Il mito sul congiuntivo
Note e risorse
Il congiuntivo ha sempre un significato? In questo video smontiamo un mito comune e scopriamo quando è pura forma senza valore semantico.
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Nello scorso video, abbiamo visto che il congiuntivo in italiano non è morto e che gli italiani ne sono, in un certo senso, ossessionati. Cioè, sia dal congiuntivo sia dall’idea che sia morto (o moribondo). Oggi continuiamo a parlare del congiuntivo, ma da un altro punto di vista: affronteremo quello che, secondo alcuni linguisti, è un vero e proprio mito sul congiuntivo; un mito che può essere, a mio avviso, una trappola per gli studenti di italiano, soprattutto quelli che non hanno il congiuntivo nella propria lingua, cioè il mito che il congiuntivo abbia sempre un significato.
Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club
Sono Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno. La trascrizione integrale del video è sul mio sito. Come sempre, ho preparato un PDF che riassume tutto quello che dico: puoi scaricarlo al link descrizione oppure scansionando questo codice QR. Incominciamo!
Se sfogliamo una qualsiasi grammatica di italiano per stranieri è molto probabile che ci imbatteremo in affermazioni come “il congiuntivo presenta l’azione espressa dal verbo come incerta, ipotizzabile, desiderata, dubbia o soggettiva” o ancora, “il congiuntivo presenta un’azione o un fatto come incerti, separati, possibili, dubbi e comunque legati a un’opinione, a un desiderio, a una volontà personale”. Troviamo affermazioni simili anche in grammatiche per italiani: “il congiuntivo è il modo verbale della possibilità, dell’incertezza e del desiderio”. In una grammatica si dice che “il congiuntivo indica un certo grado di allontanamento dalla realtà, presentando un fatto come desiderato, temuto, presunto”. Insomma, stando a queste definizioni, sembra che il congiuntivo abbia un significato di base, un significato di fondo con varie sfumature. Si va dalla possibilità all’incertezza, dal desiderio alla volontà, dal timore al giudizio soggettivo. In generale, potremmo riassumere questi significati con un’etichetta: l’etichetta di non-realtà. Il congiuntivo servirebbe a esprimere ciò che non è reale o non è fattuale, al contrario dell’indicativo che, tradizionalmente, è considerato il “modo della realtà, dei fatti, delle cose concrete e reali”. Ma sarà vero?
A parte il fatto che l’indicativo può essere usato per fatti non reali: cioè, se dico “a quest’ora, Mario sarà già arrivato a Roma”, beh, questa è un’ipotesi, non è un fatto. E se dico: “forse Mario è arrivato” quel “forse” è sufficiente a esprimere un dubbio su un fatto che, quindi, non è più reale. A parte questo, dicevo, c’è un caso evidente in cui l’idea tradizionale di un congiuntivo con un significato proprio è sicuramente vera: sto parlando del congiuntivo nelle frasi principali, cioè quelle frasi che non dipendono da altre frasi. Per esempio “il ministro dia una risposta”: qui il congiuntivo “dia” si usa per esprimere un desiderio, un auspicio, fare un’esortazione. Quindi qualcosa di non-reale. Cioè, sarebbe ben diverso dire “il politico dà una risposta”, che sarebbe un fatto reale; oppure, “magari avessi vent’anni!”: con il congiuntivo, qui, esprimo rammarico per qualcosa che, chiaramente… beh, non è reale. Non ho vent’anni.
Confrontiamo, ora, queste tre frasi:
“Luca viene con noi in vacanza”,
“Luca verrebbe con noi in vacanza” e
“Luca venga con noi in vacanza”.
Nel primo caso, abbiamo a che fare con un’affermazione, che è all’indicativo: Luca viene davvero con noi in vacanza. È reale.
Nella seconda, Luca verrebbe con noi in vacanza: il significato più probabile è che verrebbe con noi a una certa condizione. Non sappiamo quale. Verrebbe “potenzialmente”, diciamo.
La terza frase, invece, con il congiuntivo, è un’esortazione, forse addirittura una sorta di minaccia. Luca venga con noi in vacanza (o la pagherà cara!), per esempio.
Qui, ciascuno dei modi verbali ha un significato diverso: il congiuntivo qui si alterna con l’indicativo e condizionale per esprimere un suo significato proprio. Queste, dicevamo, sono frasi principali, frasi indipendenti: possono esistere da sole. Ma questo è un caso minoritario dove troviamo il congiuntivo, perché il congiuntivo si usa soprattutto, nella stragrande maggioranza dei casi, in frasi subordinate, frasi che dipendono da altre frasi, che si legano ad altre frasi a un livello grammaticale, no? A livello di sintassi.
Molto spesso sono frasi introdotte da “che”, come “credo che tu abbia ragione”. Ma qui perché c’è un congiuntivo? Perché diciamo “abbia” e non “hai ragione”? Beh, perché lo richiede il verbo “credere”. Almeno, se parliamo in un registro non troppo informale, quindi nella lingua standard, possiamo dire. Ora, evidentemente qui c’è un’idea di dubbio, di incertezza, di non-realtà: è un’opinione, dopotutto. Non sto dicendo “so per certo”, ma “credo”. Ma da cosa lo capiamo? Dal verbo “credo” o dal congiuntivo “abbia”? Beh, ovviamente dal verbo “credo”: se “credo”, non sono certo di qualcosa, non presento quella cosa come un fatto reale. Qui, il congiuntivo sembra più che altro essere un meccanismo grammaticale, un automatismo innescato dal verbo “credere”: cioè, il congiuntivo, per intenderci, non rende l’opinione meno “reale”, per così dire, più “lontana” dalla realtà, in qualche modo. Dopotutto, se dico “credo che hai ragione” questa è una frase informale, tipica del parlato, che in contesti un filo più formali si evita. Detto ciò, non è una frase ambigua, non causa nessuna incomprensione, perché? Perché il significato è esattamente lo stesso della frase con il congiuntivo. Cioè, non è che se uso l’indicativo il fatto è più reale, se uso il congiuntivo il fatto è meno reale: no. Cioè, in frasi subordinate come questa, la differenza è solo nel registro: con il congiuntivo la frase è un po’ più formale o più elegante, e con l’indicativo è più informale e… più terra terra.
Vediamo invece che succede se uso il condizionale: “credo che avresti ragione”. Qui, il condizionale porta un significato proprio e il senso della frase cambia: “avresti ragione”, che significa? “Avresti ragione, potenzialmente, se prendessi questa decisione”, per esempio. Il condizionale, dunque, ha un suo significato: non è solo una variante più elegante dell’indicativo che scatta in automatico, almeno in una lingua standard, come sarebbe il congiuntivo, in questa stessa frase. Non so se è chiara la differenza. Ora, attenzione, le frasi subordinate possono benissimo avere verbi all’indicativo: “so che Fabio è un buon insegnante”, oppure “ho scoperto che Giulio si vuole iscrivere in palestra”. Dipende sempre dal verbo nella frase reggente. A prima vista, potresti pensare: “ma, Davide, qui usiamo l’indicativo perché stiamo parlando di fatti reali”! Ora, certo, se sappiamo qualcosa, se scopriamo qualcosa, parliamo di cose vere, di cose reali; mentre se crediamo e immaginiamo, dubitiamo, vogliamo, parliamo di opinioni oppure di volontà, quindi esprimiamo cose “non reali”, fatti “non reali”. Ma anche qui, questo dipende interamente dal verbo della reggente (“so”, “ho scoperto”, in queste frasi): è quel verbo che ci fa capire se stiamo parlando di fatti reali, come in questo caso, oppure no. Il congiuntivo, quindi, non è una libera scelta come il condizionale: dipende sempre dal verbo reggente o dalla costruzione della frase da cui dipende.
Guarda la differenza: con il condizionale, anche qui, potrei liberamente dire “so che Fabio sarebbe un buon insegnante”, “ho scoperto che Giulio si vorrebbe iscrivere in palestra” e quindi il condizionale è una possibilità che serve davvero a far cambiare il significato della frase. Tra l’altro, il condizionale, in questi esempi, serve davvero a trasmettere un’idea di non-realtà: cioè so che Fabio sarebbe, potenzialmente, ma non lo è, ma lo sarebbe, un buon insegnante!
Detto questo, possiamo osservare che, se il verbo della reggente ha a che vedere con opinioni, pensieri, volontà, dubbi e così via (quindi credo, penso, immagino, non so, dubito, voglio…), la conseguenza è che si avrà quasi sempre un congiuntivo nella subordinata che lo completa, cioè, quasi sempre, in effetti, e così. Per esempio, “voglio che tu me lo dica subito”, “dubito che le cose siano andate così”. E, quindi, potremmo pensare che, dopotutto, un legame con questa non-realtà, il congiuntivo, ce l’abbia. Il punto che voglio sottolineare è che è il verbo della reggente, o la costruzione che c’è nella frase reggente, che esprime tutte queste “belle” cose (volere, dubbio, opinione, incertezza), non il congiuntivo che, al massimo, è la conseguenza, ma che non aggiunge significato.
Ci sono anche dei contro-esempi, tra l’altro; vediamo ora questi casi:
“Ho sognato che ero a New York e nevicava fortissimo”: il contenuto di un sogno non è reale, eppure il verbo della subordinata è all’indicativo. Certo, magari, il verbo “sognare” è un caso particolare. Ma diamo, allora, un’occhiata a casi come questi:
“È normale che abbiano licenziato tuo fratello.”
“Mi dispiace che tu ti senta triste”.
“Sono felice che Mara sia guarita”.
Di certo, qui, non possiamo parlare di dubbio o incertezza, di allontanamento della realtà… perché tutti i fatti che qui sono espressi dai verbi al congiuntivo sono fatti reali, cioè hanno davvero licenziato tuo fratello, tu ti senti davvero triste e Mara è davvero guarita. Potremmo, forse, parlare di “congiuntivo della realtà”. Ora, potrai dirmi “Davide, qui si usa il congiuntivo perché stiamo esprimendo dei giudizi” e, in effetti, spesso, le grammatiche tirano in ballo questa idea di giudizio, di valutazione soggettiva per giustificare il congiuntivo, e quindi, in un certo senso, appartiene sempre alla nostra sfera interiore, no? Come i dubbi, come le volontà, le opinioni. Ok, ma attenzione: questi giudizi e queste valutazioni soggettive si trovano sempre nella frase reggente, cioè la frase che regge la subordinata. “È normale”, “mi dispiace”, “sono felice”: questi sono i giudizi, no? Il giudizio si trova qui e non nella frase al congiuntivo che, invece, in questi casi parla di cose reali, di fatti realmente accaduti. E quindi, anche qui, la scelta del congiuntivo anziché dell’indicativo non aggiunge un significato particolare e, di certo, non sta presentando nella maniera più assoluta fatti “irreali”. Sembra più un meccanismo, un’automatismo innescato da certi verbi e certe costruzioni.
Ora, posso anche dire, in questi casi, “mi dispiace che ti senti così” o “sono felice che Mara è guarita”. In che senso, posso dirle? Posso dirle nel senso che gli italiani le dicono e non finisco in carcere, se le dico. Queste frasi senza congiuntivo sono piuttosto comuni in un registro informale e sono, forse, più accettabili, almeno al mio orecchio, di frasi come “credo che Giovanni è un buon insegnante”, no? Qui, io direi, tendenzialmente, “sia”. Ma, comunque, in un registro medio-alto, il congiuntivo rimane senz’altro la scelta più comune.
E dunque, sta venendo fuori da questo video un’idea di congiuntivo diversa. Il congiuntivo, aldilà delle frasi principali, il congiuntivo nelle frasi subordinate servirebbe semplicemente a indicare che una frase, appunto, è subordinata, senza portare un significato proprio. Alcuni linguisti lo chiamano “un indicatore di subordinazione”. Ma ripeto: questo non vuol dire che le frasi subordinate abbiano sempre, automaticamente, il congiuntivo, perché in alcuni casi hanno l’indicativo: “siccome piove, non esco”, “dopo che sei uscito ho acceso la TV”.
Peraltro, le grammatiche tradizionali hanno sempre parlato anche di questa funzione sintattica del congiuntivo nelle frasi subordinate, ma senza rinunciare del tutto alla funzione semantica, cioè a questo significato di base; e quindi un colpo al cerchio e uno alla botte, come si suol dire. Forse sei ancora scettico, o scettica, e ci sta. Dopotutto l’idea di un significato globale del congiuntivo si trova in tutte le grammatiche, o quasi tutte, almeno, e viene ripetuta da ogni insegnante. E l’ho fatto anch’io con i miei studenti, per anni, tra l’altro.
Vediamo ora dei casi ancora più lampanti, forse, in cui l’idea di un significato “proprio” del modo congiuntivo non è assolutamente sostenibile. Vediamo casi di subordinate diverse da quelle che abbiamo visto finora, subordinate che sono un po’ meno collegate, meno integrate, rispetto alla frase reggente, e che sono introdotte da congiunzioni di vario tipo, per esempio:
“Nonostante piova, esco”. Qui, la subordinata è “nonostante piova” e abbiamo il congiuntivo. Ora, nel parlato, si può dire e si dice più spesso “anche se piove, esco” con l’indicativo. Ma l’idea è la stessa: piove, ma io esco lo stesso. La pioggia non mi ostacola. Con “nonostante”, quindi, ci vuole il congiuntivo. Ripeto, almeno in un registro non troppo formale. Con “anche se” ci vuole l’indicativo. Nessuna differenza di significato: il modo dipende dalla congiunzione.
Ora, osserviamo che, in entrambe queste frasi, si parla di qualcosa di molto reale: la pioggia è vera, sia che io dica “nonostante piova” sia “anche se piove”. Non è “meno reale” nel primo caso. E qui non c’è nemmeno una componente soggettiva che potremmo chiamare in causa: semplicemente bisogna sapere che con “nonostante” ci vuole il congiuntivo e non farsi troppe domande. Ma, come dicevo prima, ci sono congiunzioni che vogliono l’indicativo: “siccome piove, non esco”, non esco perché piove; o “dopo che è piovuto, sono uscito”.
E, quindi, il congiuntivo, a parte quei casi che non sono così comuni nelle frasi principali, nelle frasi subordinate, è sempre pura forma, senza alcun significato? Forse non sempre. Possiamo considerare frasi come queste:
“Cerco un cane che ha il pelo nero”.
“Cerco un cane che abbia il pelo nero”.
Nel primo caso, abbiamo a che fare con un cane reale, magari il mio cane, che si è smarrito e che sto cercando: cerco un cane che ha il pelo nero. Nel secondo caso abbiamo a che fare con un cane ipotetico, di cui esplicito le caratteristiche che deve avere: questo è un caso in cui cerco un cane che abbia il pelo nero, deve essere così. Questo è un caso in cui il congiuntivo sembra avere, forse, un suo significato, ma anche se non tutti gli studiosi sono d’accordo. Oppure, abbiamo un caso come questo:
“Te l’ho detto perché tu mi capisci”.
“Te l’ho detto perché tu mi capisca”.
Nel primo caso, “perché tu mi capisci” è la causa: ti ho detto questa cosa, perché so che mi capisci e non mi giudichi, per esempio, quindi sei la persona giusta a cui dire questa cosa. Nel secondo caso, invece, abbiamo a che fare con un fine, con un obiettivo: te l’ho detto perché, cioè affinché, tu mi capisca. Ma, nel parlato, però, è più comune un’altra costruzione: “te l’ho detto per farti capire”. Qui sembra che il congiuntivo abbia un valore, un suo significato, perché, usandolo, il significato della frase cambia e diventa non-reale, cioè un fine, un obiettivo, è un fatto non-reale; ma si potrebbe anche spiegare così: i due “perché” sono due congiunzioni diverse, che hanno lo stesso suono ma sono diverse, e quindi un “perché” causale che vuole il negativo e un “perché” finale che vuole il congiuntivo.
Insomma, la materia è complicata e ci sono anche altre posizioni sul congiuntivo che sono state proposte, ma che non ho spiegato nel video. L’idea importante che volevo trasmettere è questa: per moltissimo tempo, le grammatiche e gli insegnanti di italiano hanno insistito sull’idea di un significato globale del congiuntivo e, in generale, di un significato del congiuntivo. E, a dire il vero, questo è ancora l’idea predominante, l’idea mainstream, che io stesso ho ripetuto spesso ai miei studenti. La realtà è che bisogna valutare caso per caso e non pensare che il congiuntivo, così come anche l’indicativo, a dire il vero, abbia un significato generale o abbia, in generale, sempre un significato. A volte ce l’ha, sicuramente nelle frasi principali, a volte è pura forma che non ha significato. La nostra tendenza, forse umana, è quella di voler trovare sempre una motivazione ai fatti linguistici, anche quando non c’è.
Ora non voglio essere frainteso con questo video, non sto dicendo assolutamente che si può fare a meno del congiuntivo. Il congiuntivo è fondamentale in italiano, è un aspetto costitutivo e caratteristico della lingua italiana. E, se vogliamo parlare o scrivere in italiano standard, e non comunicare solo in maniera informale, è indispensabile, almeno a partire da un livello intermedio in su.
Vorrei poter andare nel dettaglio e parlarti per ore del congiuntivo in italiano, ma… purtroppo non ho que… aspetta, lo posso fare! E l’ho fatto, nella mia sfida “Il congiuntivo di 30 giorni” sviscero questo argomento in profondità, aiutandoti a capire ogni suo segreto. Sono davvero orgoglioso di questo corso perché penso proprio ti aiuterà a padroneggiare davvero il congiuntivo scoprendo tutti i casi in cui si usa, andando al di là di un significato globale del congiuntivo, quando questo significato non c’è, ma parlando invece del significato quando ce l’ha o forse ce l’ha. Non sempre siamo sicuri, come abbiamo visto. Il corso contiene 30 lezioni con 15 video e avrà luogo durante il mese di aprile, quindi è un corso “dal vivo”, in un certo senso. Ogni due giorni avrai un video, avrai quindi 15 video su 30 giorni, ma anche ripassi ed esercizi, molti esercizi. Quindi l’idea è che ogni giorno avrai del lavoro da fare. L’idea di dedicare 15 o 30 minuti di lavoro per un mese, per 30 giorni, in modo da arrivare a capire come funziona il congiuntivo una volta per tutte e a saperlo usare bene. E anche a fare un figurone con gli italiani che, come abbiamo detto, sono così fissati col congiuntivo, sono ossessionati. Quindi, se t’interessa, la sfida inizia il 1 aprile (e non è un pesce d’aprile). Le vendite sono aperte da adesso: puoi acquistare il corso fino al 31 di marzo. Poi le iscrizioni chiuderanno, definitivamente, e il corso non sarà più acquistabile. Ti lascio il link descrizione per scoprire “Il congiuntivo di 30 giorni” oppure qui, a fianco a me.
Nello scorso video, abbiamo visto che il congiuntivo in italiano non è morto e che gli italiani ne sono, in un certo senso, ossessionati. Cioè, sia dal congiuntivo sia dall’idea che sia morto (o moribondo). Oggi continuiamo a parlare del congiuntivo, ma da un altro punto di vista: affronteremo quello che, secondo alcuni linguisti, è un vero e proprio mito sul congiuntivo; un mito che può essere, a mio avviso, una trappola per gli studenti di italiano, soprattutto quelli che non hanno il congiuntivo nella propria lingua, cioè il mito che il congiuntivo abbia sempre un significato.
Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club
Sono Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno. La trascrizione integrale del video è sul mio sito. Come sempre, ho preparato un PDF che riassume tutto quello che dico: puoi scaricarlo al link descrizione oppure scansionando questo codice QR. Incominciamo!
Se sfogliamo una qualsiasi grammatica di italiano per stranieri è molto probabile che ci imbatteremo in affermazioni come “il congiuntivo presenta l’azione espressa dal verbo come incerta, ipotizzabile, desiderata, dubbia o soggettiva” o ancora, “il congiuntivo presenta un’azione o un fatto come incerti, separati, possibili, dubbi e comunque legati a un’opinione, a un desiderio, a una volontà personale”. Troviamo affermazioni simili anche in grammatiche per italiani: “il congiuntivo è il modo verbale della possibilità, dell’incertezza e del desiderio”. In una grammatica si dice che “il congiuntivo indica un certo grado di allontanamento dalla realtà, presentando un fatto come desiderato, temuto, presunto”. Insomma, stando a queste definizioni, sembra che il congiuntivo abbia un significato di base, un significato di fondo con varie sfumature. Si va dalla possibilità all’incertezza, dal desiderio alla volontà, dal timore al giudizio soggettivo. In generale, potremmo riassumere questi significati con un’etichetta: l’etichetta di non-realtà. Il congiuntivo servirebbe a esprimere ciò che non è reale o non è fattuale, al contrario dell’indicativo che, tradizionalmente, è considerato il “modo della realtà, dei fatti, delle cose concrete e reali”. Ma sarà vero?
A parte il fatto che l’indicativo può essere usato per fatti non reali: cioè, se dico “a quest’ora, Mario sarà già arrivato a Roma”, beh, questa è un’ipotesi, non è un fatto. E se dico: “forse Mario è arrivato” quel “forse” è sufficiente a esprimere un dubbio su un fatto che, quindi, non è più reale. A parte questo, dicevo, c’è un caso evidente in cui l’idea tradizionale di un congiuntivo con un significato proprio è sicuramente vera: sto parlando del congiuntivo nelle frasi principali, cioè quelle frasi che non dipendono da altre frasi. Per esempio “il ministro dia una risposta”: qui il congiuntivo “dia” si usa per esprimere un desiderio, un auspicio, fare un’esortazione. Quindi qualcosa di non-reale. Cioè, sarebbe ben diverso dire “il politico dà una risposta”, che sarebbe un fatto reale; oppure, “magari avessi vent’anni!”: con il congiuntivo, qui, esprimo rammarico per qualcosa che, chiaramente… beh, non è reale. Non ho vent’anni.
Confrontiamo, ora, queste tre frasi:
“Luca viene con noi in vacanza”,
“Luca verrebbe con noi in vacanza” e
“Luca venga con noi in vacanza”.
Nel primo caso, abbiamo a che fare con un’affermazione, che è all’indicativo: Luca viene davvero con noi in vacanza. È reale.
Nella seconda, Luca verrebbe con noi in vacanza: il significato più probabile è che verrebbe con noi a una certa condizione. Non sappiamo quale. Verrebbe “potenzialmente”, diciamo.
La terza frase, invece, con il congiuntivo, è un’esortazione, forse addirittura una sorta di minaccia. Luca venga con noi in vacanza (o la pagherà cara!), per esempio.
Qui, ciascuno dei modi verbali ha un significato diverso: il congiuntivo qui si alterna con l’indicativo e condizionale per esprimere un suo significato proprio. Queste, dicevamo, sono frasi principali, frasi indipendenti: possono esistere da sole. Ma questo è un caso minoritario dove troviamo il congiuntivo, perché il congiuntivo si usa soprattutto, nella stragrande maggioranza dei casi, in frasi subordinate, frasi che dipendono da altre frasi, che si legano ad altre frasi a un livello grammaticale, no? A livello di sintassi.
Molto spesso sono frasi introdotte da “che”, come “credo che tu abbia ragione”. Ma qui perché c’è un congiuntivo? Perché diciamo “abbia” e non “hai ragione”? Beh, perché lo richiede il verbo “credere”. Almeno, se parliamo in un registro non troppo informale, quindi nella lingua standard, possiamo dire. Ora, evidentemente qui c’è un’idea di dubbio, di incertezza, di non-realtà: è un’opinione, dopotutto. Non sto dicendo “so per certo”, ma “credo”. Ma da cosa lo capiamo? Dal verbo “credo” o dal congiuntivo “abbia”? Beh, ovviamente dal verbo “credo”: se “credo”, non sono certo di qualcosa, non presento quella cosa come un fatto reale. Qui, il congiuntivo sembra più che altro essere un meccanismo grammaticale, un automatismo innescato dal verbo “credere”: cioè, il congiuntivo, per intenderci, non rende l’opinione meno “reale”, per così dire, più “lontana” dalla realtà, in qualche modo. Dopotutto, se dico “credo che hai ragione” questa è una frase informale, tipica del parlato, che in contesti un filo più formali si evita. Detto ciò, non è una frase ambigua, non causa nessuna incomprensione, perché? Perché il significato è esattamente lo stesso della frase con il congiuntivo. Cioè, non è che se uso l’indicativo il fatto è più reale, se uso il congiuntivo il fatto è meno reale: no. Cioè, in frasi subordinate come questa, la differenza è solo nel registro: con il congiuntivo la frase è un po’ più formale o più elegante, e con l’indicativo è più informale e… più terra terra.
Vediamo invece che succede se uso il condizionale: “credo che avresti ragione”. Qui, il condizionale porta un significato proprio e il senso della frase cambia: “avresti ragione”, che significa? “Avresti ragione, potenzialmente, se prendessi questa decisione”, per esempio. Il condizionale, dunque, ha un suo significato: non è solo una variante più elegante dell’indicativo che scatta in automatico, almeno in una lingua standard, come sarebbe il congiuntivo, in questa stessa frase. Non so se è chiara la differenza. Ora, attenzione, le frasi subordinate possono benissimo avere verbi all’indicativo: “so che Fabio è un buon insegnante”, oppure “ho scoperto che Giulio si vuole iscrivere in palestra”. Dipende sempre dal verbo nella frase reggente. A prima vista, potresti pensare: “ma, Davide, qui usiamo l’indicativo perché stiamo parlando di fatti reali”! Ora, certo, se sappiamo qualcosa, se scopriamo qualcosa, parliamo di cose vere, di cose reali; mentre se crediamo e immaginiamo, dubitiamo, vogliamo, parliamo di opinioni oppure di volontà, quindi esprimiamo cose “non reali”, fatti “non reali”. Ma anche qui, questo dipende interamente dal verbo della reggente (“so”, “ho scoperto”, in queste frasi): è quel verbo che ci fa capire se stiamo parlando di fatti reali, come in questo caso, oppure no. Il congiuntivo, quindi, non è una libera scelta come il condizionale: dipende sempre dal verbo reggente o dalla costruzione della frase da cui dipende.
Guarda la differenza: con il condizionale, anche qui, potrei liberamente dire “so che Fabio sarebbe un buon insegnante”, “ho scoperto che Giulio si vorrebbe iscrivere in palestra” e quindi il condizionale è una possibilità che serve davvero a far cambiare il significato della frase. Tra l’altro, il condizionale, in questi esempi, serve davvero a trasmettere un’idea di non-realtà: cioè so che Fabio sarebbe, potenzialmente, ma non lo è, ma lo sarebbe, un buon insegnante!
Detto questo, possiamo osservare che, se il verbo della reggente ha a che vedere con opinioni, pensieri, volontà, dubbi e così via (quindi credo, penso, immagino, non so, dubito, voglio…), la conseguenza è che si avrà quasi sempre un congiuntivo nella subordinata che lo completa, cioè, quasi sempre, in effetti, e così. Per esempio, “voglio che tu me lo dica subito”, “dubito che le cose siano andate così”. E, quindi, potremmo pensare che, dopotutto, un legame con questa non-realtà, il congiuntivo, ce l’abbia. Il punto che voglio sottolineare è che è il verbo della reggente, o la costruzione che c’è nella frase reggente, che esprime tutte queste “belle” cose (volere, dubbio, opinione, incertezza), non il congiuntivo che, al massimo, è la conseguenza, ma che non aggiunge significato.
Ci sono anche dei contro-esempi, tra l’altro; vediamo ora questi casi:
“Ho sognato che ero a New York e nevicava fortissimo”: il contenuto di un sogno non è reale, eppure il verbo della subordinata è all’indicativo. Certo, magari, il verbo “sognare” è un caso particolare. Ma diamo, allora, un’occhiata a casi come questi:
“È normale che abbiano licenziato tuo fratello.”
“Mi dispiace che tu ti senta triste”.
“Sono felice che Mara sia guarita”.
Di certo, qui, non possiamo parlare di dubbio o incertezza, di allontanamento della realtà… perché tutti i fatti che qui sono espressi dai verbi al congiuntivo sono fatti reali, cioè hanno davvero licenziato tuo fratello, tu ti senti davvero triste e Mara è davvero guarita. Potremmo, forse, parlare di “congiuntivo della realtà”. Ora, potrai dirmi “Davide, qui si usa il congiuntivo perché stiamo esprimendo dei giudizi” e, in effetti, spesso, le grammatiche tirano in ballo questa idea di giudizio, di valutazione soggettiva per giustificare il congiuntivo, e quindi, in un certo senso, appartiene sempre alla nostra sfera interiore, no? Come i dubbi, come le volontà, le opinioni. Ok, ma attenzione: questi giudizi e queste valutazioni soggettive si trovano sempre nella frase reggente, cioè la frase che regge la subordinata. “È normale”, “mi dispiace”, “sono felice”: questi sono i giudizi, no? Il giudizio si trova qui e non nella frase al congiuntivo che, invece, in questi casi parla di cose reali, di fatti realmente accaduti. E quindi, anche qui, la scelta del congiuntivo anziché dell’indicativo non aggiunge un significato particolare e, di certo, non sta presentando nella maniera più assoluta fatti “irreali”. Sembra più un meccanismo, un’automatismo innescato da certi verbi e certe costruzioni.
Ora, posso anche dire, in questi casi, “mi dispiace che ti senti così” o “sono felice che Mara è guarita”. In che senso, posso dirle? Posso dirle nel senso che gli italiani le dicono e non finisco in carcere, se le dico. Queste frasi senza congiuntivo sono piuttosto comuni in un registro informale e sono, forse, più accettabili, almeno al mio orecchio, di frasi come “credo che Giovanni è un buon insegnante”, no? Qui, io direi, tendenzialmente, “sia”. Ma, comunque, in un registro medio-alto, il congiuntivo rimane senz’altro la scelta più comune.
E dunque, sta venendo fuori da questo video un’idea di congiuntivo diversa. Il congiuntivo, aldilà delle frasi principali, il congiuntivo nelle frasi subordinate servirebbe semplicemente a indicare che una frase, appunto, è subordinata, senza portare un significato proprio. Alcuni linguisti lo chiamano “un indicatore di subordinazione”. Ma ripeto: questo non vuol dire che le frasi subordinate abbiano sempre, automaticamente, il congiuntivo, perché in alcuni casi hanno l’indicativo: “siccome piove, non esco”, “dopo che sei uscito ho acceso la TV”.
Peraltro, le grammatiche tradizionali hanno sempre parlato anche di questa funzione sintattica del congiuntivo nelle frasi subordinate, ma senza rinunciare del tutto alla funzione semantica, cioè a questo significato di base; e quindi un colpo al cerchio e uno alla botte, come si suol dire. Forse sei ancora scettico, o scettica, e ci sta. Dopotutto l’idea di un significato globale del congiuntivo si trova in tutte le grammatiche, o quasi tutte, almeno, e viene ripetuta da ogni insegnante. E l’ho fatto anch’io con i miei studenti, per anni, tra l’altro.
Vediamo ora dei casi ancora più lampanti, forse, in cui l’idea di un significato “proprio” del modo congiuntivo non è assolutamente sostenibile. Vediamo casi di subordinate diverse da quelle che abbiamo visto finora, subordinate che sono un po’ meno collegate, meno integrate, rispetto alla frase reggente, e che sono introdotte da congiunzioni di vario tipo, per esempio:
“Nonostante piova, esco”. Qui, la subordinata è “nonostante piova” e abbiamo il congiuntivo. Ora, nel parlato, si può dire e si dice più spesso “anche se piove, esco” con l’indicativo. Ma l’idea è la stessa: piove, ma io esco lo stesso. La pioggia non mi ostacola. Con “nonostante”, quindi, ci vuole il congiuntivo. Ripeto, almeno in un registro non troppo formale. Con “anche se” ci vuole l’indicativo. Nessuna differenza di significato: il modo dipende dalla congiunzione.
Ora, osserviamo che, in entrambe queste frasi, si parla di qualcosa di molto reale: la pioggia è vera, sia che io dica “nonostante piova” sia “anche se piove”. Non è “meno reale” nel primo caso. E qui non c’è nemmeno una componente soggettiva che potremmo chiamare in causa: semplicemente bisogna sapere che con “nonostante” ci vuole il congiuntivo e non farsi troppe domande. Ma, come dicevo prima, ci sono congiunzioni che vogliono l’indicativo: “siccome piove, non esco”, non esco perché piove; o “dopo che è piovuto, sono uscito”.
E, quindi, il congiuntivo, a parte quei casi che non sono così comuni nelle frasi principali, nelle frasi subordinate, è sempre pura forma, senza alcun significato? Forse non sempre. Possiamo considerare frasi come queste:
“Cerco un cane che ha il pelo nero”.
“Cerco un cane che abbia il pelo nero”.
Nel primo caso, abbiamo a che fare con un cane reale, magari il mio cane, che si è smarrito e che sto cercando: cerco un cane che ha il pelo nero. Nel secondo caso abbiamo a che fare con un cane ipotetico, di cui esplicito le caratteristiche che deve avere: questo è un caso in cui cerco un cane che abbia il pelo nero, deve essere così. Questo è un caso in cui il congiuntivo sembra avere, forse, un suo significato, ma anche se non tutti gli studiosi sono d’accordo. Oppure, abbiamo un caso come questo:
“Te l’ho detto perché tu mi capisci”.
“Te l’ho detto perché tu mi capisca”.
Nel primo caso, “perché tu mi capisci” è la causa: ti ho detto questa cosa, perché so che mi capisci e non mi giudichi, per esempio, quindi sei la persona giusta a cui dire questa cosa. Nel secondo caso, invece, abbiamo a che fare con un fine, con un obiettivo: te l’ho detto perché, cioè affinché, tu mi capisca. Ma, nel parlato, però, è più comune un’altra costruzione: “te l’ho detto per farti capire”. Qui sembra che il congiuntivo abbia un valore, un suo significato, perché, usandolo, il significato della frase cambia e diventa non-reale, cioè un fine, un obiettivo, è un fatto non-reale; ma si potrebbe anche spiegare così: i due “perché” sono due congiunzioni diverse, che hanno lo stesso suono ma sono diverse, e quindi un “perché” causale che vuole il negativo e un “perché” finale che vuole il congiuntivo.
Insomma, la materia è complicata e ci sono anche altre posizioni sul congiuntivo che sono state proposte, ma che non ho spiegato nel video. L’idea importante che volevo trasmettere è questa: per moltissimo tempo, le grammatiche e gli insegnanti di italiano hanno insistito sull’idea di un significato globale del congiuntivo e, in generale, di un significato del congiuntivo. E, a dire il vero, questo è ancora l’idea predominante, l’idea mainstream, che io stesso ho ripetuto spesso ai miei studenti. La realtà è che bisogna valutare caso per caso e non pensare che il congiuntivo, così come anche l’indicativo, a dire il vero, abbia un significato generale o abbia, in generale, sempre un significato. A volte ce l’ha, sicuramente nelle frasi principali, a volte è pura forma che non ha significato. La nostra tendenza, forse umana, è quella di voler trovare sempre una motivazione ai fatti linguistici, anche quando non c’è.
Ora non voglio essere frainteso con questo video, non sto dicendo assolutamente che si può fare a meno del congiuntivo. Il congiuntivo è fondamentale in italiano, è un aspetto costitutivo e caratteristico della lingua italiana. E, se vogliamo parlare o scrivere in italiano standard, e non comunicare solo in maniera informale, è indispensabile, almeno a partire da un livello intermedio in su.
Vorrei poter andare nel dettaglio e parlarti per ore del congiuntivo in italiano, ma… purtroppo non ho que… aspetta, lo posso fare! E l’ho fatto, nella mia sfida “Il congiuntivo di 30 giorni” sviscero questo argomento in profondità, aiutandoti a capire ogni suo segreto. Sono davvero orgoglioso di questo corso perché penso proprio ti aiuterà a padroneggiare davvero il congiuntivo scoprendo tutti i casi in cui si usa, andando al di là di un significato globale del congiuntivo, quando questo significato non c’è, ma parlando invece del significato quando ce l’ha o forse ce l’ha. Non sempre siamo sicuri, come abbiamo visto. Il corso contiene 30 lezioni con 15 video e avrà luogo durante il mese di aprile, quindi è un corso “dal vivo”, in un certo senso. Ogni due giorni avrai un video, avrai quindi 15 video su 30 giorni, ma anche ripassi ed esercizi, molti esercizi. Quindi l’idea è che ogni giorno avrai del lavoro da fare. L’idea di dedicare 15 o 30 minuti di lavoro per un mese, per 30 giorni, in modo da arrivare a capire come funziona il congiuntivo una volta per tutte e a saperlo usare bene. E anche a fare un figurone con gli italiani che, come abbiamo detto, sono così fissati col congiuntivo, sono ossessionati. Quindi, se t’interessa, la sfida inizia il 1 aprile (e non è un pesce d’aprile). Le vendite sono aperte da adesso: puoi acquistare il corso fino al 31 di marzo. Poi le iscrizioni chiuderanno, definitivamente, e il corso non sarà più acquistabile. Ti lascio il link descrizione per scoprire “Il congiuntivo di 30 giorni” oppure qui, a fianco a me.
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