GuardaTI questo video. Perché “TI”?
Note e risorse
In questo video ti spiego qual è la differenza tra "Ho mangiato un panino" e "Mi sono mangiato un panino".
Scarica il PDF gratuito con il riassunto della lezione
Abbonandoti al Podcast Italiano Club (livello di bronzo) avrai accesso alle trascrizioni dei video con glossario.
Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club (livello di bronzo).
Accedi o registrati per continuare a leggere
Guardati questo video, ascoltatelo con attenzione, e leggiti bene gli esempi che ti farò. Scoprirai un aspetto un po’ bizzarro della grammatica italiana, ma che è molto comune nella conversazione colloquiale, in italiano. Insomma: scoprirai il motivo per cui dico queste strane frasi, o altre come “mi sono bevuto una birra”, “mi sono mangiato un panino”, “mi sono fatto un bel viaggio”.
Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club
Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno. Trovi la trascrizione integrale di questo video sul mio sito. Come sempre, ho preparato anche un PDF che riassume tutto quello che dico e lo integra con altri esempi ed esercizi. Puoi scaricarlo (o scaricartelo) al link in descrizione, oppure scansionando questo codice QR. Incominciamo!
Guarda queste frasi molto banali:
Ho mangiato una pizza.
Ho bevuto una birra.
Ho comprato un libro.
Ho letto una recensione.
Chi studia italiano può avere molti dubbi sulle sue regole di grammatica, ma ha almeno UNA certezza, a cui si aggrappa con tutte le sue forze: quella che, se nella frase c’è un oggetto diretto (cioè una parola, o un gruppo di parole che è direttamente collegato al verbo senza preposizione, e che completa il significato della frase rispondendo alla domanda “cosa?” o “chi?”), ecco, se c’è l’oggetto diretto, dicevo, allora il verbo ausiliare, nei tempi composti di un verbo, sarà sicuramente “avere”, proprio come negli esempi.
Ho bevuto una birra; ho comprato un libro; ho letto una recensione: ok, questi sono gli oggetti diretti di questi esempi. Tutto regolare. Ma poi, improvvisamente, nella vita dello studente di italiano, succede qualcosa di inatteso, qualcosa di sconvolgente. Si trova di fronte a queste frasi:
La prima è “Mi sono mangiato il mondo”, titolo del libro di Chef Rubio, chef e personaggio televisivo italiano.
La seconda è “Ti sei bevuto il cervello”, altro titolo di altro libro.
Poi abbiamo questo esempio giornalistico: “Quindici anni dal crack Parmalat, così i francesi si sono bevuti il latte italiano”, titolo di un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”.
Procediamo con “Quelli che si sono comprati casa nel metaverso”, sul quotidiano “La Repubblica”.
E finiamo con “Tedua si è letto tutte le vostre critiche, ma ha comunque trovato il Paradiso”, titolo di un articolo sul sito Rolling Stone Italia.
Cos’hanno in comune i titoli che ti ho appena presentato?
Per prima cosa, tutte le frasi contengono dei verbi che chiamiamo “transitivi”, cioè verbi che richiedono un oggetto diretto per completare il significato della frase: mangiare, bere, comprare, leggere… “cosa”? “Qualcosa”. C’è un oggetto che completa la frase o che completa il verbo, per essere più precisi.
In secondo luogo, in tutte le frasi, il tempo composto, in questi esempi il passato prossimo, è formato con l’ausiliare “essere” e non con “avere”.
Infine, ci sono questi strani pronomi personali, mi, ti, si, che… non si capisce a cosa servono, sono superflui, almeno all’apparenza.
Ma facciamoci una domanda: sarebbe davvero la stessa cosa dire “ho mangiato il mondo” invece di “mi sono mangiato il mondo”? Oppure dire “i francesi hanno bevuto il latte italiano” invece di “si sono bevuti il latte italiano”?
Beh, La risposta è: no. Non sarebbe la stessa cosa. Innanzitutto perché questo è un uso tipico della lingua parlata, della lingua colloquiale: quindi, togliendo di mezzo quest’uso, avremmo frasi un po’ più normali, un po’ più blande. Avremmo a che fare con un registro più neutro. Ma non sarebbe la stessa cosa anche perché l’uso dei pronomi personali detti “pleonastici” (cioè, apparentemente, inutili, superflui) con i verbi transitivi (ovvero verbi seguiti da un oggetto diretto) ha una funzione specifica: quella di intensificare il significato del verbo, di dargli un valore affettivo, di indicare una partecipazione più sentita del soggetto (in questi esempi, il soggetto sarebbe: io, tu, i francesi, loro, Tedua). Ti ricordo che, a volte, il soggetto non è espresso: non diciamo “io”, “tu”, “loro”, perché in realtà si capisce che questo è il soggetto implicito (o sottinteso) grazie alla forma a cui si trova il verbo.
E quindi un più intenso coinvolgimento emotivo, in senso, a volte positivo e altre volte negativo. Il soggetto è sia la persona che fa, che, allo stesso tempo, la persona che trae vantaggio (o svantaggio) dal proprio fare.
Se, ad esempio, dico “mi sono mangiato un chilo di pasta”, voglio esprimere il mio coinvolgimento positivo nell’azione, la mia soddisfazione nel mangiarmi un chilo di pasta, il godimento che ne traggo. E ti assicuro che è un grande godimento! Se, al contrario, dico “senza accorgermene, mi sono mangiato il verme che stava nella ciliegia”, sto indicando che l’esperienza non è stata il massimo. Non è stata molto bella…
Ma ritornando ai titoli di prima: nella frase “mi sono mangiato il mondo”, l’uso del pronome personale “mi” con il verbo transitivo “mangiare” esprime un coinvolgimento del soggetto nell’azione di tipo positivo, e infatti il libro è il racconto di una bellissima esperienza dell’autore, di un lungo viaggio, eccetera.
Diversamente, nella frase “i francesi si sono bevuti il latte italiano” l’uso del pronome personale “si” con il verbo transitivo “bere” (bere qualcosa) serve a dare alla frase una connotazione negativa. E, infatti, la storia di questa azienda del latte, come sanno gli italiani, non è delle più positive.
Forse ti sei già accorto che i verbi di cui sto parlando, e che hanno questo comportamento curioso, un po’ bizzarro, sono spesso verbi che descrivono attività biologiche dell’organismo (come, appunto, mangiare e bere) o sensoriali (vedere, guardare, ascoltare), come nei seguenti esempi:
“Mi sono visto un film di Marco Bellocchio l'altra sera.”
“Mi sono guardata una serie in italiano su Netflix.”
“Mi sono ascoltato un podcast, di un’ora, di un critico d’arte che parlava di Caravaggio.”
Quando il coinvolgimento del soggetto nell’azione è di tipo positivo, è frequente, anche, aggiungere, per dare più enfasi, anche un aggettivo di qualità, come, ad esempio, “bello”, “bellissimo”, “bravo”, “bravissimo”.
E quindi:
“Mi sono visto un bel film di Marco Bellocchio.”
“Mi sono guardato una bella serie in italiano su Netflix.“
“Mi sono ascoltato un bel podcast, di un’ora, di un bravo critico che parlava di Caravaggio.”
Un verbo che spesso si usa in questo modo è fare, un verbo così comune che, si potrebbe dire, è un verbo… tuttofare. A questo proposito, guardiamoci qualche video:
“Ci siamo fatti una bella passeggiata, dal Duomo fino alla stazione…”
“È davvero un bel film molto carino per rilassarti e farti quattro risate.”
“Nel 1975, Diane e suo marito Peter avevano deciso di farsi una vacanza nella contea di Norfolk, in Inghilterra…”
Nei tre video abbiamo sentito queste frasi:
Ci siamo fatti una bella passeggiata, dal Duomo fino alla stazione.
È davvero un bel film molto carino per rilassarti e farti quattro risate.
Nel 1975, Diane e suo marito Peter avevano deciso di farsi una vacanza nella contea di Norfolk, in Inghilterra.
In tutte e tre le frasi, il verbo transitivo “fare” (come prima abbiamo visto per “mangiare”, “bere”, “guardare”, “ascoltare”) è accompagnato da un pronome personale che, apparentemente, non servirebbe, si potrebbe anche togliere; e, nei tempi composti, dall’ausiliare “essere” (“ci siamo fatti”). Ma, come abbiamo detto, si nasconde dietro questo uso, apparentemente un po’ strano e inutile, una più intensa partecipazione del soggetto. Ma anche una maggiore informalità: sono frasi tipiche della lingua di tutti i giorni, della lingua parlata.
Facendo una riflessione linguistica più profonda, possiamo affermare, come fanno alcuni linguisti, che si tratta semplicemente di un uso riflessivo di questi verbi, che li rende perciò simili ad altri verbi come lavarsi, vestirsi, truccarsi, verbi che probabilmente conosci bene. In questi verbi l’oggetto e il soggetto coincidono: “mi lavo” significa “io lavo me stesso”; “ti vesti” significa “tu vesti te stesso” o “te stessa”. In senso stretto, questi sono i veri verbi riflessivi: quando il soggetto è anche l’oggetto.
Ma si potrebbe anche estendere la nostra definizione di verbi riflessivi e considerare “riflessivo” anche qualsiasi verbo che ha un oggetto diverso dal soggetto, ma che è comunque accompagnato da un pronome che, in qualche modo, indica il soggetto stesso, un “vantaggio” per quel soggetto. Se dico “mi sono fatto una bella passeggiata” il soggetto è “io”, l’oggetto è “una bella passeggiata”. Quel “mi” indica un vantaggio per il soggetto, per me. È come dire “a me”, “per me”, “a mio vantaggio”. Il soggetto è sia punto di partenza che punto di arrivo dell’evento descritto dal verbo, anche se l’oggetto è un altro.
Se gli esempi che abbiamo visto ti sembrano un po’ colloquiali, beh, lo sono. Ma ci sono, in realtà, casi simili ma più normali, più standard, in cui l’uso pronominale con l’oggetto, in realtà, è la norma, ed è l’unica possibilità. A volte, in una frase con verbo transitivo e pronome “pleonastico” (cioè, come abbiamo detto, “superfluo”) che si riferisce al soggetto, l’oggetto diretto indica una parte del corpo, come, per esempio, in “soffiarsi il naso”, “grattarsi la testa”, “rompersi una gamba”. Per esempio:
Tua nonna si è soffiata il naso e ha fatto un rumore incredibile!
Mi sono grattato la testa e mi sono fatto male.
Il mio vicino di casa, ieri, si è rotto una gamba cadendo dalle scale.
Oppure, l’oggetto indica vestiti o accessori che appartengono al soggetto, come in:
Mio nonno si è tagliato la barba.
L’uomo si è tolto il cappello.
Mara si è messa gli occhiali.
Tradizionalmente, questi si chiamano “riflessivi apparenti”: sono verbi che sembrano riflessivi, ma che hanno un oggetto che non coincide con il soggetto, e quindi non rientrano nella “tradizionale” definizione di riflessivo, cioè “verbo in cui il soggetto e l’oggetto coincidono”.
“Mi lavo” significa “lavo me”. Io lavo me stesso. “Io” e “me stesso” siamo la stessa cosa, no? Mentre “mi lavo una gamba”, beh, “io lavo a me stesso una gamba”. “Io” e “la mia gamba” siamo due cose diverse. Anche se la mia gamba, forse, si può dire che fa parte di me… ma questo è un altro discorso.
A differenza di altre lingue europee (come il francese, l’inglese, il tedesco), in italiano non ci piace usare l’aggettivo possessivo. Cioè, non diciamo:
“Tua nonna ha soffiato il suo naso.”
Oppure, “ho grattato la mia testa.”
“Il vicino ha rotto la sua gamba.”
Così come non diciamo:
“Mio nonno ha tagliato la sua barba.”
“L’uomo ha tolto il suo cappello.”
“Mara ha messo i suoi occhiali.”
Sono frasi strane in italiano.
Infine, c’è un altro uso simile che è curioso. Può capitare che il pronome pleonastico (quindi questo pronome superfluo, all’apparenza) che accompagna il verbo transitivo si riferisca non al soggetto grammaticale della frase, ma a un altro partecipante: o partecipante dell’evento della frase, oppure partecipante della conversazione. Un partecipante di cui vogliamo enfatizzare il coinvolgimento. Per esempio:
“Ma che errore mi fai?”
Oppure: “Pensavi di aver padroneggiato la grammatica dell’italiano, eh? Ed ecco che ti salta fuori un’altra regola strana!”
“La prof si lamenta che gli studenti non le fanno i compiti.”
Proviamo a parafrasare queste frasi, cioè a dire - quasi - la stessa cosa (citando un libro di Umberto Eco; questa è una citazione colta), eliminando il pronome e rendendo esplicito il coinvolgimento che si vuole enfatizzare:
“Ma che errore mi fai?” può diventare “Ma che errore fai, che mi provoca così tanto dispiacere? (dato che abbiamo tanto insistito su questo argomento)”
“Ed ecco che ti salta fuori un’altra regola strana” può diventare “Ed ecco che salta fuori un’altra regola strana, e so che la cosa ti dispiacerà”.
Oppure, “La prof si lamenta che gli studenti non le fanno i compiti”, può diventare “La prof si lamenta che gli studenti non fanno i compiti, cosa che per lei sarebbe molto importante.”
Forse, dopo esserti guardato o guardata questo video, non ti faranno più paura questi casi particolari. Se vuoi rileggerti tutte le informazioni di cui abbiamo parlato, se vuoi pure farti gli esercizi, perché vuoi impararti questa regola molto bene, beh… scaricati il PDF che ti lascio in descrizione, oppure apritelo sul telefono usando questo codice. E, se ti vuoi vedere un altro video, te ne lascio adesso uno che ti puoi guardare bevendoti un caffè o un tè, o quello che vuoi tu.
Guardati questo video, ascoltatelo con attenzione, e leggiti bene gli esempi che ti farò. Scoprirai un aspetto un po’ bizzarro della grammatica italiana, ma che è molto comune nella conversazione colloquiale, in italiano. Insomma: scoprirai il motivo per cui dico queste strane frasi, o altre come “mi sono bevuto una birra”, “mi sono mangiato un panino”, “mi sono fatto un bel viaggio”.
Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club
Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno. Trovi la trascrizione integrale di questo video sul mio sito. Come sempre, ho preparato anche un PDF che riassume tutto quello che dico e lo integra con altri esempi ed esercizi. Puoi scaricarlo (o scaricartelo) al link in descrizione, oppure scansionando questo codice QR. Incominciamo!
Guarda queste frasi molto banali:
Ho mangiato una pizza.
Ho bevuto una birra.
Ho comprato un libro.
Ho letto una recensione.
Chi studia italiano può avere molti dubbi sulle sue regole di grammatica, ma ha almeno UNA certezza, a cui si aggrappa con tutte le sue forze: quella che, se nella frase c’è un oggetto diretto (cioè una parola, o un gruppo di parole che è direttamente collegato al verbo senza preposizione, e che completa il significato della frase rispondendo alla domanda “cosa?” o “chi?”), ecco, se c’è l’oggetto diretto, dicevo, allora il verbo ausiliare, nei tempi composti di un verbo, sarà sicuramente “avere”, proprio come negli esempi.
Ho bevuto una birra; ho comprato un libro; ho letto una recensione: ok, questi sono gli oggetti diretti di questi esempi. Tutto regolare. Ma poi, improvvisamente, nella vita dello studente di italiano, succede qualcosa di inatteso, qualcosa di sconvolgente. Si trova di fronte a queste frasi:
La prima è “Mi sono mangiato il mondo”, titolo del libro di Chef Rubio, chef e personaggio televisivo italiano.
La seconda è “Ti sei bevuto il cervello”, altro titolo di altro libro.
Poi abbiamo questo esempio giornalistico: “Quindici anni dal crack Parmalat, così i francesi si sono bevuti il latte italiano”, titolo di un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”.
Procediamo con “Quelli che si sono comprati casa nel metaverso”, sul quotidiano “La Repubblica”.
E finiamo con “Tedua si è letto tutte le vostre critiche, ma ha comunque trovato il Paradiso”, titolo di un articolo sul sito Rolling Stone Italia.
Cos’hanno in comune i titoli che ti ho appena presentato?
Per prima cosa, tutte le frasi contengono dei verbi che chiamiamo “transitivi”, cioè verbi che richiedono un oggetto diretto per completare il significato della frase: mangiare, bere, comprare, leggere… “cosa”? “Qualcosa”. C’è un oggetto che completa la frase o che completa il verbo, per essere più precisi.
In secondo luogo, in tutte le frasi, il tempo composto, in questi esempi il passato prossimo, è formato con l’ausiliare “essere” e non con “avere”.
Infine, ci sono questi strani pronomi personali, mi, ti, si, che… non si capisce a cosa servono, sono superflui, almeno all’apparenza.
Ma facciamoci una domanda: sarebbe davvero la stessa cosa dire “ho mangiato il mondo” invece di “mi sono mangiato il mondo”? Oppure dire “i francesi hanno bevuto il latte italiano” invece di “si sono bevuti il latte italiano”?
Beh, La risposta è: no. Non sarebbe la stessa cosa. Innanzitutto perché questo è un uso tipico della lingua parlata, della lingua colloquiale: quindi, togliendo di mezzo quest’uso, avremmo frasi un po’ più normali, un po’ più blande. Avremmo a che fare con un registro più neutro. Ma non sarebbe la stessa cosa anche perché l’uso dei pronomi personali detti “pleonastici” (cioè, apparentemente, inutili, superflui) con i verbi transitivi (ovvero verbi seguiti da un oggetto diretto) ha una funzione specifica: quella di intensificare il significato del verbo, di dargli un valore affettivo, di indicare una partecipazione più sentita del soggetto (in questi esempi, il soggetto sarebbe: io, tu, i francesi, loro, Tedua). Ti ricordo che, a volte, il soggetto non è espresso: non diciamo “io”, “tu”, “loro”, perché in realtà si capisce che questo è il soggetto implicito (o sottinteso) grazie alla forma a cui si trova il verbo.
E quindi un più intenso coinvolgimento emotivo, in senso, a volte positivo e altre volte negativo. Il soggetto è sia la persona che fa, che, allo stesso tempo, la persona che trae vantaggio (o svantaggio) dal proprio fare.
Se, ad esempio, dico “mi sono mangiato un chilo di pasta”, voglio esprimere il mio coinvolgimento positivo nell’azione, la mia soddisfazione nel mangiarmi un chilo di pasta, il godimento che ne traggo. E ti assicuro che è un grande godimento! Se, al contrario, dico “senza accorgermene, mi sono mangiato il verme che stava nella ciliegia”, sto indicando che l’esperienza non è stata il massimo. Non è stata molto bella…
Ma ritornando ai titoli di prima: nella frase “mi sono mangiato il mondo”, l’uso del pronome personale “mi” con il verbo transitivo “mangiare” esprime un coinvolgimento del soggetto nell’azione di tipo positivo, e infatti il libro è il racconto di una bellissima esperienza dell’autore, di un lungo viaggio, eccetera.
Diversamente, nella frase “i francesi si sono bevuti il latte italiano” l’uso del pronome personale “si” con il verbo transitivo “bere” (bere qualcosa) serve a dare alla frase una connotazione negativa. E, infatti, la storia di questa azienda del latte, come sanno gli italiani, non è delle più positive.
Forse ti sei già accorto che i verbi di cui sto parlando, e che hanno questo comportamento curioso, un po’ bizzarro, sono spesso verbi che descrivono attività biologiche dell’organismo (come, appunto, mangiare e bere) o sensoriali (vedere, guardare, ascoltare), come nei seguenti esempi:
“Mi sono visto un film di Marco Bellocchio l'altra sera.”
“Mi sono guardata una serie in italiano su Netflix.”
“Mi sono ascoltato un podcast, di un’ora, di un critico d’arte che parlava di Caravaggio.”
Quando il coinvolgimento del soggetto nell’azione è di tipo positivo, è frequente, anche, aggiungere, per dare più enfasi, anche un aggettivo di qualità, come, ad esempio, “bello”, “bellissimo”, “bravo”, “bravissimo”.
E quindi:
“Mi sono visto un bel film di Marco Bellocchio.”
“Mi sono guardato una bella serie in italiano su Netflix.“
“Mi sono ascoltato un bel podcast, di un’ora, di un bravo critico che parlava di Caravaggio.”
Un verbo che spesso si usa in questo modo è fare, un verbo così comune che, si potrebbe dire, è un verbo… tuttofare. A questo proposito, guardiamoci qualche video:
“Ci siamo fatti una bella passeggiata, dal Duomo fino alla stazione…”
“È davvero un bel film molto carino per rilassarti e farti quattro risate.”
“Nel 1975, Diane e suo marito Peter avevano deciso di farsi una vacanza nella contea di Norfolk, in Inghilterra…”
Nei tre video abbiamo sentito queste frasi:
Ci siamo fatti una bella passeggiata, dal Duomo fino alla stazione.
È davvero un bel film molto carino per rilassarti e farti quattro risate.
Nel 1975, Diane e suo marito Peter avevano deciso di farsi una vacanza nella contea di Norfolk, in Inghilterra.
In tutte e tre le frasi, il verbo transitivo “fare” (come prima abbiamo visto per “mangiare”, “bere”, “guardare”, “ascoltare”) è accompagnato da un pronome personale che, apparentemente, non servirebbe, si potrebbe anche togliere; e, nei tempi composti, dall’ausiliare “essere” (“ci siamo fatti”). Ma, come abbiamo detto, si nasconde dietro questo uso, apparentemente un po’ strano e inutile, una più intensa partecipazione del soggetto. Ma anche una maggiore informalità: sono frasi tipiche della lingua di tutti i giorni, della lingua parlata.
Facendo una riflessione linguistica più profonda, possiamo affermare, come fanno alcuni linguisti, che si tratta semplicemente di un uso riflessivo di questi verbi, che li rende perciò simili ad altri verbi come lavarsi, vestirsi, truccarsi, verbi che probabilmente conosci bene. In questi verbi l’oggetto e il soggetto coincidono: “mi lavo” significa “io lavo me stesso”; “ti vesti” significa “tu vesti te stesso” o “te stessa”. In senso stretto, questi sono i veri verbi riflessivi: quando il soggetto è anche l’oggetto.
Ma si potrebbe anche estendere la nostra definizione di verbi riflessivi e considerare “riflessivo” anche qualsiasi verbo che ha un oggetto diverso dal soggetto, ma che è comunque accompagnato da un pronome che, in qualche modo, indica il soggetto stesso, un “vantaggio” per quel soggetto. Se dico “mi sono fatto una bella passeggiata” il soggetto è “io”, l’oggetto è “una bella passeggiata”. Quel “mi” indica un vantaggio per il soggetto, per me. È come dire “a me”, “per me”, “a mio vantaggio”. Il soggetto è sia punto di partenza che punto di arrivo dell’evento descritto dal verbo, anche se l’oggetto è un altro.
Se gli esempi che abbiamo visto ti sembrano un po’ colloquiali, beh, lo sono. Ma ci sono, in realtà, casi simili ma più normali, più standard, in cui l’uso pronominale con l’oggetto, in realtà, è la norma, ed è l’unica possibilità. A volte, in una frase con verbo transitivo e pronome “pleonastico” (cioè, come abbiamo detto, “superfluo”) che si riferisce al soggetto, l’oggetto diretto indica una parte del corpo, come, per esempio, in “soffiarsi il naso”, “grattarsi la testa”, “rompersi una gamba”. Per esempio:
Tua nonna si è soffiata il naso e ha fatto un rumore incredibile!
Mi sono grattato la testa e mi sono fatto male.
Il mio vicino di casa, ieri, si è rotto una gamba cadendo dalle scale.
Oppure, l’oggetto indica vestiti o accessori che appartengono al soggetto, come in:
Mio nonno si è tagliato la barba.
L’uomo si è tolto il cappello.
Mara si è messa gli occhiali.
Tradizionalmente, questi si chiamano “riflessivi apparenti”: sono verbi che sembrano riflessivi, ma che hanno un oggetto che non coincide con il soggetto, e quindi non rientrano nella “tradizionale” definizione di riflessivo, cioè “verbo in cui il soggetto e l’oggetto coincidono”.
“Mi lavo” significa “lavo me”. Io lavo me stesso. “Io” e “me stesso” siamo la stessa cosa, no? Mentre “mi lavo una gamba”, beh, “io lavo a me stesso una gamba”. “Io” e “la mia gamba” siamo due cose diverse. Anche se la mia gamba, forse, si può dire che fa parte di me… ma questo è un altro discorso.
A differenza di altre lingue europee (come il francese, l’inglese, il tedesco), in italiano non ci piace usare l’aggettivo possessivo. Cioè, non diciamo:
“Tua nonna ha soffiato il suo naso.”
Oppure, “ho grattato la mia testa.”
“Il vicino ha rotto la sua gamba.”
Così come non diciamo:
“Mio nonno ha tagliato la sua barba.”
“L’uomo ha tolto il suo cappello.”
“Mara ha messo i suoi occhiali.”
Sono frasi strane in italiano.
Infine, c’è un altro uso simile che è curioso. Può capitare che il pronome pleonastico (quindi questo pronome superfluo, all’apparenza) che accompagna il verbo transitivo si riferisca non al soggetto grammaticale della frase, ma a un altro partecipante: o partecipante dell’evento della frase, oppure partecipante della conversazione. Un partecipante di cui vogliamo enfatizzare il coinvolgimento. Per esempio:
“Ma che errore mi fai?”
Oppure: “Pensavi di aver padroneggiato la grammatica dell’italiano, eh? Ed ecco che ti salta fuori un’altra regola strana!”
“La prof si lamenta che gli studenti non le fanno i compiti.”
Proviamo a parafrasare queste frasi, cioè a dire - quasi - la stessa cosa (citando un libro di Umberto Eco; questa è una citazione colta), eliminando il pronome e rendendo esplicito il coinvolgimento che si vuole enfatizzare:
“Ma che errore mi fai?” può diventare “Ma che errore fai, che mi provoca così tanto dispiacere? (dato che abbiamo tanto insistito su questo argomento)”
“Ed ecco che ti salta fuori un’altra regola strana” può diventare “Ed ecco che salta fuori un’altra regola strana, e so che la cosa ti dispiacerà”.
Oppure, “La prof si lamenta che gli studenti non le fanno i compiti”, può diventare “La prof si lamenta che gli studenti non fanno i compiti, cosa che per lei sarebbe molto importante.”
Forse, dopo esserti guardato o guardata questo video, non ti faranno più paura questi casi particolari. Se vuoi rileggerti tutte le informazioni di cui abbiamo parlato, se vuoi pure farti gli esercizi, perché vuoi impararti questa regola molto bene, beh… scaricati il PDF che ti lascio in descrizione, oppure apritelo sul telefono usando questo codice. E, se ti vuoi vedere un altro video, te ne lascio adesso uno che ti puoi guardare bevendoti un caffè o un tè, o quello che vuoi tu.
Scarica trascrizione in PDF