Le parole PROIBITE dell'italiano 🚫
Trascrizione
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C*zzo, m*rda, va**nlo. No, non sono impazzito e sì, oggi parliamo di parolacce in italiano. Vedremo come funziona quest’area del linguaggio affascinante ma molto pericolosa per chi impara una lingua, vedremo quali sono le parolacce più comuni in italiano (senza censura) e vedremo i rischi che si corrono a usarle (spoiler: anche legali). Quello di oggi è un tema molto delicato: so già che questo video non piacerà a tutti. Ma ho deciso di affrontarlo in maniera seria perché è, appunto, un argomento molto interessante e molto studiato.
Trascrizione con glossario sul Podcast Italiano Club
Episodio collegato a questo video di Tre Parole, il mio podcast di approfondimento (PI Club)
Prima però, metto subito le mani avanti come si suol dire: se impari l’italiano, per favore, non usare le parolacce che ti insegnerò a cuor leggero. Per carità, non c’è nulla di male a farlo nella situazione giusta: se sai che chi ti ascolta non si offenderà: anzi, può essere molto molto divertente. Tuttavia in una lingua straniera dobbiamo essere molto prudenti, perché non possediamo la sensibilità di un madrelingua e rischiamo di offendere o fare figuracce. Bisogna dunque conoscere gli interlocutori e capire la situazione comunicativa all’interno della quale ci troviamo.
Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Trovi la trascrizione di tutto quello che dico nel mio video sul mio sito. E ho anche preparato un PDF che riassume tutto quello che dico: puoi usare questo QR code per scaricarlo o andare al link in bio.
Partiamo prima da una parte più tecnica. Tranquilli, poi vedremo parolacce vere e proprie, come ho detto, ma la parte tecnica è altrettanto interessante. Lo giuro!
In italiano, parliamo tecnicamente di parole volgari o oscene, o di turpiloquio (dal latino “turpis” e “loquium”, ovvero “parlare osceno”), e più comunemente di parolacce. Quale che sia il termine usato, facciamo riferimento a una serie di parole che i parlanti ritengono sconvenienti o proibite, ma che in realtà sono usate comunemente, molto comunemente.
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Parliamo di imprecazioni quando usiamo i termini volgari per noi stessi, per esprimerci in modo particolare; e di insulti quando, invece, sono diretti a qualcun altro.
Normalmente, queste parole fanno parte dei registri bassi della lingua. Fanno parte di quel modo di parlare che si usa in situazioni familiari o di confidenza. Questa regola, però, è soltanto un’indicazione generale, che ha le proprie eccezioni. A volte, infatti, troviamo parolacce o espressioni volgari anche nelle opere letterarie più nobili o in contesti più formali: il turpiloquio infatti può essere usato per rendere una frase particolarmente incisiva, trasmettere rabbia e attirare l’attenzione o far ridere.
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Ambasciatore: Interessante, il turpiloquio inteso come intercalare, come fossero delle frasi idiomatiche.”
Nando: Ecco, qui ci sono un po' di queste parolacce idiomatiche, con quale cominciamo?Ambasciatore: Be' inizialmente opterei per un semplice “Ma vaffanculo'”Nando: Mm, questa sembra facile. In realtà è difficile. Prego.Ambasciatore: Ma vaffanculo.Nando: L’insulto va lanciato.Ambasciatore: Ma vaffanculo.Nando: Cosa fa?! La semina?
Dante stesso, com’è noto, ha fatto ampio uso di parole volgari: nell’Inferno compaiono sovente termini come – attenzione, qui iniziano le parolacce senza censura – puttana, merda, culo, tra le altre.
Una definizione particolare può essere data alla bestemmia, che possiamo considerare un’espressione offensiva scagliata contro Dio, contro i Santi o, in generale, contro le cose sacre. Possiamo dire che la bestemmia sta in una categoria a sé, perché sia dai parlanti, sia dalla legge italiana, come vedremo, è considerato il tipo più grave di parola oscena. Malgrado ciò, però, in italiano esiste una serie di bestemmie ben note a tutti i parlanti. Ma come ho detto, tempo al tempo. Calma.
Ma perché esistono parole e espressioni volgari e offensive se sono considerate dalla società e dai parlanti come negative?
Dobbiamo innanzitutto comprendere il concetto di tabù linguistico, che altro non è che una proibizione. Alcune parole di ogni lingua, infatti, sono sempre state percepite come particolarmente sgradevoli o persino pericolose, perché collegate a oggetti o concetti della realtà che, per primi, erano considerati sgradevoli o pericolosi. Queste caratteristiche vengono trasferite dal referente (cioè dall’oggetto o dal concetto indicato dalla parola: l’animale orso è il referente della parola “orso”), quindi dal referente alla parola che si usa per nominarlo. Si dà quindi un certo potere alle parole: se ho paura degli orsi, come spesso avveniva nelle società del passato, allora avrò anche paura della parola stessa “orso”, perché pronunciandola potrei richiamare l’animale e portare sventura. Ecco, allora, che la parola stessa viene colpita dal tabù linguistico, e non si può nemmeno nominare. Lo stesso avviene ancora oggi con parole che non sono tecnicamente parolacce ma alcune persone, soprattutto anziane, fanno fatica a pronunciare, perché rimandano a cose molto spiacevoli, come per esempio un tumore. Sono molti gli eufemismi per non pronunciare questa parola.
Quando pronunciamo una parola oscena, dunque, sfidiamo il tabù linguistico, in un certo senso. E allora possiamo tornare alla domanda originaria: cosa otteniamo, quando sfidiamo il tabù?
Possiamo parlare, più che altro, di un insieme di funzioni. Una di queste è dar voce a una nostra reazione emotiva, che nel tabù trova uno sfogo soddisfacente. Succede ogni volta che usiamo una parolaccia per veicolare la nostra sorpresa, la paura o il dolore. La parolaccia è uno sfogo, in questi casi.
Facciamo un esempio che riguardi la rabbia. In caso di rabbia estrema, potrei voler prendere a calci e pugni qualsiasi cosa, in modo da rendere chiaro il mio stato d’animo e sfogarmi. L’alternativa è usare il turpiloquio: a loro modo, anche insulti e imprecazioni riescono a dare una via di sfogo alla rabbia, perché sfidare il tabù significa sfidare le regole della società, proprio come quando si tira un pugno contro un cassonetto pubblico. Il turpiloquio sfida l’ordine sociale, ma ci permette di farlo, in genere, senza arrecare nessun danno. Un’eccezione è l’insulto, che invece, al contrario, ci permette sì di arrecare danno a una persona anche senza aggredirla fisicamente.
Arianna [dopo aver chiuso una telefonata]: Vabbè ma tu sei un rincoglionito!Alessandro: Perché che ho fatto?Arianna: Cioè noi ufficialmente stiamo cercando un attore per il ruolo "faccia demmerda", te pare?Alessandro: Ma c'era scritto sul copione.Arianna [imitando Alessandro]: "C'era scritto sul copione", sei un rincoglionito.
L’insulto è sempre, a suo modo, una forma di violenza (violenza verbale), che a sua volta può avere conseguenze molto gravi, soprattutto emotive e psicologiche.
Il turpiloquio poi ha anche un ruolo comico: rompere i tabù, in certi contesti, può provocare in noi una reazione di divertimento e di intrattenimento, come dicevo anche nell’introduzione.
La, l-la merda della maiala de degli stronzoli ne' culo de' le poppe pien di piscio con con gl con gli con gli stronzoli che escan dalle poppe
È chiaro, dunque, che il turpiloquio non serve semplicemente a essere volgari: c’è molto di più, al di sotto della superficie.
Abbiamo visto alcune parole da film e serie tv. E ne vedremo altre tra poco nella parte del video più pratica. Ma prima voglio dirti che se ti piace imparare l’italiano attraverso film e serie tv adorerai LingoPie. LingoPie è una piattaforma che ti permette di imparare una lingua con film, serie tv e video immergendoti completamente nella lingua. È un modo superefficace e divertente di migliorare le tue competenze passive e capire quali parole ed espressioni usano davvero gli italiani, incluse quelle più colorite.
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Cazzo.
Cazzo.
Inoltre, accanto al video hai una trascrizione completa che ti permette di andare direttamente ai punti che vuoi riascoltare.
Uè, senti qua, qui nessuno da' la caccia a lovine. É chiaro? E se scopro che vai in giro a dire questa stronzata…
Questa stronzata.
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Passiamo ora dalla teoria alla pratica: è questo il momento che aspettavate di più (forse). Ah, questa è l’ultima occasione per fermare il video se non volete sentire le parolacce. Ok?
Procederemo per campi semantici, per gruppi di parolacce e di insulti che hanno un significato simile e che si riferiscono alle stesse cose. Tenete a mente che, comunque, queste sfere semantiche sono sempre state soggette a un mutamento nel corso dei secoli: oggi il campo delle funzioni escretorie (che riguarda gli escrementi, le cose che facciamo quando andiamo in bagno 🙂) è meno impressionante rispetto a quanto non lo fosse in passato, mentre gli insulti legati all’etnia oggi sono considerati estremamente gravi – e per questo motivo non li menzionerò nemmeno.
Il primo campo semantico di cui non possiamo fare a meno di parlare è quello del sesso, degli orientamenti sessuali e degli organi riproduttivi. Non serve, credo, spiegare perché sia stato colpito dal tabù, perché tutt’oggi questi meccanismi sociali si verificano davanti ai nostri occhi, sebbene forse meno di un tempo.
Alcune delle parolacce che fanno parte di questo campo sono puramente insulti, come per esempio quelli misogini del tipo puttana o troia.
Puttana! Puttana!
Entrambi i termini indicano, in senso stretto, una donna molto attiva sessualmente o una prostituta, ma in realtà vengono usati, sempre rivolti a donne, come insulti generici, usati per denigrare una donna. Esistono però due imprecazioni molto comuni, porca troia e porca puttana, che invece vengono usate in genere per sfogare la propria rabbia o la propria frustrazione. Come non menzionare poi forse l’insulto più grave in italiano: figlio di puttana. Tra l’altro questo insulto – o una variazione sul tema – compare in uno dei più antichi reperti in lingua italiana, ovvero negli affreschi nella basilica di San Clemente in Laterano a Roma, che risalgono a più di 900 anni fa. La scena raffigurata è una sorta di fumetto ante litteram dove si può leggere una frase pronunciata da uno dei personaggi e rivolta ai suoi servi: “Fili dele pute traite”, ovvero “figli di puttana, tirate!”.
Sempre di questo primo campo semantico fa parte quella che, forse, potremmo definire la regina di tutte le parolacce italiane: cazzo. Questa parola dall'origine oscura indica, in senso stretto, l’organo riproduttivo maschile, ma è usata anche come imprecazione generica. Può indicare tantissimi stati d’animo, dalla rabbia, al dolore, allo stupore. In generale, però, serve a rafforzare ciò che vogliamo dire, a dare enfasi emotiva a una frase; e non solo in senso negativo! A un caro amico potrei dire cazzo, sei un genio! per complimentarmi per una sua idea o intuizione.
Dopotutto non dobbiamo dimenticare che le parole volgari, anche gli insulti, non sono sempre usate per ferire, mentre una parola o frase non volgare può essere invece molto offensiva. Se qualcuno mi dà dell’incapace o incompetente **non sta facendo uso di turpiloquio ma mi sta comunque offendendo e ferendo.
Le parole derivate da cazzo e le espressioni che lo contengono sono tantissime in italiano. Facciamo una rapida carrellata. Si usa come sostituto di cosa nel pronome interrogativo che cosa, quindi che cazzo fai? Inoltre, significa niente o nulla in costruzioni con una doppia negazione come non ho capito un cazzo, cioè non ho capito niente, o nulla.
Se aggiungiamo del cazzo indichiamo che qualcosa è di bassa qualità o non ci piace per niente, come in questo è un libro del cazzo. Invece anteporre cazzo di, come questo cazzo di libro, è un po’ come dire in inglese this fucking book.
Cazzata significa “qualcosa di molto semplice” (come in “l’esame era davvero una cazzata”) oppure “una falsità, una menzogna” (“non dire cazzate”). Incazzarsi è un sinonimo di arrabbiarsi, come in “Stamattina mi sono incazzato con la mia commercialista” (storia vera). Una persona che non mi sta simpatica mi può volgarmente stare sul cazzo, magari perché mi dà fastidio, mi irrita, ovvero mi rompe il cazzo. Potrei lamentarmi di lui con gli amici definendolo una testa di cazzo.
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Ma ce ne sarebbero moltissimi altri, così come tanti sono i sinonimi che indicano l’organo maschile. Il più famoso è forse minchia, di origine siciliana e molto diffuso in tutta Italia, ma ogni regione ha il suo sinonimo.
Tu sei una minchia.
È curioso il fatto che i derivati dell’organo maschile in italiano hanno generalmente significati negativi. Secondo il linguista Pietro Trifone ciò è dovuto alla “pressoché generale sfiducia nella razionalità dell’organo riproduttivo”: ovvero – e scusate il francese – il cazzo è stupido. Forse potrei dire “il cazzo è un organo del cazzo”. Al contrario il termine per l’organo femminile, fica al centro-sud, figa al nord (con sonorizzazione), porta connotazioni positive: una figata è qualcosa di figo, appunto, cioè di bello. A Milano e in Lombardia, però, figa è anche un’imprecazione usata come cazzo.
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Un altro termine fondamentale è coglione, ovvero “testicolo”, dal latino tardo coleonem, variazione del latino classico cōleu(m), cioè “scroto”. Il suo senso più comune è quello di idiota, persona stupida, come in “quel tizio è proprio un coglione”. **
Cioè mica sono un coglione, no? Sarete coglioni voi!
Abbiamo poi espressioni analoghe a quelle viste con cazzo, ovvero stare sui coglioni o rompere i coglioni.
Mi hai proprio rotto i coglioni!
Una persona rincoglionita poi è un imbecille, che ha problemi a comprendere o si comporta in maniera stupida. Ma è anche uno stato temporaneo: “Oggi ho dormito poco e sono un po’ rincoglionito”. E ce ne sarebbero molte molte altre.
Quanto all’atto sessuale in sé, la parola più antica che abbiamo è fottere, presente con variazioni sul tema in varie lingue romanze, e che risale addirittura al latino classico. Oggi si usa più in espressioni come sono fottuto (cioè “sono fregato”, “sono nei guai”) o non me ne fotte un cazzo (cioè non m’interessa proprio per niente). Questo video sarà stato già demonetizzato a questo punto? Hmm… Vabbè, grazie, Lingopie.
Il termine volgare però oggi più usato colloquialmente per riferirsi a un rapporto sessuale è scopare, cioè letteralmente passare la scopa o spazzare. Qui c’è a mio parere una chiara differenza generazionale: le persone sopra a una certa età talvolta lo usano, le persone più giovani non possono più sentirlo o usarlo nel suo senso tradizionale senza ridere o provocare risate.
Il secondo campo semantico fondamentale è quello che ha a che fare con gli escrementi. Anche in questo caso, non serve spiegare perché intorno a questi argomenti si sia creato un tabù, vero? Un insulto molto comune, per esempio, è stronzo, dal longobardo strunz, **che letteralmente indicherebbe le feci, ma che più tipicamente si usa, sia al maschile che al femminile (stronza), per riferirsi a una persona cattiva, sgradevole. Per esempio, potrei dire Ma perché mi tratti così? Sei proprio uno stronzo!
Analogamente a cazzata abbiamo stronzata (cosa falsa o stupida) e ora che ci penso, anche puttanata e minchiata, con il doppio significato di “cosa semplice, banale” da un lato e “falsità” dall’altro.
Un altro termine fondamentale che fa parte di questa sfera (ma, in effetti, anche della precedente) è culo, diffuso in tutta l’area romanza, anche perché viene direttamente dal latino cūlu(m), già volgare all’epoca. Una particolarità italiana di culo è l’espressione avere culo, cioè “avere fortuna”, come in “ho avuto un culo incredibile: ho vinto alla lotteria”: che io sappia in altre lingue romanze non si usa così, ma se mi sbaglio fatemi sapere nei commenti.
Si può poi prendere per il culo una persona*,* cioè *prendere in giro *****o deridere, mentre prenderlo in culo significa essere imbrogliato, fregato, in qualche modo danneggiato, oltre, ovviamente, all’atto indicato dal suo significato letterale.
L’allusione al sesso anale è presente anche in fanculo o vaffanculo, con qualche piccola variante quando è rivolta a qualcuno.
Vaffanculo! Vaffanculo!
Fanculo o vaffanculo per il singolare maschile e femminile, fanculo o andate a fanculo per il plurale maschile e femminile. Come vedete, neanche con gli insulti si smette di fare grammatica. Se è chiaro che questo invito sia normalmente interpretato come un insulto, questa, come tutte le altre parolacce, può anche essere usata in modo scherzoso, come spesso può accadere tra partner o tra amici.
Chiudiamo il capitolo degli esempi con un’altra parolaccia comunissima in italiano e nelle altre lingue romanze, cioè merda. In senso stretto, il termine indica le feci, ma in generale è usato come imprecazione molto generica per rafforzare alcune frasi, o anche in isolamento per indicare sorpresa o frustrazione, come anche tante altre reazioni interiori. Qui mi vengono in mente due derivati, ovvero pezzo di merda cioè persona cattiva (tipo stronzo) e figura di merda, ovvero brutta figura, figuraccia. E, rimanendo in tema, abbiamo cagare al nord o cacare al Centro-Sud. Sapete che vuol dire, no? Un’espressione molto comune è va’ a cagare che è un po’ come dire “vaffanculo”. Un’altra espressione curiosa è far cagare: quando qualcosa non ci piace, è di cattiva qualità, ha un sapore sgradevole o è brutto possiamo dire che ci fa cagare, mi fa davvero cagare questa pasta.
Quelle che abbiamo incontrato finora sono le imprecazioni più comuni, con l’aggiunta di qualche insulto. Dopodiché, ogni regione avrà i propri modi specifici di ricorrere al turpiloquio, e ogni persona avrà le proprie parolacce preferite.
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E la ricchezza non finisce qui: per ogni parolaccia comune, in genere, ci sono diverse parole corrispondenti considerate meno volgari, meno aggressive. Questi termini alternativi, in gergo tecnico eufemismi, ci dicono che chi li usa vuole comunque esprimere i propri sentimenti in modo marcato, o comunque colorire il proprio linguaggio con qualche parola più volgare, ma che al contempo non vuole essere troppo volgare, non vuole rischiare di offendere nessuno. Al posto di cazzo abbiamo a disposizione cacchio o cavolo (con tutti i derivati: incacchiarsi, incavolarsi; cacchiata, cavolata). Al posto di vaffanculo abbiamo vaffambagno, al posto di porca troia abbiamo porca trota.
La questione si amplierebbe ulteriormente se considerassimo anche gli altri campi semantici legati al turpiloquio. Abbiamo, per menzionarne alcuni, l’età, le caratteristiche fisiche e mentali, gli handicap, i gruppi etnici e le nazionalità, la classe sociale, i rapporti coniugali e familiari, gli animali, e diversi altri gruppi ancora.
Non c’è tempo di analizzare tutti questi campi e con alcuni di questi non mi sentirei neanche a mio agio trattandoli, nemmeno in una maniera analitica e scientifica, per così dire, ma dobbiamo soffermarci almeno su un ultimo tra questi, ovverosia il campo religioso. Come ho anticipato poco fa, si tratta di un campo a sé, percepito chiaramente dai parlanti. Quando qualcuno sente la parola cazzo, non percepisce nulla di diverso, se non il fatto che si tratti di turpiloquio; non pensa al fatto che siamo nel campo degli organi riproduttivi, ok? Invece, quando si tratta di bestemmie, i parlanti sentono chiaramente la presenza del campo religioso, e reagiscono in modo diverso: alcuni percepiranno semplicemente un livello di turpiloquio più alto ed estremo; altri invece rimarranno proprio offesi.
Benché in tutte le lingue esista un modo per bestemmiare, ammesso che esista una divinità e un tabù legato a questa, in italiano la bestemmia è così diffusa, così tabuizzata e così conosciuta dai parlanti da aver creato una vera e propria leggenda: secondo alcuni, infatti, solo in italiano è possibile bestemmiare. Sappiamo che le cose non stanno così: in diversi paesi del mondo esistono leggi specifiche che puniscono la bestemmia. Ma questa credenza ci permette di osservare quanto la bestemmia, nel mondo italofono, abbia uno statuto speciale, quanto sia diffusa e quanto le sue formule fisse siano ben chiare alla mente dei parlanti.
Pensate che, ancora oggi, la bestemmia in pubblico potrebbe tecnicamente essere punita con una multa da 51 a 309 euro mentre in passato era un vero e proprio reato. Resta da vedere, però, quanto spesso questa multa venga effettivamente applicata: io non so di nessuna persona che sia stata punita, ma non volendo essere tra i primi eviterò di menzionarle in questo video.
Al di là di ciò, il tabù legato alla bestemmia è più che comprensibile: in passato, si credeva che anche solo nominare Dio, senza insulti di alcuna sorta, potesse portare punizioni e sciagure. **Imprecare insultando addirittura la divinità, allora, doveva essere – ed è tuttora, per alcuni – una delle azioni più gravi e ripugnanti che esistano, nonché un peccato per la religione cristiana.
Questo breve (o lungo) viaggio assolutamente non esaustivo di un tema che è vastissimo e molto interessante ci ha permesso di comprendere come il turpiloquio, proprio come gli altri campi della lingua, possa essere ampio e vario, e come possa essere studiato in modo approfondito.
Abbiamo anche compreso che il turpiloquio ha il suo ruolo, una funzione ben precisa: non si tratta semplicemente di essere volgari per il gusto di esserlo. Le parole non servono soltanto a indicare oggetti e concetti, ma anche a svolgere funzioni che vanno al di là del mondo linguistico: con le parole, e in particolare con le parolacce, possiamo ferire le persone, possiamo sfogare o esprimere le nostre emozioni e, di conseguenza, sentirci meglio. Le parolacce hanno una potenza espressiva enorme, e per questo – lo ripeto – vanno usate con estrema cautela, soprattutto, come dicevo, quando impariamo una lingua straniera.
Volevo aggiungere poi che, se è vero che alcune parolacce sono molto antiche, la maggior parte di quelle registrate dai dizionari risalgono al Novecento. Secondo il linguista Pietro Trifone questo ha a che vedere “con l’affermazione di più liberi modelli di comportamento e di nuove forme di comunicazione”: insomma, cambia il costume e si indeboliscono i tabù. Per questo l’uso del turpiloquio non è più un affare solo privato, ma sempre più spesso anche pubblico: dai giornali, alla televisione, alla radio, ai social. Non sta a me giudicare se questo è un fatto positivo o negativo, ma dal mio punto di vista – unito al fatto che il turpiloquio è ed è sempre stato comunissimo nella lingua quotidiana – è uno dei motivi per cui vale la pena di conoscere e saper riconoscere le parolacce.
Fatemi sapere nei commenti quali sono le vostre parolacce preferite in italiano e raccontatemi, se ne avete, aneddoti curiosi. Vi ricordo di provare LingoPie e vi ricordo di scaricare il PDF gratuito che si trova in descrizione. Un saluto e alla prossima!
Oggi parliamo di parole volgari in italiano: vedremo da dove vengono, a cosa servono e come si usano nell’italiano contemporaneo.
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Scarica il PDF gratuito con il riassunto della lezione: https://bit.ly/4gwTQTx
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Episodio collegato a questo video di Tre Parole, il mio podcast di approfondimento (PI Club, livello d'argento)