potevano creare nuove parole secondo questo schema a partire da verbi: dal verbo gridare abbiamo il grido, le grida; da urlare, che è più o meno un sinonimo, otteniamo l’urlo, le urla. Questi due, a proposito, si usano ancora oggi, a fianco ai plurali gridi e urli che non sono molto comuni, ma di solito si usano per riferirsi a suoni prodotti da animali. I lupi emettono urli, gli esseri umani urla.

Ci sono poi altre parole che hanno un legame ancora più nascosto con il neutro plurale latino. Questa, in italiano è una… dillo tu, come si chiama questa? Questa è una foglia: ma in latino folia indicava il fogliame, cioè tante foglie: era un neutro plurale, che però assomigliava a un sostantivo femminile ed è quindi stato reinterpretato come femminile singolare. Una foglia, una sola foglia. Ma esiste anche foglio, che in italiano è un pezzo di carta e deriva dal singolare, foliu(m). Un foglio, una foglia.

O ancora: pecora in latino era un neutro plurale. Il singolare era pecus e significa “bestiame”, dunque al plurale voleva dire qualcosa come “greggi”, cioè tanti insiemi di animali. Ah, permettetemi una parentesi totalmente gratuita ma molto interessante: da pecus deriva l’aggettivo peculiare, cioè relativo al pecūlium. Che cos’era il pecūlium? Era la proprietà privata, e nello specifico la proprietà di bestiame, cioè gli animali che uno possedeva. Ciò che è “peculiare” è proprio, è privato, è qualcosa di nostro; da lì “peculiare” ha assunto poi il nuovo significato di “particolare”, “proprio”, “specifico” di qualcuno o di qualcosa. Perché è qualcosa che possediamo, come si può possedere, suppongo, il bestiame. Ma comunque in italiano una pecora è un singolo esemplare della famiglia degli ovini.

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