BOCCACCIO: l'uomo che cambiò per sempre la PROSA italiana
Trascrizione
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Abbiamo fatto un viaggio nel mondo di Dante, il fuoriclasse del Trecento, e nel mondo di Petrarca, il re indiscusso della poesia. Ma le Tre Corone fiorentine del Trecento sono tre, appunto, e non due: manca infatti il re della prosa. Con il suo testo più famoso, tra sesso, intrighi e avventure a lieto fine, questo terzo autore ha contribuito a rendere l’italiano ciò che è oggi, diventando un modello immortale di lingua letteraria.
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Oggi parliamo di Giovanni Boccaccio, a cominciare dalla sua vita e dal suo successo, per poi proseguire con un viaggio attraverso la sua opera più celebre, Il Decameron, e, infine, daremo uno sguardo sull’eredità che ci ha lasciato. Pronti?
Questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Trovi la trascrizione di tutto quello che dico sul mio sito. Ti lascio il link in descrizione.
Incominciamo come sempre dalla biografia, che ci aiuterà a capire meglio il personaggio e le sue opere. Boccaccio nasce nel 1313, molto probabilmente a Certaldo (un borgo vicino a Firenze), anche se c’è chi crede sia nato proprio a Firenze.
Comunque, il nostro Boccaccio è figlio di un amore illegittimo tra il padre Boccaccio (quanta fantasia) e una donna ignota. Il padre, ad ogni modo, riconosce il figlio, e tiene il bambino con sé e con la moglie, che, secondo le storie, non fu sempre una matrigna molto simpatica.
Giovanni cresce a Firenze e lì ha la sua formazione scolastica.
Nel 1327, però, deve trasferirsi a Napoli con il padre, che è un agente di una compagnia mercantile. Lo stesso Boccaccio, lì, inizia a essere avviato al commercio: siamo di fronte una persona che sin da giovane sviluppa un certo senso pratico, e uno sguardo abbastanza vario sul mondo – non è un nobile distaccato dalla vita delle persone comuni – e questo sguardo, come vedremo, tornerà utile proprio nelle sue opere.
Nel 1328, il padre diventa consigliere della corte del re di Napoli, il che significa che anche il figlio inizia a frequentare la corte.
La sua formazione prosegue con gli studi in diritto canonico, cioè la legge della Chiesa in sostanza; anche se, nel frattempo, già scalpita l’interesse per la letteratura.
Il nostro giovane Giovanni frequenta molti dotti della corte, e questi eruditi sono tutti amici di Petrarca, nostro amico di cui abbiamo parlato recentemente, di cui Boccaccio è un grande – ma proprio grande! – ammiratore. Probabilmente, già nel 1339 gli invierà una prima lettera in latino. Anche al di fuori della corte, in realtà, ci sono dotti da frequentare: Napoli, in questo senso, offre molte opportunità culturali.
E Boccaccio le sa cogliere perché, grazie ai suoi appunti, sappiamo che cosa leggeva in quel periodo: come di Petrarca, anche di Boccaccio abbiamo materiale scritto proprio da lui, il che ci dà tantissime informazioni.
Sappiamo anche che a quel periodo, cioè i primissimi anni Trenta, risalgono le prime opere in latino.
Ma prestissimo arrivano anche le prime opere in volgare, cioè non in latino ma nella lingua nativa dell’autore, nello specifico opere narrative di finzione, scritte probabilmente, intorno al 1334. Ma i suoi interessi non si fermano qui: pensate che in latino, in quel periodo, compone addirittura un’opera geografica sulle isole Canarie, scoperte pochi anni prima da un genovese. E seguiranno tanti altri studi latini, traduzioni, rimaneggiamenti di opere, e via dicendo: come Petrarca, anche Boccaccio darà un grande contributo agli studi latini dell’epoca.
Dopodiché, verso gli anni Quaranta, la compagnia del padre entra in una grave crisi e Giovanni torna dunque a Firenze, da cui partirà anche per alcuni viaggi.
In questo periodo Boccaccio inizia a studiare assiduamente Dante, autore che amava. In effetti, potremmo dire che Boccaccio sia uno dei primi grandi ammiratori di Dante, e probabilmente il più conosciuto.
Sempre a quel periodo risale un’opera che, normalmente, viene letta e studiata solo dagli esperti, ma che è davvero interessante. Si tratta dell’Elegia di madonna Fiammetta, che, anche se non proprio nel senso moderno del termine, è il primo romanzo europeo scritto in prima persona (due primati di cui si parla poco, perché non furono imitati dopo di lui). Romanzo nel quale vengono raccontate le sofferenze amorose della protagonista.
Poi, nel 1348, il disastro: scoppia la peste nera, quella stessa pandemia che, secondo il racconto di Petrarca, avrebbe ucciso la sua amata Laura, la cui esistenza, comunque, è dibattuta. La gravità della peste nera è qualcosa che difficilmente possiamo concepire (pur avendo vissuto anche noi una pandemia): immaginate di vivere in una città nella quale muore la maggior parte della popolazione, tra cui molti conoscenti, amici e parenti. Questa fu la situazione a Firenze, città che fu particolarmente colpita dal disastro.
Boccaccio perde il padre, altri familiari e diversi amici. Ma questo disastro non porterà solo sofferenze, per fortuna: sarà infatti la scintilla che innescherà la composizione dell’opera che renderà Boccaccio immortale, il Decameron – ci torniamo tra poco.
Negli anni Cinquanta, superata la tragedia, il comune di Firenze inizia ad affidare a Boccaccio diversi incarichi diplomatici. Tra i tanti, il più interessante è la missione a Ravenna, città dove Dante era morto trent’anni prima. Lì viveva una monaca di nome Beatrice: era nientemeno che la figlia di Dante, chiamata come la leggendaria donna amata dal poeta. Boccaccio era stato mandato da lei per consegnarle un risarcimento di dieci fiorini da parte di Firenze che, vi ricorderete, aveva esiliato il padre Dante, condannandolo a enormi sofferenze. Quale miglior ambasciatore dunque, se non il più grande fan di Dante?
In quel periodo, l’interesse per Dante diventa un vero culto. Vengono allestite diverse raccolte delle sue opere e, soprattutto, viene scritta una sua biografia, chiamata Trattatello in laude di Dante. Nell’opera si loda la grandezza del poeta, e se ne racconta la vita in modo altamente idealizzato, facendo uso di diverse immagini allegoriche, seguendo, insomma, il gusto medievale. Non una biografia esattamente affidabile, ecco.
Ma il triangolo tra le tre corone non potrebbe chiudersi senza Petrarca. Già nel suo video abbiamo visto che l’immortale poeta va in pellegrinaggio a Roma, e ne approfitta per fermarsi anche da Boccaccio. È difficile immaginare quanto questo momento possa essere stato importante per Giovanni: aveva ammirato Petrarca per tutta la vita, al punto da dedicare anche a lui, prima ancora di conoscerlo, una biografia. Pensate che emozione per Giovanni!
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i due si incontrano quattro volte. Boccaccio ne approfitta per studiare molto più approfonditamente gli autori latini, la cui lingua, per Petrarca, non aveva segreti. I due mettono in atto un vero e proprio sodalizio intellettuale, nel quale ciascuno mette a disposizione dell’altro i propri testi – e sappiamo quanto, al tempo, questi testi fossero preziosi.
Boccaccio è anche uno dei primi in Italia a interessarsi della lingua greca antica in Italia, al punto da commissionare a un esperto una traduzione in latino delle opere di Omero; traduzione che serve anche a Petrarca, che non leggeva in greco antico, come anche Dante prima di lui: è davvero soltanto ai tempi di Boccaccio che questa lingua torna a risplendere in Italia.
Petrarca e Boccaccio, dunque, studiano insieme, si aiutano e si arricchiscono culturalmente. Addirittura, abbiamo dei manoscritti con le note di entrambi: un fatto eccezionale, se pensiamo che sono trascorsi quasi settecento anni.
A un certo punto, Boccaccio invia a Petrarca una copia della Commedia di Dante, chiedendogli di leggerla e di dare il proprio parere. Ma Petrarca continua a evitare la richiesta di Boccaccio: perché? Beh, ricordiamoci che Petrarca voleva dare di sé l’immagine di romano moderno ideale, un grande autore latino che incarnava proprio lo stile di vita e le idee dei latini. Non voleva dunque lodare un’opera scritta in lingua volgare, in cui per di più erano usate anche parole basse e scurrili. Ricordiamo che Petrarca scrisse opere in volgare con un linguaggio molto alto e selezionato, sebbene le considerasse cose di poco conto.
Negli anni Sessanta, nelle opere di Boccaccio si vede un certo “effetto Petrarca” per così dire. L’autore compone soprattutto opere piuttosto intellettuali in latino, spaziando dalla mitologia alla geografia; la voglia di raccontare storie in volgare perde vigore.
Dopodiché, Boccaccio torna a Certaldo per avere una vita più tranquilla. Si reca giusto a Firenze per svolgere delle commissioni, una delle quali è passata alla storia: terrà infatti una serie di letture pubbliche commissionate dalla città stessa sulla Commedia di Dante. Queste lezioni sono legate a una serie di appunti che sono confluite nelle Esposizioni sopra la “Commedia”. Purtroppo, solo una piccola parte dell’opera di Dante viene commentata, perché Boccaccio si deve fermare per questioni di salute.
Il nostro autore resta a Certaldo ancora per qualche anno, prima di spegnersi nel 1375.
Stiamo ora per tuffarci nel Decameron, opera famosa in tutto il mondo ancora oggi che racconta 100 novelle, 100 storie appassionanti e divertenti e ancora molto attuali. Lo sappiamo, una storia interessante e ben scritta ha un potere speciale, ci cattura, vogliamo sapere come va a finire e che succede ai personaggi. Questo, tra l’altro, è uno dei motivi per cui le storie sono così efficaci quando impariamo una lingua straniera, ed è questa la filosofia alla base di StoryLearning, un’azienda e piattaforma che offre videocorsi in molte lingue, tra cui l’italiano. Ecco come funziona il loro metodo: impari ascoltando e leggendo una storia che si sviluppa attraverso vari capitoli. Il nucleo del corso è proprio la storia che puoi ascoltare e leggere secondo una metodologia che ti viene spiegata all’inizio del corso. La storia poi è accompagnata da video-lezioni di vocabolario, grammatica, pronuncia, che permettono di approfondire, di sviscerare e trarre il massimo dal capitolo della storia. Di recente ho iniziato il corso di latino di cui avevo qualche conoscenza su StoryLearning, che è tenuto dal mio amico Luke Ranieri, e mi sta piacendo un sacco. E anche i corsi di italiano sono ottimi, ma io ho fatto quello di latino perché mi serviva di più. Come dico sempre, il modo migliore di imparare una lingua è attraverso l’input, attraverso i contenuti interessanti. E la loro filosofia è la stessa. Acquistando un corso avrai accesso anche alla comunità dove puoi conoscere altri studenti come te ed essere guidato nell’apprendimento dai loro esperti linguistici che ti aiuteranno e risponderanno a tutte le tue domande. Dai un’occhiata a Italian Uncovered, la loro serie di corsi d’italiano. Ti lascio i link per il livello intermedio e avanzato qui sotto in descrizione e tra i commenti. Acquistando tramite me, avrai uno sconto di ben $100: pagherai $97 al posto di $297. Non male, vero? E ora proseguiamo.
È arrivato il momento di parlare dell’opera più celebre di Boccaccio e che l’ha reso immortale. È conosciuta come Decàmeron, ma anche Decamerón o Decameróne: il nome viene dal greco δέκα ἡμέραι /’deka he’merai/ e significa dieci giornate: più tardi vedremo perché. Come vedete il nome greco riflette la passione di Boccaccio per questa lingua.
La stesura finale del testo fu ultimata tra il 1349 e il 1353. Un po’ come con Petrarca, abbiamo la fortuna di possedere tanti manoscritti, grazie ai quali possiamo osservare l’evoluzione dell’opera. Mediante il confronto sistematico di questi manoscritti gli studiosi hanno cercato di ottenere una versione quanto più possibile accurata del testo.
Ora andiamo un po’ più a fondo. La peste non è solo il motore che dà inizio alla composizione dell’opera, ma è anche, all’interno della narrazione stessa, l’evento da cui tutto ha inizio. Si racconta infatti che dieci giovani, per fuggire dalla peste di Firenze, si ritirano in campagna, dove, per far passare il tempo, si raccontano a vicenda dieci storie al giorno, per dieci giorni; ed ecco svelato il mistero del titolo. Cento storie in tutto, quindi, chiamate novelle, ovvero brevi racconti. E queste novelle vengono narrate in modo molto schematico, ordinato, in un contesto di campagna in cui le giornate sono scandite da un ritmo preciso. Sembra quasi che Boccaccio, sconvolto dal caos della peste, voglia usare la letteratura per far tornare i lettori in un mondo ordinato, funzionante.
Al di là di ciò, è lo stesso Boccaccio a suggerirci per quale ragione ha deciso di comporre l’opera, ovvero consolare le persone. Lui ha sofferto per amore in passato, ed è stato consolato, ha ricevuto aiuto; ora, pieno di gratitudine, vuole restituire il favore, creando un’opera che possa divertire, distrarre, e consolare. È un’opera in particolare dedicata alle donne, che, per via della netta divisione dei ruoli di genere, secondo Boccaccio avevano meno occasioni per dimenticare i loro problemi. Proviamo ora a leggere in lingua originale cosa scrive Boccaccio:
«E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, tra l’altre vertú è sommamente da commendare ed il contrario da biasimare, per non parere ingrato, ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dirmi posso, e se non a coloro che me aiutarono, alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a’ quali fa luogo, alcuno alleggiamento prestare».
Ci avete capito qualcosa? Avete il mal di testa? Anch’io. Ma proviamo a tradurre il testo in italiano moderno, e al contempo manteniamo l’ordine delle parole scelto da Boccaccio:
E poiché la gratitudine, secondo me, tra le varie virtù va particolarmente lodata, mentre la virtù contraria va biasimata, per non sembrare ingrato, mi sono proposto di voler io stesso, per quel poco che posso fare, in cambio di ciò che ricevetti, ora che posso dirmi libero, se non a coloro che mi aiutarono, che grazie al loro intelletto o per fortuna non ne hanno bisogno, almeno a coloro che ne hanno bisogno, prestare un po’ di sollievo.
Avrete notato che la sintassi è piuttosto articolata: per seguire il discorso bisogna avere una RAM mentale piuttosto capiente e non distrarsi. Osserviamo anche soltanto mi sono proposto di voler io stesso e prestare un po’ di sollievo: ecco, queste due parti del testo, in una frase normale, sarebbero vicine; e invece qui sono molto lontane, perché questo stile di scrittura prevede tantissimi incisi e parentesi, un po’ come una matrioska. C’è un certo gusto latino di autori antichi come Cicerone che, di solito, adottavano una sintassi simile, molto ricca e complessa.
Dopo il proemio, l’introduzione, arriva finalmente la descrizione della peste di Firenze. È una bellissima testimonianza, anche se molto molto cruda. Nonostante le preghiere e le processioni, la malattia entra in città: gli abitanti iniziano a essere afflitti da bubboni sulla pelle, mentre i medici scoprono di non poter far nulla. In tre giorni di malattia si moriva. La città cade nel caos più totale: addirittura, alcuni genitori abbandonano i figli in strada, talmente sono disperati. Ma leggiamo le parole di Boccaccio:
«Ed in tanta afflizione e miseria della nostra cittá era la reverenda autoritá delle leggi, cosí divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri ed esecutori di quelle, li quali, sí come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sí di famiglie rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito quanto a grado gli era, d’adoperare».
Tradotto:
E in tutto questo dolore, la venerabile autorità delle leggi della nostra città, sia divine, sia umane, era quasi del tutto caduta per i loro ministri ed esecutori, i quali, così come gli altri uomini, erano tutti o morti, o malati, o rimasti così poveri di familiari, che non potevano esercitare alcun compito; per questo motivo, ognuno poteva fare ciò che più gli andava. Non rimameva nessuno che potesse far rispettare le regole.
Sembra davvero la fine del mondo, e proprio per questo è significativo che Boccaccio ne ricostruisca uno, di mondo, i cui narratori, i dieci giovani, vivono in modo così armonico e ordinato. Addirittura, per ogni giornata si nomina un sovrano, che sceglie il tema del giorno e dirige la giornata.
Ma il contenuto delle novelle è ben più movimentato della vita dei dieci giovani. In una delle giornate, per esempio, si parla di avventure a lieto fine, in un’altra di amori infelici, e così via. I temi sono davvero vari, e talvolta stupiscono per il loro contenuto scandaloso, tra sesso, tradimenti e persino intrighi tra persone di Chiesa. Non stupisce, dunque, scoprire che in passato il libro sia stato più volte proibito dalla Chiesa stessa, nonché modificato e riscritto.
Certo, Boccaccio non ci andava piano: nella storia La badessa e le brache del prete, per esempio, ci racconta di una badessa (il capo di un monastero, per così dire) che, di notte, ha l’abitudine di divertirsi con nientemeno che il prete. Una notte, le altre suore del convento scoprono che anche una di loro, Isabetta, ha fatto sesso con un uomo. Corrono dunque a chiamare la badessa, che nel frattempo è occupata proprio con il prete. E la badessa, per non farsi scoprire, si riveste al buio e corre fuori. Subito inizia a sgridare la suora ribelle, che presto però si accorge di un particolare: la badessa, invece di mettersi in testa il velo, ha indossato i pantaloni del prete. Naturalmente, Isabetta coglie l’occasione al volo e smaschera la badessa davanti a tutte le sorelle. Si direbbe che la badessa, a questo punto, non possa far altro che ammettere la propria colpa. Invece, spiega alle suore che il desiderio sessuale non può essere represso, e invita le sorelle a passare le proprie notti come meglio credono, o, meglio, con chi meglio credono.
E questo, pensate, è un testo di settecento anni fa. È qui che vediamo il Boccaccio figlio di un mercante, il Boccaccio dal senso pratico che ha frequentato persone di ogni tipo. E vediamo anche il Boccaccio che ama scrivere in volgare e inventare opere di fantasia.
Nell’ultima giornata, infine, si parla di chi ha vissuto avventure amorose, oppure di altro tipo, con nobiltà d’animo e cortesia. Anche sul piano del contenuto della narrazione, quindi, sembra che l’autore voglia portarci verso il lieto fine.
E così, ecco il Decameron: cento storie per distrarci e consolarci, per incontrare situazioni di ogni tipo, dalle più scurrili agli esempi di virtù.
Ora dovrebbe essere chiaro, almeno in parte, il motivo per cui il Decameron ha reso Boccaccio immortale. Erano già state scritte simili raccolte di novelle; ma nessun’opera di questo genere era mai stata così ampia, complessa, strutturata e varia come argomento.
Boccaccio, poi, ha dato un importante contributo alla cultura del proprio tempo. Ricordiamoci gli studi sulle opere latine, la promozione del greco antico, la promozione degli studi su Dante; e ancora la proficua collaborazione con Petrarca.
Ma c’è ancora un aspetto che non abbiamo toccato: il contributo allo sviluppo dell’italiano letterario. Con il Decameron, infatti, Boccaccio fornisce a chi parla l’italiano un modello di prosa ricchissima, con cui si possano veramente costruire tutti i tipi di frase, fino ai più complessi. Come dimenticare gli esempi di prima? Io ho ancora il mal di testa. Insomma, da Boccaccio in poi, la prosa italiana non avrà più nulla da invidiare a quella latina, come complessità.
E ad accorgersene è la persona giusta: Pietro Bembo, che ho menzionato nel video su Petrarca e che nella sua grammatica indicò Petrarca come massimo esempio ideale di scrittura poetica.
Facciamo un rapidissimo ripasso. La scrittura, non solo letteraria ma in generale, nel Quattrocento era poco omogenea, e questo era un problema, visto che serviva un modello per la stampa, che si stava sviluppando. Bembo desidera risolvere il problema imponendo un modello linguistico da seguire, e capisce che questo modello per attecchire deve essere prestigioso; e qui entra in gioco il Decameron: al tempo di Bembo l’opera era già conosciuta, apprezzata e molto autorevole, e soprattutto offriva un modello di prosa ampissimo, fondato sul modello dei più grandi prosatori latini. Certo, si trattava di un modello di prosa classicistico e antirealistico: nessuno parlava così; ma era anche l’unico modello che il popolo cólto, che era poi il popolo che scriveva, avrebbe accettato, per il suo prestigio.
Ecco dunque che Bembo, nelle sue Prose della volgar lingua, dà indicazioni grammaticali precise basate sul Decameron. L’opera ha molto successo, anche perché finalmente c’è una sorta di manuale di grammatica universalmente riconosciuto. Ma a Bembo e alla sua opera dedicheremo il prossimo video di questa serie.
Tornando a Boccaccio, quindi, è stato importante e influente sia di per sé, sia con la mediazione di Bembo, che ha provocato una serie di conseguenze a cascata che ci portano a un’influenza che osserviamo persino nell’italiano di oggi, che – ricordiamocene ancora una volta – è molto legato all’italiano letterario del Trecento.
Termina così il nostro viaggio in compagnia delle Tre Corone.
Abbiamo parlato di Dante, il fuoriclasse assoluto che, anche per via della sua inarrivabile grandezza, non ha praticamente avuto imitatori; abbiamo parlato di Petrarca, il modello assoluto di poesia che ebbe riverberi anche al di fuori d’Italia, e che arrivò a toccare perfino Shakespeare; e abbiamo chiuso il percorso con il modello assoluto di prosa, che, sul modello latino, diede finalmente all’italiano una prosa completa, che niente più avrebbe avuto da invidiare a quella latina.
Tre grandi autori legati sotto molti aspetti: a volte personale (in via diretta e indiretta), ma anche temporale e geografico. Pensateci: le Tre Corone, i tre maggiori autori del Trecento, sono nati tutti a poca distanza l’uno dall’altro, tutti nell’arco di cinquant’anni. Insieme, furono una bomba nel panorama letterario e linguistico italiano, perché la loro influenza cambiò il corso degli eventi per sempre. E il bello è che le Tre Corone sono solo l’inizio. Questo è tutto per oggi, io vi lascio i video precedenti su Dante e su Petrarca se non li avete ancora visti. Ci vediamo nel prossimo video della serie.
Siamo giunti alla conclusione del nostro viaggio nelle tre corone fiorentine: parliamo di Giovanni Boccaccio, l'autore che cambiò per sempre la prosa in italiano, autore del Decameron.
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