L'italiano al NORD, CENTRO, SUD non è lo stesso
Trascrizione
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Oggi parliamo di differenze tra varietà regionali di italiano. Ho già parlato in questo video di differenze fonetiche tra Nord, Centro e Sud e oggi facciamo lo stesso ma per la grammatica.
Benvenuti su Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama a lingua italiana. Io mi chiamo Davide e ti ricordo che se impari l’italiano con i miei video puoi attivare i sottotitoli.
Partiamo dal concetto di italiano regionale. Come sapete in Italia esistono i “dialetti”, che io preferisco chiamare lingue regionali, perché alla fine sono quello, lingue romanze come italiano, spagnolo, portoghese, rumeno, che però hanno una diffusione geografica più limitata dell’italiano e anche un uso limitato a certi contesti sociali. Poi c’è l’italiano, che si è diffuso in tutto il paese solo nello scorso secolo. L’italiano oggi è conosciuto ovunque più o meno bene, ma non è parlato allo stesso modo in tutta la penisola, perché le lingue locali, cioè i dialetti, influenzano l’italiano locale: abbiamo dunque varietà regionali di italiano, “italiani regionali”, che sono a metà tra lingua locale e lingua nazionale. È quindi un italiano con una certa influenza dialettale, un italiano “dialettizzato”. Questo è un concetto importante perché molti italiani usano un po’ a sproposito, cioè male, il termine “dialetto”, quando in realtà magari stanno descrivendo semplicemente un italiano regionale con un forte accento regionale. Parlare un italiano regionale di Napoli per dire non è parlare il napoletano; anche se bisogna dire che spesso l’italiano e il dialetto vengono mischiati anche nella stessa frase, in una sorta di “code switching” che porta a sfumare i confini tra dialetto e italiano regionale.
Ma prima… sapete qual è un modo di abituarsi alle diverse varietà di italiano? Fare lezione di italiano su Italki. Italki è una piattaforma dove potrete trovare tantissimi insegnanti nativi non solo di italiano, ma di qualsiasi lingua. E intendo qualsiasi lingua… pure il Dothraki e il Klingon. Prenotare una lezione è super semplice: basta scegliere la lingua che si sta imparando e, nel nostro caso, “Italia” come provenienza. A questo punto potremo dare un’occhiata ai profili degli insegnanti, leggere la descrizione, vedere che lingue parlano, da dove vengono, dove vivono. Poi scegliamo il tipo di lezione, l’orario e il gioco è fatto. Super semplice. Io stesso ho insegnato su Italki in passato e uso Italki quando voglio prendere lezioni di una lingua. Qui mi vedete alle prese con una lezione di portoghese, lingua che dico che sto imparando… mentendo, perché in realtà non avevo mai fatto una lezione vera e propria, prima di questa, che tra l’altro è andata benissimo. Su Italki si possono fare lezioni di un minimo di 30 minuti ma ovviamente anche di più e troviamo insegnanti a davvero qualsiasi prezzo, sia professionisti che tutor. Iscriviti ad Italki e trova il tuo insegnante usando il link che ti lascio qui sotto.
Partiamo dal Nord e dal passato remoto, o meglio la sua assenza. Ogni studente di italiano a un certo punto del suo apprendimento si chiede “ma il passato remoto serve a qualcosa”? Beh, la risposta è sì, il passato remoto è comunque il tempo principe della narrazione per esempio, basta leggere un romanzo per accorgersene, o della narrazione di fatti storici; ma nella lingua orale qui al Nord è molto poco usato (magari farò un video prima o poi sul passato remoto), perché qui predomina il passato prossimo, che si può usare anche per avvenimenti lontani nel tempo (Per esempio, “sono nato nel 1995”, al posto di “nacqui”).
Al Nord sono comuni i verbi sintagmatici. Che cosa sono? Beh, se avete studiato l’inglese forse conoscete i phrasal verbs, quei verbi composti da più di una parola come “keep up”, “reach out”, “look down”, tutte quelle robe lì. Beh, nell’Italia settentrionale facciamo una cosa meno estrema ma in un certo senso simile, con verbi come “andare su”, “scendere giù”, “uscire fuori”, “tirare dentro”, “portare giù”, “mettere su” (“metti su la Pasta”, per esempio) che, a quanto pare (io nemmeno lo sapevo onestamente), sono più comuni al Nord di quanto non lo siano da altre parti.
Al Nord (almeno in alcune regioni) è diffuso l’articolo di fronte ai nomi propri, soprattutto femminili. “La Francesca”, “la Michela”, “la Veronica”; e questo articolo indica che c’è un legame affettivo con la persona di cui sto parlando. Ma se sei del Nord scrivimi: da te si fa? Qui a Torino, per esempio, non si fa.
Inoltre molto spesso al Nord e al Centro (almeno fino a Roma) si può usare ****“te” al posto di “tu” come pronome soggetto. Tipo “Te che fai?” “Te che ne pensi?” “Te vieni al mare?”. Al Sud questo uso è sconosciuto, a quanto pare. Te l’hai mai sentito?
Passiamo ora al Centro, soffermandoci nello specifico sulla Toscana perché sebbene la Toscana sia la culla dell’italiano, ci sono dei tratti toscani che altrove non sono comuni.
Per esempio, il pronome dimostrativo “codesto”. Se impari l’italiano probabilmente non l’hai neanche mai sentito.
Che cosa significa quindi? Se “questo” si riferisce a qualcosa che è vicino a me e a chi mi ascolta e “quello” a qualcosa che è lontano da me e da chi mi ascolta, “codesto” tecnicamente indica qualcosa che è lontano da me, ma vicino a chi mi ascolta. “Codesto libro, quello lì, vicino a te”. Ma “codesto”, fuori dalla Toscana, è percepito come letterario e burocratico e io direi anche un pochino ironico, quindi non si usa più.
In Toscana, poi, è molto usato il “si” impersonale” (“si va”, “si pensa”, “si dice”) al posto di “noi” (“noi andiamo, “noi pensiamo”, “noi diciamo”) o anche insieme a “noi” (“noi si va”, “noi si è deciso”). È un uso del “si impersonale” chiamato “inclusivo”, nel senso che quel “si” include anche chi parla. “Ieri si è lavorato tanto”, cioè noi (io incluso) abbiamo lavorato tanto. Mentre se dico “in Spagna si parla spagnolo”, beh, chiaramente non sono incluso.
Consideriamo il resto del Centro, Toscana esclusa.
Un tratto comune dell’area mediana (diffuso anche al Sud però) è l’uso del verbo “stare” al posto di “essere” con il significato di “trovarsi in un luogo”. Se in Italiano standard “sto a casa” significa “resto, rimango a casa”, al Centro-Sud può essere usato con il significato di “trovarsi in un posto”. “Dove stai?” “Sto a casa”, nel senso di “sono, mi trovo a casa”. Ma non ovunque, non in tutto il Centro-Sud, dunque se vieni dal Centro o dal Sud… scrivimi.
Un tratto comune nel romano ma anche al sud è l’uso esortativo del congiuntivo imperfetto. In italiano standard si usa il congiuntivo presente. Per esempio, “se tuo fratello ha qualche problema me lo dica”, “se vogliono venire che vengano pure”. A Roma e al sud è diffuso l'imperfetto, dunque “se tuo fratello ha qualche problema me lo dicesse” o “se vogliono venire che venissero”. Mai sentito?
C’è una costruzione che mi piace molto che è molto comune al Centro-Sud ma che credo sia diffusa un po’ ovunque (almeno qui a Torino lo è), ovvero che + verbo + “a fare” usato per fare una domanda. “Perché sei andato?” diventa quindi “che sei andato a fare?”, “Perché me lo dici?” “Che me lo dici a fare?”. L’hai mai sentito?
Secondo me la differenza è che rispetto a “perché” è un modo di formulare la domanda un po’ più diretto e leggermente più aggressivo. “Ma che me lo dici a fare?”
Se poi invece di “a fare” diciamo a ffà, “che me lo dici a ffà”, beh, stiamo usando un altro tratto del Centro-Sud, ovvero il troncamento degli infiniti. Voglio andà, voglio dì, voglio fà, voglio pensà, comune anche con i nomi: “Michele” diventa “Michè”, “Francesco” “Francè”, eccetera.
Passando ai tratti meridionali più comuni parliamo di nuovo del passato remoto. Se al Nord praticamente non si usa nella lingua orale, al Sud, ma non ovunque (devo per forza generalizzare), si usa più che in italiano standard, anche per avvenimenti temporalmente vicini al presente. “Dove andasti ieri?”, “che dicesti a tuo cugino?” Ora, non ho fatto ricerche particolari sul passato remoto e, ripeto, dipende dalla zona, ma sicuramente si usa molto di più al Sud che al Nord e anche più che al Centro. Se sei del Sud scrivimi se da te si usa molto.
In italiano standard “tenere” vuol dire “mantenere qualcosa fermo”. Tengo in mano una penna”. Al Sud “tenere” può essere usato come sinonimo di “avere”: “tengo due figli” al posto di “ho due figli”. Anche questo tratto, tra l’altro, ricorda lo spagnolo. Anche qui se sei italiano e sei del Sud, scrivimi nei commenti quanto è comune questo uso dalle tue parti.
Il terzo uso è controverso: l’uso transitivo di verbi intransitivi. Che cos’è un verbo intransitivo, innanzitutto? Un verbo intransitivo è un verbo che non può avere un oggetto diretto. “Uscire”, per esempio, non può, nella lingua standard, avere un oggetto diretto, non posso “uscire qualcuno”, semmai posso “far uscire qualcuno” o posso uscire io stesso. Ecco, al Sud invece si può sentire “uscire il cane”, “esci il cane” o “siedi il bambino”.
Rosa! Scendi il cane che lo piscio!
Quindi, usi transitivi di verbi tradizionalmente intransitivi. Credo che comunque siano usi un po’ stigmatizzati anche al Sud. Qualche tempo fa c’è stata una polemica (abbastanza ridicola, a dire il vero) causata da un articolo dell’Accademia della Crusca che, secondo molti, “accettava” o “sdoganava” questa costruzione, dicendo che ormai si poteva usare, era italiano corretto e molti ovviamente si sono incazzati con la Crusca perché ritengono quest’espressione il male assoluto del mondo evidentemente. In realtà l’accademico della Crusca Vittorio Coletti, che aveva scritto quell’articolo, semplicemente si limitava a notare che è una costruzione piuttosto diffusa. E che a me personalmente piace, perché la trovo molto rapida, ma vi prego, non linciatemi per questo.
Un altro uso che ricorda lo spagnolo è "l'oggetto preposizionale”, cioè, aggiungere la preposizione “a” dopo i verbi che hanno come oggetto diretto una persona. Cioè, se in italiano standard diciamo “Ho visto Maria”, “ho chiamato il dottore” o “salutami Gianni” al Sud si può sentire “Ho visto A Maria”, “ho chiamato Al dottore”, “salutami A Gianni”. Come in spagnolo, appunto. La cosa curiosa è che questo uso da altre parti d’Italia sembra scorretto o comunque molto regionale, ma è praticamente comune in tutta Italia quando l’oggetto viene anticipato e c’è un pronome personale, per esempio:
A me NON convince (anche se pensandoci “si convince qualcuno”, non “A qualcuno”).
A te chi ti ha chiamato?
A noi chi ci protegge?
E questo particolare sottocaso è in realtà molto diffuso in tutta Italia.
E questo era tutto per oggi. Scrivetemi se conoscevate questi tratti e se conoscete altri tratti regionali dell’italiano. Se sei italiano poi scrivimi se questi tratti si applicano alla tua regione oppure no.
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