6 TRUCCHI per parlare come un ITALIANO
Trascrizione
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Molti studenti parlano bene l’italiano o, comunque, se la cavano, ma si esprimono in maniera innaturale, artificiale. E questo è un problema molto comune. Oggi ti voglio parlare di alcune strategie molto pratiche che ti aiuteranno a parlare italiano in maniera più naturale, più idiomatica, più espressiva: come un vero italiano. Voglio che tu ti renda conto di certi fenomeni tipici del parlato, aspetti che differenziano il modo in cui parli tu da quello in cui parla un italiano.
Trascrizione con glossario sul Podcast Italiano Club
Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno. Trovi la trascrizione integrale sul mio sito. Come sempre, poi, ho preparato un PDF che riassume tutto quello che dico e integra le informazioni con altri esempi. Puoi scaricarlo al link in descrizione, oppure scansionando questo codice QR. Incominciamo!
1) Segnali discorsivi
Dai un’occhiata a questo dialogo:
Ma… sai quali ingredienti servono per il tiramisù?
Allora, per il tiramisù servono caffè, mascarpone, pavesini…
Scusa, ma non ci vogliono i savoiardi?
Beh… sono due varianti diverse…
Sì, ma i savoiardi si inzuppano meglio, no?
Mah, insomma… va a gusti. Nel senso, i pavesini non sono male. Cioè, come dire, hanno una consistenza migliore.
Mmm… forse hai ragione. Vabbè, comunque quando lo facciamo?
In questo dialogo ci sono un sacco di espressioni tipiche del parlato, come “ma”, “allora,” scusa”, “nel senso”, “cioè”. Spesso queste espressioni vengono chiamate ingiustamente riempitivi, “filler words”. Ed è ingiusto! È ingiusto perché in realtà non servono solo a riempire il silenzio, ma hanno una funzione molto pratica: aiutano chi ascolta a orientarsi nel discorso, a capire che cosa stiamo dicendo, che cosa vogliamo fare con le parole che stiamo usando.
Per esempio, il primo “ma” segnala che sto per fare una domanda.
“Allora” introduce una spiegazione.
“Scusa” si può usare per interrompere una persona in maniera cortese.
“Mah” e “insomma” (anche insieme, “mah, insomma”) possono indicare che non siamo del tutto d’accordo.
“Nel senso” e “cioè” possono servire a dare un esempio di quello che abbiamo detto oppure dirlo in un’altra maniera.
E infine, “vabbè” e “comunque” si usano per cambiare argomento.
Questi si chiamano segnali discorsivi. Sono un po’ come dei segnali stradali, ma che non ****ci guidano per strada, ma bensì nel discorso, in una conversazione. Li usiamo continuamente e non ce ne rendiamo nemmeno conto. Meriterebbero forse un video a parte (fammi sapere nei commenti se ti interessa). Ma tu, intanto, inizia ad osservare come i madrelingua usano queste paroline, queste espressioni.
2) Modi di dire
Hai sentito? Il tizio del piano di sopra ha tirato le cuoia!
Ma davvero? Stava male?
Beh, perché, non lo sapevi? Da un sacco di tempo!
No, sinceramente cascavo delle nuvole…
Beh, aveva una brutta cera, comunque… non so se l’hai visto ultimamente…
Ah, sì, su questo non ci piove.
I “modi di dire” o “espressioni idiomatiche” sono davvero importanti per parlare come un madrelingua (ne ho parlato in un video recente). Dire che qualcuno “ha tirato le cuoia” è più informale e divertente rispetto a “è morto”. Quando riceviamo una notizia che ci sorprende, che ci coglie impreparati, è più espressivo e idiomatico dire “cascavo dalle nuvole”, rispetto a dire “non lo sapevo” o “non ne sapevo niente”. E al posto di dire “su questo non c’è alcun dubbio” è più interessante e naturale dire “su questo non ci piove”. Insomma, i modi di dire ti aiutano a parlare in una maniera più espressiva e un po’ più interessante, più italiana. Se impari l’italiano, ovviamente.
Ora, il problema dei modi di dire, ma in generale di tutte queste strategie del parlato, è che, da studenti, non sappiamo, quando le usiamo, se le stiamo usando bene, in maniera idiomatica e naturale, oppure in una maniera forzata, un po’ artificiale. E, per capirlo, abbiamo bisogno del feedback di un madrelingua. Ancora meglio, se questo madrelingua è un insegnante o un tutor, che è pagato per criticarti (in maniera costruttiva, s’intende). E se stai cercando un insegnante o tutor madrelingua di italiano, non c’è luogo migliore di Italki.
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3) Collocazioni
Ok, questa strategia non riguarda solo il parlato, ma è comunque un concetto che tutti dovrebbero conoscere. Sto parlando delle collocazioni: parola orrenda che**, di fatto**, significa “combinazioni di parole”. Le collocazioni sono simili, in un certo senso, ai modi di dire, ma anche diverse. I modi di dire sono rigidi e hanno un significato a volte oscuro; cioè, se sai che significa “tirare le cuoia” bene; ma se non lo sai, è difficile capirlo dalle singole parole. Mentre le collocazioni sono più trasparenti.
Una collocazione è “scattare una foto”, per esempio, o semplicemente “fare una foto”. Fai attenzione: non diciamo “prendere”, come in inglese, spagnolo o francese. Diciamo però “prendere tempo”, ma si può anche “perdere tempo”, oppure “prendere freddo”, “prendere una malattia”. Ma si può anche “contrarre una malattia”, che è anche più elegante, in questo caso. Ci sono collocazioni più formali e collocazioni più informali e colloquiali. Queste, poi, erano collocazioni di verbi e nomi, ma possono essere varie le combinazioni.
Parliamo di “errore clamoroso” o di una “mossa azzardata” (nome e aggettivo); possiamo “pentirci amaramente” o “lavorare sodo” (verbo e avverbio). E poi, una parola può combinarsi in maniera naturale con più parole. Per questo, esistono anche i dizionari di collocazioni.
Il “sole” può essere “tiepido”, oppure “accecante” o “cocente”. Un “dolore” può essere semplicemente “forte” ma anche “lancinante”, cioè fortissimo. “Lancinante”, per esempio, è un aggettivo che si usa quasi solo con “dolore”, e “cocente”, praticamente, solo con “sole”.
Esistono, nella lingua, parole che, praticamente, si usano solo in certe combinazioni predefinite con altre parole. E poi, spesso, le collocazioni cambiano da una lingua all’altra: in inglese “you take a shower”, in francese “on prend une douche”, ma in italiano “fai una doccia”. E quindi bisogna accorgersi di queste differenze perché, spesso, parliamo in maniera innaturale perché traduciamo letteralmente le collocazioni della nostra lingua alla lingua che stiamo imparando.
4) Omissione del pronome soggetto
Anche questo punto non riguarda solo il parlato, ma evitare questo errore comune ti permetterà di esprimerti in maniera molto più naturale. Il pronome personale soggetto ( “io”, “tu”, “lui/lei”, ecc.) in genere in italiano non si dice, si omette. Se lo diciamo, lo facciamo per dare alla nostra frase un significato più specifico, particolare. E quindi dirò “ho finito di scrivere un video per YouTube”, e non “io ho finito di scrivere”. Cioè, se dico “io ho finito” è un po’ come se dicessi “per quanto riguarda me”, “quanto a me”. Ha un significato più specifico. Lo posso usare, per esempio, per cambiare argomento, per esempio passando da “io” a “tu”
Io tra un po’ esco dal lavoro. Tu che fai?
Io ho quasi finito di scrivere un video. Dieci minuti e ho fatto.
Qui i due “io” e il “tu” servono a creare un contrasto, a cambiare argomento, passando da me a te: “io faccio questo, tu, invece, che fai?”; “io, invece, faccio questo”. Ecco, in questi casi il pronome serve, ma nella maggior parte dei casi, non si usa. Il soggetto della frase si capisce, essenzialmente, dal verbo (”faccio = io”, “fai = tu”, “va = lui”) ma anche dal contesto, per quanto riguarda la terza persona.
Sai la notizia? Giovanni si sposa!
Eh? Ma non era già sposato?
Non sapevi che ha divorziato?
Qui, il simpatico personaggio interpretato da me, non dice “ma lui non era già sposato?”, che suona del tutto innaturale: il pronome soggetto, semplicemente, è omesso, perché dal contesto si capisce che si sta parlando di Giovanni. Fai caso a quando gli italiani usano i pronomi soggetto, ma anche a quando NON li usano.
5) Periodo ipotetico informale
Ora gli italiani mi uccideranno, ma sono convinto di ciò che sto per consigliarti. Ho un po’ paura a dirlo, ma ti consiglio, in italiano, di usare, nelle conversazioni, il periodo ipotetico “informale”. Mi riferisco a costruzioni come “se lo sapevo, lo facevo” al posto di “se l’avessi saputo, l’avrei fatto”. Su, italiani, scatenatevi nei commenti. Ora, mi aspetto già una valanga di italiani indignati, che scrivono “ma è sbagliato, non insegnare queste cose, non è italiano”.
Shhhh. La verità è questa:
- Costruzioni del genere sono comunissime nel parlato, se non lo erano non lo insegnavo, dopotutto. 😉
- Esistono dall’alba dei tempi, da secoli e secoli di storia dell’italiano, anche letterario.
- Dobbiamo capire che, le cose che diciamo, non è che sono sempre o giuste o sbagliate, ma a volte sono adeguate o non adeguate a un certo contesto. Una frase come “se lo sapevo, lo facevo” va benissimo in una conversazione rilassata e informale, ma non va bene in un colloquio di lavoro, per esempio.
Ma come funziona esattamente questo periodo ipotetico informale? Se hai un livello intermedio o avanzato in italiano, saprai che ci sono vari tipi di periodo ipotetico standard; ma ce ne sono due che si chiamano, di solito, “della possibilità” e “dell**’irrealtà**”, che si formano combinando una frase con il congiuntivo, la frase che ha il “se”, e una al condizionale, che indica non la “condizione” ma la “conseguenza”, perché… perché non complicare le cose?
Ecco, dimenticateli. No, non dimenticarteli, perché sono comunque importanti. Ma, nel periodo ipotetico informale e colloquiale, puoi usare l’imperfetto dell’indicativo. E dunque, “se mi avessi portato il vino, l’avremmo aperto a cena” diventa “se mi portavi il vino, lo aprivamo a cena”. “Se fossi arrivato in orario, non avremmo perso il volo” diventa “se arrivavi in orario, non perdevamo il volo, co******”.
Questa costruzione è molto più rapida e semplice a livello di tempi verbali, il che è molto utile per chi impara la lingua. E, ripeto, non è italiano scorretto: è italiano informale, e questa differenza è fondamentale. E se ancora, caro italiano indignato, non ti ho convinto, sappi che lo usava pure Dante, che di solito è un buon modo per mettere a tacere i pedanti. Ora, non voglio dire che usare il periodo ipotetico standard, che hai imparato con fatica e sudore, sia inadeguato in una conversazione, per carità. Puoi senz’altro dire “se mi avessi portato il vino, lo avremmo aperto a cena”, è solo un po’ più formale. Ma magari vuoi esserlo, formale. Magari vuoi metterti la camicia al posto della t-shirt. Fai come meglio credi.
6) Frasi marcate
Concludiamo con uno dei miei argomenti preferiti: le frasi marcate, cioè frasi che hanno un ordine degli elementi particolare. Vedi, l’ordine standard, degli elementi, in italiano, è soggetto-verbo-oggetto (o complemento).
Luca ha letto un libro.
Giovanni va a Roma.
Ma in italiano, nel parlato, le cose non stanno sempre così:
Poi l’hai visto, il video che ti ho mandato?
Quello sull’aumento dei prezzi della barbabietola da zucchero?
No, quello di Podcast Italiano.
Ehm… no, quello non l’ho visto.
Immaginavo. Invece quello sulla barbabietola?
No, neanche. Però ne ho visto un altro, come è che si chiamava…
Quello su perché ci dimentichiamo sempre le cose?
Sì, QUELLO ho visto!
In questo dialogo abbiamo un sacco di strutture particolari, tipiche del parlato. Innanzitutto, all’inizio abbiamo “l’hai visto, il video?”. Potrei dire “hai visto il video”, ma “l’hai visto, il video?” è molto comune, nel parlato. Ti faccio altri esempi di questa struttura: potremmo dire “l’ho fatto, il lavoro”, “l’ho letto, il libro”, “ci sono andato, in Germania” o “ci sei andato, in Germania?” come domanda. Ecco, in tutti questi casi, abbiamo un pronome all’apparenza ridondante, che anticipa un elemento che è lasciato alla fine della frase, quasi isolato, anche nell’intonazione.
Ci sono andato, in Germania.
L’ho letto, il libro.
C’è una piccola pausa, se noti.
C’è poi un’altra struttura particolare: “quello non l’ho visto”.
Eh no, quello non l’ho visto.
Quello non l’ho visto: qui, invece, l’oggetto, o il complemento, viene prima del verbo: “quello”. Ed è, poi, ripreso da un pronome (“l” in “l’ho visto”). Ecco, in questo caso, è proprio obbligatorio mettere quell’ “L-apostrofo”. Cioè, non posso dire “quello ho visto”, a meno di non dirlo con un’intonazione specifica, come QUELLO ho visto, che implica un contrasto (ho visto QUELLO e non un altro), come nell’ultima frase del dialogo.
Sì, QUELLO ho visto.
“Quello l’ho visto” invece, significa qualcosa come “per quanto riguarda quello, l’ho visto”. Insomma, ti dice di che cosa sto parlando, introduce il tema. È un po’ come usare il pronome soggetto: io l’ho fatto (quanto a me, l’ho fatto), quello l’ho visto (quanto a quello, l’ho visto), il libro, l’ho letto. “Io”, “quello” o “il libro” sono il tema (si chiama proprio tema, nella linguistica), la cosa di cui stiamo parlando, la cosa su cui diciamo qualcosa. Insomma, hanno una funzione specifica, non sono solo spostamenti caotici e casuali di parole.
Ora, le frasi marcate sono complicate, non posso di certo spiegare come funzionano in 2 minuti. Ne ho parlato in un video vecchio che ti lascio in descrizione, ma anche in uno dei video del mio corso avanzato Dentro l’Italia in Italiano, che unisce l’apprendimento dell’italiano all’apprendimento della cultura italiana. È un capolavoro, ma… link in descrizione. Vai a dare un’occhiata.
Raramente ho sentito stranieri usare le frasi marcate (a parte stranieri che vivono in Italia da molto tempo), ma noi italiani le usiamo davvero di continuo, queste frasi. Ne ho appena usata una.
Per concludere, ti consiglio, quando ascolti italiani conversare, di far caso a questi aspetti, di notarli. Facci caso. Magari prendine soltanto uno o due, di questi di cui ti ho parlato in questo video, e concentra la tua attenzione su come vengono usati nelle conversazioni. Per esempio, solo sui segnali discorsivi. Solo su questi “beh”, “mah”, “insomma”, “nel senso”. Ascolta attivamente, cerca di capire che funzione hanno: non sono lì per caso. Poi però, tutte queste cose, bisogna metterle in pratica (questa è una frase marcata!): per fare questo, vai su Italki e prenota la tua prima lezione.
E ricorda che, se vuoi un PDF che ti riassume tutte le informazioni del video e le integra anche con altri esempi, c’è un link in descrizione, oppure questo codice QR. Se invece dopo questo video stai pensando “Davide, non è che parlo bene ma in modo innaturale, io proprio parlo male, e basta” beh, questo video fa per te.
In questo episodio vediamo 6 strategie pratiche per rendere il proprio italiano più naturale.
Scarica il PDF gratuito con il riassunto della lezione: https://bit.ly/parlare-piu-naturalmente?r=qr
Dai un'occhiata al mio corso di livello avanzato "Dentro l'Italia, in Italiano": https://podcastitaliano.thinkific.com/pages/dentro-l-italia-in-italiano-podcast-italiano-x-storia-d-italia
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