Il segreto dei PLURALI INVARIABILI
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Nelle grandi città, i fan ammirano le pubblicità dei film sui poster, e visitano gli zoo per vedere i gorilla, i cobra e i koala; suonano gli antifurto delle auto blu e le moto rosa, e gli chef dei bar preparano tè e caffè per i clienti.
Trascrizione con glossario sul Podcast Italiano Club
Ora, la frase non ha senso ma, se hai fatto attenzione, avrai notato che ho usato molti nomi o aggettivi plurali che, in realtà, al plurale sono invariabili: non hanno la tipica terminazione del plurale. Nell’italiano contemporaneo, le parole di questo tipo sono una minoranza, ma non sono poche, e c’è una tendenza in corso: stanno aumentando. Inoltre, questo tipo di parole confonde molto gli studenti in italiano, perché in altre lingue le cose spesso funzionano in maniera diversa. In questo video ti spiegherò tutti i segreti di nomi e aggettivi invariabili in italiano.
Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno, e ricorda che trovi la trascrizione del video sul mio sito. Inoltre, ho preparato un PDF che riassume ciò che ti sto per spiegare, con molti esempi. Link in descrizione, oppure puoi anche scansionare questo codice QR.
Partiamo da qui: in italiano ci sono parole che cambiano e parole che non cambiano, parole variabili e invariabili. Le principali parole variabili sono i nomi (anche chiamati “sostantivi”), gli aggettivi, i pronomi, e gli articoli. E quindi, per esempio, un sintagma (un gruppo di parole) come il “il gatto nero” al plurale diventa “i gatti neri”: l’articolo, il nome e l’aggettivo si flettono e prendono la -i del maschile plurale. Al femminile, “questa bella casa” diventerà “queste belle case”. Semplice, no?
Le principali parole invariabili, invece, sono preposizioni, congiunzioni, avverbi e le cosiddette interiezioni. Ora, preposizioni come “di”, “su”, “per”, congiunzioni come “sebbene”, “perciò” e “di conseguenza”, o avverbi come “velocemente” o “bene” siano parole che non cambiano è abbastanza banale e ovvia, non è vero? Queste parole non hanno né un genere, né un numero e, di conseguenza, non possono avere un plurale, no?
Quello di cui ti voglio parlare in questo video, sono, invece, nomi e aggettivi che normalmente cambiano, o, tecnicamente, “si flettono” (hanno una flessione), ma che in alcuni casi particolari non lo fanno. Vediamo in quali.
Ora, in questo video parleremo di parole invariabili. Ma sai cos'altro è invariabile, non cambia mai? Il titolo di "migliore piattaforma per fare lezioni di lingua online". E quel titolo spetta a... Italki!
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1) Abbiamo i nomi che terminano con vocale accentata.
Per esempio, tribù, città, caffè, tabù.
Tutte queste parole, e altre simili, sono uguali al singolare e al plurale. Una tribù, molte tribù; un caffè, due caffè; la città, le città; un tabù, dei tabù.
Parole come “tribù, caffè, tabù” hanno un’origine straniera, spesso francese: sono poche le parole di questo tipo in italiano. Parole, invece, come “città” sono molto numerose. Abbiamo per esempio “verità, quantità, civiltà, rarità” e infinite altre. Queste parole sono il frutto di un’apocope, di un troncamento: abbiamo tolto qualcosa. Prendiamo per esempio “città”, che viene dal latino cīvitāte(m). La versione antica della parola è “cittade”. Sì, la sillaba -vi- è caduta, ma il -te- finale latino rimane, diventando -de. Questa forma antica ci ricorda lo spagnolo ciudad o il portoghese cidade (o cidade, per gli amici brasiliani). Questa forma antica aveva un plurale regolare, “cittadi” (proprio come “la gente” diventa “le genti”). E lo stesso vale per altre parole simili, che un tempo avevano una forma senza questo troncamento: libertade, pietade, bontade, tutte con il proprio plurale anticamente, ma che oggi sono invariabili.
Con il tempo la sillaba finale è stata troncata, e ciò è avvenuto perché pare fosse scomoda da pronunciare quando era seguita dalla preposizione “di”. Per esempio, “cittade di Roma”. È scomodo, vero? E quindi, si tronca. “Città di Roma”. Più semplice.
In seguito, il fenomeno si è esteso a tutte le parole di questo tipo: città, libertà, pietà, verità, e così via. Piccola parentesi: in italiano standard, percepiamo ancora una traccia di quella sillaba caduta nel raddoppiamento della consonante che c’è dopo: città ddi Roma, libertà ttotale. È perché, un tempo, era “cittade di Roma”, “libertade totale”. Ne ho parlato in questo video. Ma sto divagando, torniamo a noi. Curiosamente vediamo una traccia di quella “d” di “cittade” anche nella parola “cittadino”. Ci avevi mai pensato?
Tornando ai nomi che terminano con vocale accentata, mi viene in mente un solo caso simile ma con la u accentata finale: virtù. La virtù, le virtù. E sì, un tempo si diceva anche “virtute”, “virtude” e forme simili. Ormai hai capito come funziona.
In questa categoria rientrano poi anche i nomi monosillabici, cioè che hanno una sola sillaba: re, tè, gnu (bellissimo animale), al plurale i re, i tè, gli gnu.
2) Parlando di animali esotici, ce ne sono molti che finiscono con la -a: spesso, tra l’altro, sono maschili. Il lama (da non confondere con “la lama, una lama”), il gorilla, il cobra, il boa, il puma, il cacatua. Al plurale i lama, i gorilla, i cobra, e così via. Anche queste sono parole di origine straniera: cobra dal portoghese, lama dallo spagnolo, puma dal quechua.
3) Abbiamo parlato di un accorciamento poco fa, vedendo il caso di parole come città, verità, virtù: un fenomeno molto antico, come dicevo. Ce n’è uno simile che però è avvenuto in tempi molto più recenti, ed è quello di parole come la radio, il cinema, la moto, la bici. Qui abbiamo a che fare con nomi che in origine erano più lunghi: per esempio, radio viene da radiotrasmissione o, al limite, radiofonia o radioricevitore. Parole con “radio”, però. Ebbene, la parola è stata accorciata (com’è successo in molte lingue, dopotutto), e oggi si usa sempre al femminile: la radio. Il plurale cambierebbe se la parola fosse intera, ad esempio “i radioricevitori”, “le radiotrasmissioni”, ma siccome è accorciata, rimane sempre uguale a se stessa: la radio, le radio. Analogamente, il cinematografo è diventato il cinema. La motocicletta e la bicicletta sono diventate la moto e la bici. La metropolitana diventa la metro (o per i francofili “il metrò”). E i plurali sono, rispettivamente, i cinema, le moto, le bici, le metro. Come vedi, la parola originale “spiega” anche il genere del nome. “La moto” all’apparenza sembra strana: una parola femminile che finisce con -o? Tuttavia, se pensiamo che viene da “la motocicletta**” è più chiaro, no?
4) Ci sono alcuni nomi femminili che finiscono in -ie. Alcune parole molto comuni sono la serie e la specie: al plurale le serie e le specie. Ah, in “specie” quella -i non si pronuncia, è praticamente assimilata alla -c, ok? Attenzione però a “la superficie”, che al plurale fa regolarmente “le superfici”. Altre parole meno comuni di questo tipo sono: la carie (quella cosa sgradevole che viene a un dente) e la barbarie (una condizione barbara o un atto barbaro, crudele). Mi ricordo che da piccolo dicevo “la caria”. No, non è corretto. “La carie”.
5) Abbiamo poi alcuni nomi femminili e aggettivi, che per loro natura possono essere maschili o femminili, che finiscono in -i. Tra gli aggettivi di questo tipo, abbiamo pari o dispari. Un numero pari, due numeri pari, o dispari. Tra i nomi abbiamo molti nomi femminili di origine greca: l’ipotesi, l’analisi, la nevrosi, l’oasi, che al plurale fanno le ipotesi, le analisi, le nevrosi, le oasi. Ma anche una parola comunissima come il brindisi (che però viene dal tedesco): i brindisi. E lo sci (parola di origine norvegese), che può indicare lo sport al singolare, ma anche il singolo sci, che al plurale è gli sci.
6) Il comportamento di nomi e aggettivi composti è un bel casino, in italiano. Vediamo solo i casi dei composti invariabili. Gli aggettivi composti da anti + nome sono invariabili, quindi “prodotti anticellulite” o “sostanze antigelo”. Con i nomi, non sono sicuro. Mi viene in mente “antifurto”, che mi sembra abbia due possibilità. Per esempio, “in questo quartiere suonano in continuazione gli antifurto”; ma forse anche “gli antifurti delle case”.
Abbiamo poi alcuni aggettivi che vengono in origine da locuzioni avverbiali, cioè avverbi composti da più parole. Un ragazzo perbene (cioè un ragazzo educato), dei ragazzi perbene. Non cambia. Per quanto riguarda i nomi composti, se sono composti da due verbi (come “un saliscendi”, una strada che sale e che scende) o un verbo e un nome femminile singolare (come “posacenere”, “scioglilingua”) sono invariabili: i saliscendi, i posacenere, gli scioglilingua. Tendono a essere invariabili anche casi come “pronto soccorso”, “agriturismo”, “senzatetto”. E quindi, una frase di esempio può essere “nella mia città ci sono molti pronto soccorso, ma anche molti agriturismo”, anche se forse “agriturismi” è possibile? Se siete italiani, fatemi sapere che ne pensate. Oppure, “nelle strade ci sono molti senzatetto”.
7) Alcuni aggettivi che indicano colori sono invariabili. Ora, gli aggettivi più comuni si flettono: quindi un muro giallo, dei muri gialli; la maglietta rossa, le magliette rosse; la matita verde, le matite verdi. Altri però no: “blu”, per esempio, non cambia: il cielo blu, i mari blu. “Blu”, tra l’altro, è di origine germanica: viene dal francese bleu, che l’ha preso da una parola francone, la lingua dei franchi. Ora, “blu” potrebbe rientrare nel caso di monosillabi come “re” o “tè”, ma ci sono anche altri aggettivi che indicano colori che hanno più di una sillaba e, al plurale, non cambiano: rosa, viola, indaco, lilla. E dunque, i fenicotteri rosa, i petali viola e così via.
8) Nell’italiano di oggi si usano sempre più parole straniere non adattate, le prendiamo da una lingua straniera così come sono, adattandole solo a livello di pronuncia. E, nella stragrande maggioranza dei casi, abbiamo a che fare con prestiti dall’inglese. In questi casi l’opzione più comune in italiano (nonché quella più consigliata) è di non usare la forma plurale della lingua originale, ma di rendere la parola invariabile. E dunque un fan, i fan; lo sport, gli sport; il tram, i tram; un würstel (o “wiürstel, come dice qualcuno), i würstel; questo chalet, quegli chalet. C’è, poi, chi fa sfoggio della propria conoscenza delle lingue straniere e dice dunque “i fans”, ma sarebbe meglio evitare. E poi c’è anche chi dice cose come “un fans”, usando il plurale dell’inglese come un singolare italiano. Ecco, personalmente, io lo interpreto come un anti-infiammatorio non steroideo: un fans.
Tra l’altro, questo fenomeno non riguarda solo le parole straniere che finiscono in consonante. Per esempio, abbiamo casi come “chimono” e “kamikaze”, parole di origine giapponese, che anche loro non cambiano al plurale: i chimono, i kamikaze. Finendo in -o e in -e potrebbero diventare benissimo “i chimoni” (come “il posto” diventa “i posti”) e “i kamikazi” (come “la gente” diventa “le genti”), ma per qualche motivo questo non si fa. C’è un esempio ancora più eclatante, però, che è il nome della moneta comune europea: l’euro. Al plurale infatti diciamo gli euro. Non “euri”. Per qualche motivo “gli euri”, che rispetterebbe benissimo le regole dell’italiano, è una variante considerata bassa e popolare e non ha avuto la meglio. Lo stesso succede con parole come “audio” e “video”, latinismi che si sono diffusi grazie all’inglese. Al plurale diciamo “gli audio” e “i video”: e, dunque, “i videi” è una variante considerata “incolta” e “rozza”, sebbene avrebbe, grammaticalmente, tutto il senso del mondo.
Questi sono tutti sintomi del fatto che l’invariabilità delle parole è una tendenza dell’italiano contemporaneo. Delle nuove parole che entrano nei dizionari, molte sono invariabili. Certo, sul totale di parole italiane in un dizionario, le parole invariabili sono comunque una minoranza, ma non così piccola. 9000 nomi su 57.000, se consideriamo lo Zingarelli 2020. E questo, ovviamente, è causato in buona parte dal fatto che molte delle nuove parole sono parole straniere non adattate, come vedevamo prima. Ma è anche dovuto a quei fenomeni di accorciamento di cui parlavamo prima (la radio, il cinema, la metro), che sono molto comuni nella lingua moderna.
Ora, se hai fatto attenzione, forse avrai notato un certo meccanismo, una certa regolarità. Molti plurali invariabili sono parole che presentano una sorta di contrasto, di incoerenza tra il genere e la terminazione della parola. Mi spiego meglio: prendiamo un caso come “il gorilla”. Questa è una parola maschile, infatti l’articolo è “il”. La terminazione però è -a, che sembra quella di un femminile. Questo “contrasto” fa sì che il plurale non cambi, e per questo diciamo “i gorilla”. Oppure “i boa” e “i lama”. E lo stesso succede al contrario, quando l’articolo è femminile ma il nome finisce in -o, come l’auto o la sdraio: le auto, le sdraio. È come se questa incoerenza ci mandasse in pappa il cervello, ci facesse andare nel panico e usare la stessa forma al plurale che si usa al singolare.
In italiano ci sono molti casi di maschili che finiscono con -a e che al plurale cambiano. Pensa a “il sistema”, “i sistemi”, oppure “il tema”, “i temi”. Sono molte le parole così. E c’è pure un femminile che termina in -o, “la mano”, che al plurale cambia, diventa “le mani”. Ma queste sono parole antiche. La tendenza delle nuove parole che entrano nella lingua è questa: se il genere della parola e la sua terminazione sembrano essere in contrasto, in attrito, il plurale è solitamente invariabile.
Questo però, a noi parlanti, non pone un reale problema, perché è molto raro che aggettivi e nomi compaiano da soli. Di solito compaiono insieme ad altre parole che, loro sì, hanno una forma singolare e plurale (per esempio un articolo, un altro aggettivo) quindi, di fatto, non si creano equivoci.
Siamo arrivati alla fine del video. Spero tu abbia imparato qualcosa. Ricorda che trovi un link (invariabile!) in descrizione per scaricare un PDF che riassume tutto quello che ho detto nel video. In alternativa, scansiona questo codice. Alla prossima!
In questo video ti spiego come funzionano i nomi e aggettivi invariabili in italiano.
Scarica il PDF gratuito con il riassunto della lezione: https://bit.ly/plurali-invariabili-PDF?r=qr
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