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L'italiano è una lingua BARBARA? ⚒️ I germanismi

June 9, 2024

Trascrizione

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Se ti piace l’italiano, saprai sicuramente che questa lingua e la maggior parte delle sue parole viene dal latino.

Prendiamo però questa frase (naturalissima, e che diciamo tutti i giorni): per scherzo, ho rubato una panca dall’albergo, ma la guardia mi ha visto e mi ha spaccato uno stinco. Nessun termine in questa bellissima frase, al di là di quelli grammaticali e del verbo vedere, è di origine latina. Questo perché l’italiano ha preso tantissime parole, anche piuttosto comuni, da lingue germaniche. Parole come guardare, guidare, smarrire, scherzare, guadagnare e molte altre **sono germanismi molto antichi: questo è l’argomento del video di oggi.

Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club

Ah, e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama la lingua italiana. Se ne hai bisogno, puoi attivare i sottotitoli. Se impari l’italiano sul mio sito trovi la trascrizione di tutto ciò che dirò nel video: il link è nella descrizione.

Le parole che ho elencato poco fa, come guerra, albergo e molte altre, ci sono state date in prestito, per così dire, da lingue della famiglia germanica. Di questa famiglia fanno parte tutte le lingue barb… discendenti da un comune antenato chiamato proto-germanico.

I germanismi possono essere di ogni epoca, antica e moderna, ma in questo video ci concentreremo particolarmente su quelli antichi, che risalgono per lo più all’Alto Medioevo, perché ci dicono qualcosa di interessante sulla storia del nostro paese.

Ma partiamo da quelli più antichi di tutti, che risalgono al prima di Medioevo: sono i paleogermanismi. Niente a che fare con i dinosauri e Jurassic Park (mi spiace, Elena): si tratta di un termine usato da alcuni studiosi per indicare le parole germaniche prestate non all’italiano, bensì già al latino, da cui sono arrivate poi all’italiano. Questi germanismi ancestrali, per così dire, non sono moltissimi: abbiamo per esempio parole come sapone, tasso e vanga.

Ogni tanto, le parole germaniche venivano adottate per esprimere un concetto nuovo, per il quale ancora non c’era una parola. È l’esempio di alce, prestato al latino da una cultura germanica che, evidentemente, di alci si occupava più spesso dei romani. Questi sono detti prestiti di necessità, proprio perché in un certo senso sono necessari (o quantomeno utili) alla lingua d’arrivo, che non ha una parola per designare quel concetto.

La parola vanga, invece, ci permette di osservare il fenomeno opposto, cioè il prestito di lusso: come già spiega il nome, questo tipo di prestito non è strettamente necessario, perché nella lingua d’arrivo esisterebbe già una parola per il concetto in questione; tuttavia, per una serie di motivi, si decide di adottare una parola straniera e di sostituirla a quella autoctona. Per esempio, la parola germanica guerra sostituisce la parola latina bellum.

Tra questi germanismi antichissimi abbiamo anche blu, bruno, brace, stalla e soprattutto, l’adorabile martora. Ma guardatela, non è adorabile?

Bene, ma perché tutte queste parole germaniche sono state adottate in latino prima, e in italiano o, insomma, proto-italiano, varietà proto-romanze poi?

Qui dobbiamo parlare un po’ di storia del nostro paese. Già durante l’Impero romano, ci furono numerose invasioni da parte di popoli barb… ahem, germanici, che generarono un contatto tra il popolo romano e quello degli invasori; e contatto tra popoli significa anche contatto tra lingue, e quindi interferenza linguistica, e quindi prestito. È come quando un italiano va in Inghilterra per tre mesi e torna che infila anglicismi in ogni frase che dice. E poi non c’erano solo invasioni, ma anche scambi commerciali e altri tipi di interazioni. Infine, via via, nell’esercito romano furono sempre più consistenti i reparti composti da soldati germanici.

E dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente i popoli germanici si stanziarono stabilmente nell’Europa centro-meridionale; e, in particolare, in Italia ci furono secoli di invasioni e addirittura regni germanici. In particolare, parliamo di Ostrogoti, Longobardi e Franchi. Questo spiega la nostra grande interferenza linguistica. Considerate che gli Ostrogoti (ovvero i Goti orientali; perché i Visigoti erano i Goti occidentali) iniziano a regnare in Italia alla fine del V secolo d.C., e perdono il potere verso la metà del VI, fondendosi poi, nel corso del tempo, con la popolazione locale. A questo punto, tutto il territorio italiano è sotto il dominio dei popoli germanici. I Longobardi, intanto, proprio verso la metà del VI secolo entrano in Italia e iniziano a conquistarla, sebbene non riusciranno mai a ottenere l’intero territorio. Quando i re Longobardi, sempre più potenti, nell’VIII secolo arrivano a Roma, i papi si rivolgono ai Franchi, altro popolo germanico, che stavano diventando la grande potenza europea del tempo. Così, dal 774 d.C., i Franchi assumono il controllo dell’ex Regno longobardo, guidati da un tale Carlo Magno (forse lo conoscete); ma, a differenza dei due casi precedenti, non c’è una migrazione di massa verso lo stivale.

Anche se abbiamo tantissime informazioni su questo periodo storico, non è sempre facile capire se una certa parola germanica ci sia giunta dagli Ostrogoti, dai Longobardi o dai Franchi, visto che comunque erano tutte lingue germaniche imparentate tra loro. Per esempio tregua potrebbe venire dal gotico triggwa, dal francone triuwa o dal longoboardo trewwa: e più darsi anche che sia stato un misto tra parole germaniche diverse. Spesso gli studiosi non sono sicuri. Ciò che invece possiamo dire con certezza è che da questi popoli abbiamo ricevuto un bel po’ di parole: solo dai Longobardi, quasi trecento, secondo alcune stime. Tra queste, per esempio, quelle che ci ricorda Barbero.

Son parole longobarde guerra, zuffa, tregua, faida, spranga, trappola, insomma era gente piuttosto violenta.

Nel corso dei secoli l’italiano prende anche altri prestiti da quello che si può già chiamare tedesco (anche se non il tedesco moderno, ovviamente). Infatti i contatti con la “Germania” (che non esisteva ancora) continuarono intensi per secoli: per esempio, il Centro-Nord Italia fece a lungo parte del Sacro Romano Impero e i mercenari tedeschi spesso combattevano nelle guerre italiane. Oggi, comunque, voglio concentrarmi in particolare sui germanismi più antichi, quelli dell’Alto Medioevo, lasciando magari a un futuro video i cosiddetti tedeschismi, cioè parole che derivano dal tedesco in epoche diverse. Però voglio dire una cosa a  proposito proprio della parola “tedesco”: perché in italiano abbiamo questo aggettivo strano quando in altre lingue si dice German, Allemand, Aleman? L’aggettivo tedesco viene in ultima istanza da una parola gotica, thiuda, che significava “popolo” ed è imparentata con quel Deutsch di Deutschland. Quindi, amici, non è poi così strano.

Bene, ma all’atto pratico come sono passati all’italiano questi germanismi antichi?

A parte il fatto che, come sempre, tutto dipende molto dal momento storico, perché c’è stata una lunga interazione tra Italia e popoli germanici, possiamo dire che i prestiti giunti dal fràncone antico (la lingua dei Franchi) entrarono spesso nel latino tardo (o, se vogliamo, in uno stato protoromanzo, quando latino stava diventando lingue romanze) spesso per via scritta, tramite la lingua delle cancellerie (cioè uffici pubblici che si occupavano di redigere documenti; di fatto quindi la lingua della burocrazia) perché i Franchi occuparono proprio gli ambienti altolocati, e si occuparono piuttosto di governare, anziché popolare l’Italia in massa.

Più spesso, invece, i prestiti sono giunti per via orale dalla lingua longobarda; ma è pur vero che anche i Longobardi, che vennero prima dei Franchi, regnarono in Italia, e infatti alcune parole che ci sono giunte dal longobardo vengono dall’àmbito cancelleresco giuridico: abbiamo, per esempio, tregua e faida.

Non dobbiamo poi dimenticare i prestiti indiretti. Abbiamo visto, parlando dei paleogermanismi, che il latino ci ha lasciato dei termini germanici, presi ancor prima che le lingue neo-latine come l’italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese o il rumeno si formassero. Abbiamo anche visto che il latino tardo e medievale, per via scritta, ci lasciò per via indiretta molti termini dal francone. Ma ci sono altri casi: il francese antico ci lasciò per esempio molte parole che aveva preso a sua volta dal francone. Come abbiamo visto anche nel video sugli italianismi, spesso le parole fanno il giro, passando da una lingua all’altra: per esempio, se ricordate, “baguette” è un francesismo comune in molte lingue, ma che il francese ha preso a sua volta dall’italiano “bacchetta”.

Ok, ma che tipo di parole entravano in italiano?

Ancora una volta, dipende tutto dal contesto storico e dal momento in cui il termine è stato preso in prestito. Possiamo, ad ogni modo, isolare alcuni àmbiti specifici. Per esempio, come ormai avrete immaginato, abbiamo ricevuto diversi termini legati al mondo militare, come guerra, guardia e zuffa.

Tanti – questo forse vi stupirà – sono i termini per indicare le parti del corpo, di umani e animali: abbiamo guancia, milza, nocca, stinco, spanna e zanna. Mi piace molto zanna perché in tedesco moderno è uguale alla parola longobarda da cui deriva quella italiana: zahn. In italiano zanna però si usa solo per i denti particolarmente robusti di alcuni animali, come gli elefanti. E anche milza in tedesco è molto simile: milz. Non però perché l’italiano l’ha preso dal tedesco, ma perché l’italiano l’ha preso dal longobardo, che era una lingua germanica imparentata con la lingua antica da cui discende il tedesco moderno. C’è anche strozza con il significato di gola, termine oggi non più usato, ma rimasto nel comunissimo verbo strozzare o strozzarsi.

Io trovo sempre un buon motivo per strangolarti! Ti strozzo e ti ristrozzo!

Sono tanti anche i termini legati alla casa e alla vita domestica: balcone, soppalco, panca, scaffale, federa e gruccia tra gli altri.

Meno comuni sono le parole giuridiche e amministrative. Qualcuna però è abbastanza nota: per esempio le già menzionate tregua e faida.

Infine, abbiamo tanti termini concreti ed espressivi: arraffare, russare, scherzare, tanfo (cioè cattivo odore) **e tonfo.

Come potete vedere, il tipo di parole che giungono da un certo popolo dipende dalla sua cultura. Come dice Barbero parlando nello specifico dei Longobardi, “non erano una società di filosofi”.

Sappiamo che ogni lingua ha il proprio insieme di suoni e il proprio modo di metterli insieme; così, il giapponese non suona come l’arabo, che non suona come l’italiano, che a sua volta non suona come l’inglese. Vee imajeenahte se parlasi cosee? 🙂 È chiaro, dunque, che le parole, passando da una lingua all’altra, dovranno essere un po’ adattate alle strutture della lingua di arrivo.

Come anticipato in precedenza, poi, ci stiamo occupando in particolare di germanismi molto antichi; e il fatto è interessante, perché i prestiti antichi sono stati adattati in modo più pesante rispetto ai prestiti moderni. Se oggi siamo abituati alle lingue straniere e non ci sembrano troppo strane parole evidentemente non italiane (come blitz o panzer), le cose un tempo stavano in modo diverso. Vediamo dunque come venivano adattate e italianizzate queste parole.

Innanzitutto, in presenza di un dittongo, questo veniva spesso ridotto a una sola vocale. Quindi il francone rauba è diventato roba, e raubon è invece diventato rubare. Più tardi, il medio-alto tedesco stainbock è diventato stambecco.

Un altro fenomeno comune è l’epitesi, ovvero nel linguaggio medico la correzione di un arto difettoso… no, ho sbagliato definizione, intendevo “fenomeno per cui si aggiunge un suono, e in particolare, in questo caso, una vocale, alla fine di una parola. Così, il francone bank (che indicava un sedile lungo le pareti di una casa) ha dato banco e banca (o panca), con l’aggiunta di o e a finali; da *bosk (cespuglio; e sì, è imparentato con i l’inglese e il tedesco bush/Busch) abbiamo ottenuto bosco; e da *want abbiamo ottenuto guanto. Come dicevo poco fa, la conoscenza delle lingue straniere non era diffusa, secoli fa. Qualcuno direbbe che non lo è nemmeno oggi in Italia, ma non io. Visto che tutte le parole dell’italiano fatte salve alcune (poche) eccezioni, finiscono con una vocale, il parlante medio non si sentiva a proprio agio di fronte a una parola che finisse con una consonante: semplicemente, non veniva naturale (in un certo senso, non viene così naturale nemmeno oggi: motivo per cui pronunciamo fan o gol aggiungendo una piccola vocale finale di appoggio: fannə).

Inoltre, come possiamo osservare dall’esempio di Stainbock/stambecco, a volte l’ultima consonante veniva raddoppiata, e lo stesso facciamo anche oggi: se sentite quando dico fannə raddoppio quella n.

Poi c’è l’anaptissi – di nuovo, niente patologie strane – per cui in una serie di consonanti si aggiungeva una vocale, perché a noi italiani troppe consonanti di fila non ci piacciono. Pensiamo ai lanzichenecchi, i soldati mercenari tedeschi che scendevano talvolta in Italia e che tutti i lettori italiani conoscono grazie ai Promessi sposi. La parola originale in tedesco è Landsknecht, decisamente impronunciabile per un italiano: e quindi lanzichenecchi. Bello, vero?

Dal Settecento, invece, la conoscenza delle lingue straniere inizia a essere più diffusa, e così l’adattamento dei prestiti diventa meno pesante e la loro provenienza straniera via via più evidente, come in nickel, fuhrer o panzer. È per questo che a me interessano soprattutto i germanismi antichi o medievali, perché sono del tutto mimetizzati nel mucchio delle parole latine.

Visto che i germanismi sono arrivati nell’italiano in tempi diversi, e non sono stati parte dell’italiano (e del latino) per tutta la storia di queste lingue, non si è verificato il normale processo di evoluzione delle parole, in particolare per quanto riguarda i suoni. Inoltre, i germanismi hanno portato sequenze di suoni in posizioni sconosciute e a volte anche scomode da pronunciare al latino e all’italiano.

Innanzitutto, la b intervocalica del latino, cioè posta tra vocali, è diventata v, quindi il latino fabulam ci ha dato favola, e il verbo habere è diventato avere (qui mi riferisco alle parole che sono state tramandate oralmente per secoli; i latinismi colti, “recuperati dai libri” sono molto più simili alla forma latina originale, come ho spiegato in questo video). I germanismi, invece, non hanno conosciuto questo cambiamento, quindi il francone rauba è rimasto roba, anziché diventare rova, e il gotico raubon è rimasto rubare.

Vediamo ora uno degli indizi più forti di provenienza germanica di una parola. Attenzione che questo è interessante. Il suono /gw/ iniziale di parola non esisteva in latino: proviene invece dal suono /w/ iniziale di parole dei prestiti germanici. Così wardon è diventato guardare, con l’aggiunta della terminazione verbale -are. E quindi da warjan abbiamo ottenuto guarire, di nuovo con /gw/ iniziale, questa volta con -ire.

E ancora, abbiamo warnjan, che significava avvertire (Vi ricorda l’inglese to warn? Bella intuizione, totalmente non pilotata da me: le due parole infatti sono imparentate.) e che a noi ha dato guarnire (un tempo usato in senso soprattutto militare, come “guarnire una città di armi e munizioni”, da cui anche la guarnigione, ma che oggi si usa sopratutto in cucina: “guarnire un piatto con un contorno di patate”), e poi ovviamente *werra, che ci ha dato guerra,  *wida, che ci ha dato guida, il francone waidhanjan che ci ha dato guadagnare o wai da cui deriva guai. Come “guai a te se non metti mi piace a questo video”.

Insomma, quasi tutte le parole che iniziano con /gw/ in italiano sono germaniche. Quasi, non tutte. Questo meccanismo era così diffuso e comune che trasformava /w/ in /gw/ anche in parole latine. Da vadum per esempio proprio per questo meccanismo, ci è giunta la forma guado. Oppure dal latino… vāgīna (che in latino era il fodero di una spada o in generale un involucro), è derivato guaìna (che oggi però si pronuncia guàina, con l’accento sulla a) e significa sempre fodero, involucro o membrana dove… metti qualcosa. Ehm, ve lo starete chiedendo… sì, vagina viene ovviamente dalla stessa parola latina, ma è una parola colta, recuperata dai libri.

Con ciò, possiamo concludere questo viaggio. Abbiamo scoperto che c’è veramente un mondo di parole germaniche antichissime giunte in italiano sin dai tempi del latino e poi in tutti i secoli successivi; solo che non ce ne accorgiamo, perché sono così mimetizzate che oggi solo gli esperti (o voi, dopo questo video) possono riconoscere la loro origine non latina. Detto ciò, il lessico dell’italiano rimane comunque prevalentemente latino. Ma che cosa significa questo? Ti può interessare questo video in proposito.

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